L’ultimo giorno | Giulia Belloni

Schizzi di caffè bollente mi riportano alla realtà. La pelle brucia, ignoro lo stimolo e guardo per terra.
La tazzina di plastica è raggrinzita come una foglia secca sul linoleum, la pozza di liquido scuro forma disegni ambigui. I colleghi sono sui loro terminali nei loro cubicoli, non mi prestano attenzione. Con la coda dell’occhio mi sembra di vedere il capo che dalla sua scrivania nell’ufficio, protetto da un bozzolo di cristallo, mi osserva con piglio investigativo.
Mi chino per pulire il più velocemente possibile. Mi sforzo di colmare la latenza tra i miei gesti e la loro elaborazione, compito reso più difficile dal fatto che i bordi della mia mano sembrano sfaldarsi nell’ambiente circostante. Saranno le luci al neon, forse.
Butto la tazzina e la carta imbrattata nel cestino, mi alzo di scatto e quasi cado. Devo prestare più attenzione. Torno velocemente al mio posto, sperando che il capo non abbia capito tutto. Non so se sono già sulle mie tracce. Conoscendoli, probabilmente. Nessuno sa che è il mio ultimo giorno di lavoro, questo lavoro che odio. Il mondo crollerà, forse tra dieci anni, ma la sua fine sta iniziando oggi.

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