Al servizio della Poesia

Mettere la Rivoluzione al servizio della Poesia e non la Poesia al servizio della Rivoluzione. Che quella dei Situazionisti fosse o meno una provocazione, ad oggi è un assunto ancora discusso in ambito poetico; un assunto che a mio modo di vedere non ha margine di discussione, in quanto la poesia è di per sé rivoluzione.
E. Cioran nel primo capitolo di Squartamento sosteneva che nei momenti di stasi della storia fosse necessaria un’aggressione della lingua, nel senso di mettere in discussione un linguaggio storicizzato, e si riportava come esempio il francese (sua lingua di scrittura). Sotto questo punto di vista, credo che il fardello, anche del più accademico dei poeti è appunto l’impellenza, la necessità di riscrivere la propria realtà in contrapposizione alla rappresentazione dominante dei propri contemporanei. Dico così perché l’atteggiamento del poeta, che sia quello di un ritorno alle forme del passato, che sia quello di innovazione del linguaggio contemporaneo proteso quindi ad una veggenza del futuro, essendo volto appunto alla crisi, è palese che non viva nel presente. Sia chiaro che la poesia, accettato quest’ultimo passaggio, non è più una rivoluzione in senso politico, ma nel senso più universale del termine, nel senso di un moto, di movimento nello spazio e nel tempo, nel caso di un poeta di un movimento, un’azione nella propria storia.
Allora, se la poesia è rivoluzione, deve essere la poesia al servizio della poesia? Sì, ritengo. Questo pone due aspetti rilevanti: 1. Mettersi in dialogo con le avanguardie storiche e con le neo-avanguardie per quanto riguarda il rapporto Uomo/Natura. 2. Affermare ciò che si è quando la propria poesia raggiungerà il proprio futuro.
Sotto il primo punto di vista ho già proposto la mia personale posizione con lo Zapping. Ritengo però in questa sede fare una piccola chiosa che mi aiuterà a sviluppare un concetto più ampio. Ho affermato che “lo zapping è un gesto di ripetuta coscienza legato irrimediabilmente al caso.” Utilizzare il termine “coscienza” e non “lucidità” (ripreso in un periodo successivo) legava con maggiore efficacia al sopracitato rapporto Uomo/Natura. La coscienza è un atteggiamento ambivalente per quanto riguarda l’osservazione e la messa in crisi del presente. Da una parte e allo stesso tempo è l’abolizione della concezione in termini logici dell’esistenza e non esistenza, dall’altra e allo stesso tempo è un’asimmetria, ovvero più lo sguardo del poeta tende al presente più il suo verso tenderà al futuro. Da questo punto di vista si supera l’impasse della neoavanguardia sulla questione dell’entropia; il generatore automatico di impulsi ritmici e automatici non è più fine a se stesso, non è più una catena fordiana, ma è un mezzo per fare a brandelli le immagini della realtà protesa ad una visione (è la pellicola di un film le cui immagini hanno opzioni nelle scelte e nelle interpretazioni, ma la cui conseguenza non ha alcuna causa).
Il secondo aspetto – ovvero la testimonianza teoretica a priori delle proprie forme – è già stata sostenuta e sviscerata nel primo intervento di Salinika. A distanza di due anni credo ancora nella validità di questa nostra intuizione; anche se alla luce di un discorso che associa Poesia e Rivoluzione rischia di fuorviare il tema di quel discorso di allora. Non si voleva e non si vuole fare del materialismo storico.

Se la poesia è al servizio della poesia, i nostri versi sono già al servizio dei versi che verranno e che detteranno quei presenti ora così lontani.

Venendo alle mie idee su quest’ultima questione, credo che se è vera l’asimmetria secondo cui più lo sguardo del poeta tende al presente più il suo verso tenderà al futuro, allora è altrettanto vero che quel futuro avrà da compiersi quando verrà. Se la si vuole vedere come una gara tra veggenti si faccia pure, ma lo ritengo riduttivo. Ezra Pound disse che non esistono più paradisi artificiali e forse neanche inferni artificiali. Mi trovo d’accordo ritenendo che esistono solo inferni umani ed esisteranno solo inferni terreni possibili e tra quelle pareti, tra quegli umani che li vivranno faranno eco le nostre esistenze. Sarà per bocca loro che si dirà chi siamo o cosa siamo stati.
Per il resto, lasciateci. Se la poesia è al servizio della poesia, i nostri versi sono già al servizio dei versi che verranno e che detteranno quei presenti ora così lontani.

ILLUSTRAZIONE da Arquelogía del futuro

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