𝙼𝚎𝚣𝚣𝚘𝚘𝚙𝚊𝚕𝚌𝚘 | 𝖨𝗆𝗉𝗋𝖾𝟣 [𝖦𝗂𝗅 𝖲𝖼𝗈𝗍𝗍 𝖧𝖾𝗋𝗈𝗇 & 𝖯𝖺𝗍𝗋𝗂𝗓𝗂𝖺 𝖵𝗂𝖼𝗂𝗇𝖾𝗅𝗅𝗂]

Olimpo (epiclesi)

Olimpo glorioso
dammi una Musa
prêt-à-porter

Olimpo borioso
dammi una Musa
che ti costa?

Olimpo glorioso
dammi una storia
che si racconti da sé.

A memoir

Ha addosso un trench americano
fumo-di-Londra e un punch cubano
nella mano, ha una sigaretta spenta in bocca
che aspetta di poter sputare fuori
fumo dall’ombra. Sopra il ripiano
i resti di un french toast e dagli angoli bui
la polvere si alza dal piano Rhodes e rompe
gli schemi del feng shui, lui
non ha più fame. Da almeno un lustro
ha esaurito gli stimoli dell’Harlem e son settimane
che esaudisce senza gusto il mare di stimoli
del suo harem, resta giusto
l’odore di catrame nella stanza che aleggia –
quello non scompare in un “amen”. Mentre albeggia
entra abbastanza luce dai buchi delle persiane
per illuminare il ciarpame che fa da mare
al suo cargo disperso al largo del letto dell’Hudson.

Lo scranno su cui poggia, adesso,
ha addosso l’aria di un animale in letargo
con il taglio alla Preston, e lo scettro
che gli occlude il palmo è il plettro
con cui accarezza sussurrando una Gibson Les Paul dell’84
di Jackson e direttamente da Jackson, Tennessee. Sì.

Suona “The Payback” di Brown, le note
zampillano unendosi al sudore sulla sua fronte
che lo riporta in prima linea al fronte
ai tempi della Motown, e canta
dandosi il La a 440, e ripassando a memoria
i vari throw-up di Manhattan come un mantra si ripete:

“Ascolta le note che pulsano.
Non senti il braccio che freme?
Non vedi le VENE maiuscole
che fungon da canto
delle sirene?”

Mentre l’accende prega. Sa che può farsi da parte
ora che la sua arte è un anthem e si è passati a Obama
da Reagan, con buona pace delle Black Panther.
Quel salotto è una sala d’attesa. Di prima facie
tutto tace tra i vicoli della grande mela.
Ormai è sera. La mano destra trema
in balia delle onde che riflettono frame
di “Ombre rosse” di John Wayne impedendogli
di riproporre alla perfezione “Faith” di Wonder
o un assolo qualunque di Coltrane. È un uomo solo.

È un uomo solo,
un uomo solo un uomo
solo un uomo solo
un uomo solo un uomo
solo. A pezzi,
è solo pezzi di un uomo, cosciente
che il solo porto di approdo
di ritorno dal vecchio continente
sia la rivoluzione che ha nella mente

e non sente le note che pulsano,
né ascolta il braccio che freme,
non vede le VENE maiuscole
che fungon da canto
di nuove sirene.

E accanto ai lividi preme, ha i brividi, beve
crede che ai bivi dei vivi ci siano due strade
che siamo proclivi a farci guidare
da spiriti altri da quelli dell’Ade. E adesso
che anche le note sono Blue Not(t)e
le sue vene son Veneri rare, Muse
da venerare nei cieli più neri di maggio
intonando al paesaggio le strofe
di “Venus de Milo” di Davis.

L’ultimo Sol è calante, al tramonto
è un soul in minore che non sente nessuno.
Le sole sirene che cantano adesso
son quelle del nove-uno-uno.

Non sempre ricordano

[1. non sempre ricordano]

Aveva un corpo da abitare
e una decina di riserva:
il primo di membra di carne
e gli altri di fughe da risme di carta

si trascurava come donna
tra le convulse riproiezioni di posti
analoghi ai mondi psichici,
luoghi di miti e miscomprensioni

Cantami invisa
d’amori scomparsi
d’archeologie di futuri minori
perdi la forma da corpo di donna
sebbene stai nuda cantando
carponi, che
c’è una piscina sul tetto del mondo
c’è una tempesta in piscina e sul fondo
soltanto si vive in apnea,
laddove seduta si trova la dea della calma
male agghindata e mangiata dal cloro
ventimila leghe sotto loro lei, seduta, lei guarda la spuma
che l’ombra proietta la luna sul bordo
e vede un’armatura
un’armatura fatta su misura
vede un’armatura
e nuota un’armatura
verso l’armatura
e prende l’armatura in mano, lucidava l’armatura
guarda dentro,  dentro l’armatura ed entra.
Dentro l’armatura entra,
sigillata dentro l’armatura
prega

[2. samurai]

Come una mela che si spaccacome seno di gravida comesole africano come mare che lambisce il corpocome uomo splendente nella sua forma di maschiocome donna radice del darsi in ogni impronta di voluta apertura

USALA quella carezza insicura,
appena impressa e poi rimossa da una pellicola peritura
protagonista di un mito in cui senza censura, si inarca il sesso e la schiena ne segue la curvatura
la posa statuaria nel marmo si fa misura e reale diventa anche quello che è oltre-natura
e montatura, però è animale e se non move l’ale pare
non sappia di averle preposte
non sappia di averne paura

per ritrovarsi a dimenarsi in un letto di serpi a Tangeri
a divincolarsi dagli orgasmi dagli accenti francesi
e nascondendo le bianche ali dentro una siepe di rovi
ha perso lo sguardo degli anni leggeri

[3. Morocco made]

dallo sguardo sulla costa
si riflette l’ombra nuda
della via che porta a casa
che lei si dimenticò

con uno spasmo della faccia
con lo zigomo indicava
la via per tornare a casa
con un gesto la salvò

Per vie ritorte vanno le menti sane
percorrono i calanchi di rughe
gincane, danno sembianze umane, come
vi fosse nata, la maschera butterata
segnava il percorso agli occhi
con voglia di spade
ma se gli indizi della rovina non si allontanano
dall’area rossa, dove il petto richiede calma
la mano disegna sommossa, e se la scossa
non è di elettricità la vena crede condurrà
in modo almeno sufficiente
a dimenticare il niente che arreda il riad
e veste questa gente, condividendo
sfocature, alimentando le apparenze
maschere sostitutive di quelle paure
per cui ritornare significa darsi alle sentenze.

Percorrendo volute di fumo
cascate di tè marocchino
il corpo nudo le perde contatto
ed attraversa
la storia
meravigliosa breve
già data irraccontabile
col metodo sensibile
con metodo
con metodo
la beve

_Mezzoopalco
_Testi e voci: Toi Giordani, Riccardo Iachini
_Beat box: Mollo Beats
_Costumi: En Kružíková
_Opera: En Kružíková e Elisa Capucci
_Video: Frameless

La gatta Bloom

al passato non mi viene di parlarne, ma sarebbe cosa giusta, che a raccontarlo mi prenderete per pazzo, ché questa storia non l’hanno affatto detta in giro.
ho – avevo – un gatto di un pelo corto bianco a chiazze blu e arancio come non ne avete mai visti, quel gatto lo chiamavo Bloom, venne lui da me, era agosto, il ventuno, un po’ Bengala, un po’ Mau egiziano, un po’ Ocicat, l’amica esperta Catalina dice che è unico, e me l’hanno preso, il gatto Bloom, forse rinchiuso come me, era assai espressivo, miagolava in modo morsico, non era schiavo degli istinti, così comprensibile nel chiedere, un gatto che era sempre più grande, cresceva nelle ossa, sempre di più, non grasso, si trattava – si tratta – di un difetto genetico, ha detto la Catalina: le zampe erano più tozze giorno dopo giorno e la testa grande mutò partendo da una graziosa dimensione …che stava volendo fra i due palmi a conchetta: che bel muso, mistico gatto, portatore della sua storia magica; nel quartiere di Genuaua, a Balzania ero l’unico che non ebbe problemi con i serpenti nel novantuno, ora sono imbarazzato, abnorme felino più alto di me.
temevo volessero prendermelo. e ne parlo al maschile di lui, il gatto Bloom, perché inizialmente era maschio, poi dopo cinque anni è diventato una lei, nemmeno l’ho detto a Catalina.

che bel muso, mistico gatto, portatore della sua storia magica

la sua intelligenza! — si è ampliata proporzionalmente alla sua stazza, e alle sue malefatte: mi portò il cane dei vicini come trofeo e lo mise sotto il letto, prima mozzandogli il muso; dovetti fare dei lavori di ampliamento in casa per lasciare spazio alla lettiera; seppellii due volte il postino nel giardino; d’estate cacciava i cinghiali; e le sue merde! oltremisura! non potevo più farla uscire, c’era chi si lamentava, io provavo a spiegare quanto fosse buona e che il mondo stava cambiando: lei è il futuro! un gattone soffice e amorevole da amare! è magico, il mutamento, la realtà non è statica ma si muove! è Bloom, è trasformazione, non posso rinchiuderla, siamo amici, non è mio possesso, è questo il sapore del mondo, non odiatemi ma aiutatela!

mi trasferii almeno sei volte in quei mesi, per lavoro non potevo vivere distante dalla città, non potevo! un dispendio di soldi ed energie e stress che non so se potete immaginare, forse altre persone hanno vissuto cose simili e io ve lo chiedo: come avete fatto a vivere con il vostro grande animale? e non parlo di grassissimi gatti, no!
qualcuno forse ha avuto un pesce rosso divenuto delfino; un cinguettio fatto urlo d’Albatros. ditemi!
in primavera perdeva così tanti peli che passavo il tempo libero a raccoglierli per poi smaltirli la domenica nelle campagne, uscì la notizia su di un giornalaccio ora che ricordo, avevo una gran paura che i netturbini decidessero di aumentarmi le tariffe, ma che potevo farci, era adorabile la mia Bloom, quando veniva nel letto a far le fusa tremava il tempo stesso, bellissima, le sue fusa hanno curato il mio mal di cuore.

qualcuno forse ha avuto un pesce rosso divenuto delfino; un cinguettio fatto urlo d’Albatros. ditemi!

una volta non dico che panico: non la trovavo, due giorni a chiamarla per poi scoprire che stava sul tetto a dormire, me ne accorsi per la cascata dorata che mi travolse al suo risveglio, pisciò nel sonno e bagnò l’intera via, che tanfo. L’ho spiegato al giudice, ho cercato di stare con lui, con lei, me l’hanno tolta e io sono tre anni che sto in gabbia perché il micetto ha deciso di giocare con la Catalina, quel mattino non avevo tagliato le unghie a Bloom, e non mi aspettavo la visita dell’amica, le tolse la vita, sgridai la Bloom che era abbastanza intelligente da capire, non l’ha fatto apposta me lo disse lei, il giudice ha riconosciuto l’intelligenza della bestia a mio discapito: il grande gatto le obbedisce, questo è femminicidio! è lei ad aver ordinato al gatto di uccidere! 
ora non so che fine ha fatto Bloom, forse ha ragione il giudice, però so dove sono io: in cella; sì, ho mal gestito la cosa, forse prenderò un cane la prossima volta, o lascio perdere le bestie e bado al modellismo, allo sport in tv, a una carriera nella ristorazione.

il grande gatto le obbedisce, questo è femminicidio! è lei ad aver ordinato al gatto di uccidere! 

sono qui, e il mio compagno di prigione dice che… la complessità degli eventi è tale da non doverci fare caso, dobbiamo accettare i giorni così come sono, io lo schiaffeggio quando dice così e mi chiedo che fine abbia fatto il gatto, se è cresciuto ancora, se è riuscito a scappare, se ha avuto dei cuccioli, e se sì… se li ha avuti, se li ha avuti mi chiedo con quale fortunata belva è andata a creare la sua prole, forse un orso, un umano, un leone, forse lo stanno tagliando per sperimentare nuove medicine o per riprodurne migliaia di gattoni e metterli al museo, o nel piatto, o nello zoo, mi chiedo dove stia giganteggiando la famiglia Bloom e se verranno a liberarmi, si che potrebbero farlo, Bloom!
e la notte miagolo per chiamarla, non si sa mai.

Glitch art di Nicolò Gugliuzza

 

La nuova era del soprannaturale

La storia del soprannaturale è lo scarto tra la realtà e la fantasia.
Questo assunto è il punto da cui partire per Francesco Orlando nel saggio Il Soprannaturale Letterario[1], una portata innovativa nel discorso critico che consente di ampliare le forme e il tempo della letteratura dell’inconsueto (e non solo), senza cadere nel rischio intuito da Remo Ceserani[2] di elasticizzare o restringere eccessivamente la sfera semantica del fantastico secondo la definizione di Todorov[3] che, allo stesso tempo, rimane il miglior presupposto teorico.
Infatti, da una parte è necessario considerare come i grandi eventi della storia abbiano influito sulle strutture materiali e mentali dei testi del soprannaturale, ontologicamente in contrasto con la percezione comune del reale. Dall’altra, l’intenzione di un’opera, e il modo effettivo di essere del testo, ovvero la sua logica, non vanno trascurate. Il setaccio è costituito dall’intreccio di questi fili, e la narrazione viene così raffinata: offre le regole di ingaggio e gli elementi chiave che la vanno a comporre.
E da quella sintesi Orlando classifica il soprannaturale in sei grandi famiglie di appartenenza.
Lo fa comparando opere letterarie lontane nel tempo l’una dall’altra, lasciando però al lettore del saggio la facoltà di verificare l’appartenenza alle categorie orlandiane, ammettendo la possibilità di un’ibridazione come clausola di salvaguardia.

Da una parte è necessario considerare come i grandi eventi della storia abbiano influito sulle strutture materiali e mentali dei testi del soprannaturale, dall’altra l’intenzione di un’opera, e il modo effettivo di essere del testo, ovvero la sua logica.

Orlando definisce il soprannaturale più recente «d’imposizione» per via della prepotenza con cui si afferma nella realtà e rilancia che la realtà stessa è la regola d’ingaggio affinché questo tipo di narrazione si verifichi. La Metamorfosi di Kafka e Il Maestro e Margherita di Bulgakov sono i casi di studio.
La critica letteraria Beatrice Laghezza, utilizzando alcuni degli schemi di Orlando, definisce «post-umano» l’ibridazione tra soprannaturale di «indulgenza» e soprannaturale di «ignoranza» in chiave fantascientifica nel romanzo Partiranno di Luce d’Eramo che, denunciando i limiti dell’antropocentrismo, tratteggia la possibilità di un soprannaturale del post-umano.
Questa ipotesi è suggerita anche da Paolo Volponi ne Il Pianeta Irritabile o da Laura Pugno in Sirene, ma nell’ottica di un soprannaturale di «trasposizione e rimotivazione del mito apocalittico»[4].

bowo-invisible-city-no-1033-2015-1000x714

Regole, si diceva poco sopra, che trovano la loro forza, a volte, ne Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti[5], come appendice logica. Il soprannaturale letterario è un macro-mondo composito. E con un cambio di sguardo ci si potrebbe concentrare in questo o quel dettaglio delle narrazioni e il risultato non cambierebbe: le categorie orlandiane ritornerebbero.
Concentrandosi su altri aspetti della narrazione, si potrebbe notare come un elemento inedito della tradizione del soprannaturale influenzi il mondo circostante. Così per Kafka ne La Metamorfosi non solo Gregor Samsa è qualcosa di nuovo, ma anche la terza persona in presa diretta che racconta la scoperta del mondo per mezzo delle sue sembianze è uno sguardo nuovo sulle faccende degli uomini.
E il diavolo borghese dei Fratelli Karamazov non è solo per i suoi panni a stupirci, ma per come l’uomo, Ivàn Fëdorovič, accede al male incarnato come prima non era mai successo.
È di questo che si vuole parlare: Orlando ha posto in primo piano le regole del soprannaturale ma, avendo libertà di scelta, è interessante notare come le regole d’ingaggio cambino in corrispondenza di un modello mutato o nuovo rispetto l’accezione comune.

Per Kafka ne La Metamorfosi non solo Gregor Samsa è qualcosa di nuovo, ma anche la terza persona in presa diretta che racconta la scoperta del mondo per mezzo delle sue sembianze è uno sguardo nuovo sulle faccende degli uomini.

È accaduto – anche come effetto di stupore per il lettore – con la bambola Olimpia ne L’Uomo della sabbia di Hoffman, con il Necronomicon di Lovecraft e con i racconti di Ti con Zero di Calvino. E nel caso dell’autore italiano si può notare come l’esigenza del cambiamento abbia un fattore di fascinazione esterno, ovvero le grandi scoperte scientifiche e tecnologiche, ma anche interno: se Il Visconte dimezzato è per ammissione di Calvino l’incarnazione delle leggi della relatività, si potrebbe dedurre che abbia pensato che nuove regole della realtà incidano anche sull’essenza del soprannaturale.
C’è un punto di rottura con Calvino: la presa di coscienza che il fantastico, come lo avrebbe definito lui, ha delle esigenze innovative che vanno di pari passo con il mondo.
Non è solo influenza: è analisi e ricerca del presente.

Così pare, anche nell’epoca attuale di esplosione delle narrazioni volte alla stranezza e allo straniamento. Dalla Bizarro fiction al New Weird, fino a libri non categorizzabili come Il Cosmonauta di J. Kalfar, si registra anche in Italia, secondo quanto affermato da Vanni Santoni su «Il Foglio», “l’emergere con forza di narrazioni che, pur afferenti per stile e aspirazioni alla cosiddetta literary fiction, sfondano, e senza farsi troppi problemi, le barriere tra i generi, finendo per attingere elementi e dispositivi narrativi dal fantastico, dalla fantascienza e dall’horror, dando così vita a forme nuove del perturbante.”[6]
Nuove forme appunto, non solo un mostro di Frankenstein letterario del nuovo millennio.

Dalla Bizarro fiction al New Weird, fino a libri non categorizzabili come Il Cosmonauta di J. Kalfar, si registra anche in Italia “l’emergere con forza di narrazioni che […] sfondano, e senza farsi troppi problemi, le barriere tra i generi, finendo per attingere elementi e dispositivi narrativi dal fantastico, dalla fantascienza e dall’horror, dando così vita a forme nuove del perturbante.”

Tornando ad utilizzare la lente d’ingrandimento di Orlando si può dire che, da una parte viviamo in un’epoca in cui la razionalità ha sostituito il ragionamento e in cui lo stupore ha una dimensione prettamente estetica, dettato dal fatto che non ci sono più confini da esplorare e le grandi scoperte scientifiche sono racchiuse nei dettagli.
Senza contare l’incisività che i social network hanno avuto sulle nostre vite e quanto è cambiata l’informazione.
Dall’altra, l’intenzione delle opere attuali, come Dalle Rovine di Luciano Funetta, I vivi e i morti di Andrea Gentile e il filone distopico, Cometa di Gregorio Magini, è volta al mescolamento dei generi e, in conseguenza del periodo storico, a un nuovo senso di inquietante meraviglia.
Tornando a setacciare lo scarto tra la realtà e la fantasia, un elemento sembra essere al cardine di queste narrazioni: la coscienza di voler innovare i modelli della tradizione letteraria.
È per questo motivo che si potrebbe definire soprannaturale «d’innovazione» l’insieme di queste opere.
Prendiamo ad esempio J. Kalfar, Il Cosmonauta[7]: il romanzo tradotto da Federica Oddera affonda le sue radici in un immaginario spaziale tipico della fantascienza, ma il suo impianto narrativo è equamente saldo nella terra della Repubblica Ceca. Jakub Procházka parte verso i confini di Venere alla ricerca di Chopra, violacea nube spaziale misteriosa, ma non è l’eroe dei cieli che possiamo aspettarci. Il cosmonauta intraprende il viaggio a causa delle scelte di suo padre, morto decenni prima. Non un antieroe goloso di Nutella, perché in fondo anche lui ha una sua epica nell’affrontare il viaggio di andata e ritorno e, nel mezzo, quando incontra l’alieno che lo riporta indietro nei suoi ricordi. Neanche un Icaro, perché intraprende il volo sapendo già di bruciarsi, non avendo la possibilità di scelta della via intermedia. Jakub Procházka è un uomo consapevole di essere un eroe grazie al destino e a tanta pubblicità delle aziende che finanziano la sua impresa. Anche la navicella spaziale che comanda è un qualcosa di nuovo, in quanto costruita come razzo-prodotto pubblicitario delle multinazionali di un piccolo paese dell’est Europa, pertanto un po’ scalcagnata ma sufficientemente equipaggiata per portare un uomo nello spazio.

 

 

Questi elementi hanno una funzione a volte parodiale, ma mai simbolica. Nel senso che Jakub Procházka non è un Don Chisciotte, non rappresenta la fine delle avventure cavalleresche anche se ne fa sentire la malinconia.
La JanHus1, navicella concepita per battere sul tempo il resto del mondo, fatto improbabile già dalla presentazione, non è solo un Nautilus che pubblicizza merendine ma allo stesso tempo è la voglia di successo di un piccolo paese europeo. Pertanto, per quanto l’ironia sia un linguaggio fortemente connotativo del testo, non va a ledere la dimensione dei personaggi e dei loro destrieri.
Sfugge così alla definizione di soprannaturale di derisione, che prevede una pratica iconoclasta e di discredito del genere stesso.
L’alieno aracnoide presente nel romanzo è poi un oggetto narrativo inedito. Come tutti gli esseri dell’universo vuole conoscere forme di vita diverse dalla sua, ma lo fa per affermare la sua dimensione di estraneo nella sezione di spazio in cui è stato catapultato.
Se Gregor Samsa è un corpo nuovo in un mondo conosciuto, Hanuš è corpo ereditato in un mondo sconosciuto. L’alieno vive una condizione umana per quanto si trova malinconicamente nelle profondità del cosmo, tanto che potrebbe essere un’appendice immaginifica di Jakub Procházka, oramai al completo sbando nella sua vita sentimentale e di avventuriero.
Eppure non è definibile come soprannaturale di ignoranza, dove l’incertezza è spesso veicolata da una prospettiva interna ai personaggi: per quanto sia l’elemento più assurdo, l’alieno dimostra di esistere nella realtà narrativa con la messa in scena della sua morte. È una convenzione bene precisa: la morte, testimonia l’esistenza fisica.
L’alieno è semplicemente il ribaltamento della prospettiva di Gregor Samsa. Dal momento che cambia di universo, egli deve avere a che fare con un corpo nuovo, non perché è mutato, ma perché sono cambiate le condizioni di adattamento.
Così l’uomo-scarafaggio e l’alieno sono un insieme di metafore: emarginazione, malattia, solitudine e così via.

L’alieno è semplicemente il ribaltamento della prospettiva di Gregor Samsa. Dal momento che cambia di universo, egli deve avere a che fare con un corpo nuovo, non perché è mutato, ma perché sono cambiate le condizioni di adattamento.

Qualche appassionato de Il soprannaturale letterario avrà già pensato al soprannaturale di imposizione. Eppure, per quanto l’appartenenza possa essere lampante, un dato sembra essere diverso rispetto agli esempi di Orlando, ovvero la regola della realtà. Se il soprannaturale di imposizione è magnificamente definito come “un pugno sul tavolo” rispetto al mondo comunemente inteso, la realtà alternativa presentata in questi libri, come ad esempio in Dalle Rovine di Funetta, è tutto sommato un fatto sconvolgente di per sé, nel suo essere bizzarra, e non in relazione ai fatti quotidiani.
Il mondo può essere sconvolto come non esserlo, ma non è la clausola del patto che conferma l’esistenza di quanto viene narrato. Anzi, il rapporto si ribalta e la vera infrazione è quella della realtà nel mondo soprannaturale. Del resto, solo in questa maniera gli elementi di questa narrazione vengono sgravati del peso allegorico.
I casi sopra riportati parlano di una realtà presente, conosciuta secondo la sensibilità comune.
A ben vedere, esistono alcuni casi di narrazioni recenti in cui c’è un rapporto con il mondo esterno, ma in un tempo lontano nel futuro.
Non solo, ad esempio, nella Trilogia dell’Area X: Annientamento-Autorità-Accettazione di Jeff Vandermeer, le parole della moglie, nonché editor dell’autore, rendono l’idea come ci si trovi di fronte a «un tipo di narrativa ambientata in un mondo inventato in cui la visione romantica sui luoghi tradizionalmente descritti nel fantasy è sovvertita, perché le ambientazioni sono modelli complessi basati sul mondo reale che servono come punto di partenza per mettere insieme elementi fantascientifici e fantasy»[8].
In poche righe sono presenti tutti gli elementi che, per ricapitolare, il soprannaturale di innovazione presenta: in primis coscienza del rinnovo e/o invenzione dei modelli del soprannaturale; in secondo luogo, ribaltamento del rapporto tra realtà e soprannaturale e, infine, dimensione allegorica ridotta al minimo, se non nulla.
Come abbiamo visto, il testo di Orlando apre a una serie di nuove riflessioni sulle modalità con cui il soprannaturale s’insinua nell’humus narrativo. Riflessioni preziose che, però, non son un punto d’arrivo ma servono come strumento per stimolare un dibattito oggi più attuale che mai.
Se da una parte è vero che si tenta di categorizzare i fenomeni attuali, dall’altra un desiderio di contribuzione esterna anima questa scrittura.
Per il resto, rimane l’amore per il mondo così come non lo conosciamo.

Collage di Bowo Studio

 


[1] F. Orlando, Il soprannaturale letterario. Storia, logica e forme, Piccola biblioteca Einaudi, Nuova serie, 2017, XXV p. 190

[2] R. Ceserani, Il fantastico, Il Mulino, Lessico dell’estetica, 1996 p. 172

[3] Tz. Todorov, La letteratura fantastica [1907] Garzanti, 1995, p. 170

[4] http://www.progettoblio.com/files/Att3-29.pdf

[5] F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Piccola Biblioteca Einaudi, 2015, p. 574

[6] https://www.ilfoglio.it/cultura/2018/11/12/news/la-rivincita-letteraria-del-new-weird-italiano-ma-non-chiamatelo-sottogenere-224001/

[7] J. Kalfar, Il cosmonauta, Guanda, Narratori della fenice, 2018 p. 336

[8] https://www.ilpost.it/2018/03/12/jeff-vandermeer-annientamento-borne/