Per cucinare l’aragosta occorre | Davide Galipò

Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Mohamud Darwish, poeta palestinese

La mia vita è stata votata alla ricerca della perfezione. La simmetria, il rispetto dei colori complementari, l’esatto equilibrio tra i quadri appesi alla parete. Né troppi, né pochi. Non sono un curatore, né un gallerista. Però, in un certo senso, potrei definirmi un artista, sì; un artista dalla fervida immaginazione, anche.
Sapete, il materiale con il quale lavoro alle mie performance – tra i più pregiati al mondo – non è affatto a buon mercato, e per procurarselo occorrono meticolosità e accuratezza assolute. Voglio dire, può capitare che alla cena organizzata da un famoso catering qualcosa vada storto, che il pesce non sia stato scongelato all’esatta temperatura, magari perché il maître ha pensato bene di farsi la sua fumatina poco prima di iniziare, che sarà mai, “dopotutto è soltanto una canna”, voi penserete, e invece no: chili di aragoste vomitate sul pavimento in cotto del pied-à-terre, indigestione generale, panico, ambulanze, ospedale, denunce come se piovesse. È proprio questo il genere di imprevisti che possono capitare nel mio lavoro, anche se non mi occupo di ristorazione e anche se questo non è un manuale per cucinare le aragoste. Se non si sta attenti, se non si esegue il piano alla lettera, tutto può precipitare a velocità iperbolica verso l’inevitabile fallimento. E il fallimento non è contemplato.

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Una situazione della poesia contemporanea italiana

“Tu che quiete non avevi,
io che
quiete non conosco”
Samir Galal Mohamed

dodicesimo-quaderno-italiano

Nel turbolento 2016, esce per i tipi di Marcos y Marcos Poesia contemporanea. Dodicesimo quaderno italiano, che si propone di illustrare attraverso «sette giovani autori» le «nuove scuole o tendenze della giovane poesia italiana». La prima impressione che ho avuto è che nell’almanacco curato da Franco Buffoni di nuovo e di giovane ci sia ben poco. Il linguaggio di questi poeti è quello mediatizzato (cioè, in un altro senso, appianato, compresso, miniaturizzato) cui siamo abituati: metriche banali e senza entusiasmi, un intimismo bipartisan e spoliticizzato. In ognuno di questi «sette piccoli libri di poesia» c’è qualche buon testo, ognuno di questi autori sa scrivere, ma il sapore è quello della decadenza, spesso di un decadentismo che è morto e putrefatto e ci viene sfacciatamente riproposto, sottintendendo che di vivi non ce ne sono più. Ciò che è grave o meglio, ci grava sul cuoricino scoppiettante è che questa antologia è abbastanza rappresentativa della maniera odierna di poetare. Perché fare poesia significa anche scegliere da che parte stare nella vita, nella società e nella letteratura.Continua a leggere…