Animelle in brodo

Il tempo meteorologico è imprevedibile. È così che, alle otto di sera, il mondo si siede ad ascoltare le previsioni meteo.         
Benvenuti all’Hotel Leonardo.          
Benvenuti al chilometro quarantasei.           
Benvenuti tra questi alberi che hanno tanti nomi diversi. Tutti insieme sono un bosco.    
Parzialmente nuvoloso, per lo più soleggiato, pioggia leggera e Maestrale. Alluvione, grandine, pioviggine, uragano e arcobaleno.     
Una mattina ne ha sentito uno che ripeteva tra sé e sé “microraffiche” e “vorticità”.        
Gli ospiti dell’Hotel Leonardo sono tutti dei gran esperti di meteorologia.            
L’Hotel Leonardo sta su in collina; il giorno che Guido è partito, per raggiungerlo ci ha messo sessantacinque minuti. Ha fatto una strada tutte curve polverose. La strada l’asfaltavano due volte l’anno fino a due anni fa. Questo gliel’ha detto Dante il giardiniere.           
Dante si occupa anche della piscina ed è massimo esperto in rastrelli. Esistono rastrelli per qualsiasi cosa, di qualsiasi dimensione, un’infinità di cose che è necessario rastrellare. Questo Guido l’ha imparato col passare del tempo.         
Un martedì è entrato in agenzia viaggi, VIAGGI FORTUNA VACANZE SU MISURA CON OFFERTE SPECIALI PER VOLARE GRATIS.
Voleva uscirne con un biglietto per il Perù o la Bolivia, un posto esotico, per il gusto di rispondere «sono stato in Perù», scrosci di applausi, le masse in visibilio.    
Ne è uscito con un soggiorno di cinque giorni all’Hotel Leonardo. Quindi benvenuti all’Hotel Leonardo.
Benvenuti al chilometro quarantasei.           
Benvenuti tra questi boschi che hanno tanti alberi. Tutti insieme sono una foresta.          
Arrivato all’Hotel, parcheggiata la Skoda nello spiazzo sterrato, Guido scende, si stira, si guarda intorno. Bene, molto bene, c’è una bella piscina. Il verde lo circonda, si attiva l’autoinganno.
Questo è meglio della foresta amazzonica, almeno si mangia bene. Una costruzione del Settecento munita di abbaini, sembra quasi di stare a Parigi. Neanche il tempo di finire di illudersi che Luisa lo raggiunge. 
«Salve signor Galletti molto piacere sono Luisa. Ha prenotato una camera matrimoniale, giusto? Quattro notti, cinque giorni, pensione completa. Stiamo quasi per pranzare, cosa preferisce mangiare? Oggi abbiamo tre primi, lo Chef si sente creativo. Ravioli al formaggio, pappardelle al ragù̀, gnocchi, gli gnocchi a cosa sono non ne ho idea. Ma venga dentro le presento gli ospiti, posso darle del tu? Guido, giusto?» 

Voleva uscirne con un biglietto per il Perù o la Bolivia, un posto esotico, per il gusto di rispondere «sono stato in Perù», scrosci di applausi, le masse in visibilio.    

Uragano

Guido rimane dietro Luisa che non lo aiuta con le valigie.  
«La tua camera è al secondo piano, Guido. Oggi sarà una bella giornata, apri le finestre quando vai di sopra. Soleggiato, probabilità di pioggia zero per cento, massime a quaranta e minime a trentacinque. È proprio una bella giornata.» Guido si ferma un attimo prima di rispondere; guarda Luisa, l’occhio destro di Luisa guarda Guido, quello sinistro vorrebbe guardare Guido ma non riesce, si capisce, si muove in direzione ostinata e contraria, veloce veloce, ha vita propria.
Luisa è strabica, difficile parlare con lei. Più che strabica, direi, ha un occhio autonomo. Così è più facile, si sente sollevato. «Appoggio la mia roba e scendo per pranzo, gentilissima.»      
La s sibilante rimbomba nella sua testa, lo segue fin sopra le scale, gentilissima, gentilisssima, gentilissssima.
Guido cammina, trascina le valigie, guarda a destra poi a sinistra poi in basso, si ferma in mezzo al corridoio per osservare il pavimento: moquette rossa, ombreggiature scure, moquette chiaroscurata. Negli alberghi è molto comune. Il numero sulla chiave potrebbe essere un 33 come un 22 o un 44, tutto è un po’ sbiadito.        
È sempre colpa del tempo.     
Dal fondo del corridoio una serie di rumori.
Aspirapolvere, tacchi alti, un vociare confuso, una porta che si apre. La stanza 26, escono in coda almeno una decina di persone, vengono verso di lui, a mano a mano i volti si rivelano, escono dal buio e con loro la sensazione di essere finito in geriatria. «Buongiorno», «Salve», «Buongiorno», «Salve», «Salve», «Buongiorno», «Salve». 

Pioggia debole 

Guido gira la chiave nella toppa, stanza numero 22.           
Entra, scalcia le valigie all’ingresso. Un letto di dimensioni elefantine coperto da un’orrenda biancheria fiorata. Un mammut a carnevale, fa quasi paura.
La finestra è proprio di fianco al letto, la apre e si sporge leggermente. Una brezza delicata gli sfiora le guance.            
Si guasta il tempo, mi si è guastato il tempo. Quanti anni avevo quando ha iniziato a guastarsi. Quanti anni mi daresti se non mi conoscessi. Quanti anni mi darei se mi vedessi per strada. Questo posto è la goccia che fa traboccare il vaso, mia madre mi direbbe non piangere lacrime di coccodrillo. Lei è morta e non mi è scesa neanche un po’ d’acqua.        
A pranzo le persone parlano sottovoce e Guido ha optato per gli gnocchi al non so cosa. Il non so cosa sa di radicchio e gorgonzola. La sala non è affollata, il gruppo geriatria occupa un grande tavolo tondo. Vicine a lui, sedute compostamente, altre due coppie di anziani. In fondo alla stanza appoggiato al bancone c’è Dante il giardiniere, Luisa gliel’ha presentato poco prima. Si è avvicinata a lui e poi ha detto «Questo è Dante il giardiniere.»            
Il giardiniere è un uomo smilzo sulla cinquantina, abbronzatissimo. 

Raggi ultraviolenti 

«Piacere di conoscerla, Dante. Faccio un po’ tutto qua dentro, ho sempre qualcosa per le mani. Dove c’è un rastrello, c’è mister tuttofare, è così che si dice, vero Luisa?»       
Ride tra sé e sé in modo imbarazzato, imbarazzante. 

Per ogni cosa da rastrellare serve il giusto rastrello. 

«Potrebbe trovare qualche attrezzo in giro, ho rastrelli di tutti i tipi, sparsi in giro un po’ ovunque. La pregherei se ne vede uno di non spostarlo. Per ogni cosa da rastrellare serve il giusto rastrello.»
«Si capisce, mi sembra giusto. Non si preoccupi.»   
«Mi venga a trovare nel pomeriggio, sono in piscina. Oggi è proprio una bella giornata, soleggiato, probabilità di pioggia zero per cento, massime a quaranta e minime a trentacinque. La aspetto.»
Guido sente tirare gli angoli della faccia, fa una smorfia che non è certo assomigli a un sorriso. 
Dopo pranzo rifiuta il caffè, vuole farsi una bella dormita. Sale di sopra e si stende sul letto, vestito. 

Zero termico 

Sono le 19.43, Guido spalanca gli occhi, guarda il soffitto.  
La stanza è tinta di una luce diffusa, viola, accarezza le cose.          
La luce violastra è prodotta dal colore del tramonto; si sforza di passare attraverso la foresta, cambia, si trasforma.      
La finestra è spalancata, da fuori si sente ridacchiare.         
Chi sono queste persone? Cosa dice questa gente? Sto qua dentro ad ascoltare, scendo per cena. La solitudine è una scelta, lo diceva sempre mia madre, guarda questo posto mamma, non saresti d’accordo. Qualcuno mi dica cosa devo pensare.        
Guido decide di scendere in reception e chiedere cosa c’è per cena. È buio tutt’intorno. Non si sente alcun rumore, nessuna parola. I suoi piedi trascinati sulla moquette, trascinati sul parquet poi sulle pietre dell’ingresso, poi sull’asfalto, sullo sterrato e sull’erba del giardino. Nessuno.       
Mentre cerca il bagno al piano terra una voce lo raggiunge.           
Chi sta parlando? Lo so chi sei, io lo so chi sei. Dai dai dai, ce l’ho sulla punta della lingua. Si sforza di ricordare.        
«Sui rilievi cielo sereno, massime pomeridiane.»       
Il meteorologo di canale 7.    
Nella stanzetta dietro alla reception la TV è accesa, le tapparelle sono abbassate e una fila di persone sta immobile, ipnotizzata. La spia rossa della televisione, un faro nella notte, i marinai in difficoltà, terra di Israele.        
Ci sono tutti, tutti gli ospiti dell’hotel e anche il personale. Guardano le previsioni meteo come rapiti, il meteorologo ha la verità in tasca. Mia madre. In tutta la mia vita non ho mai guardato nessuno così, non c’è più niente da fare, gli ormeggi mi hanno abbandonato. Se c’è una cosa di cui sono certo è che prima o poi morirò. Uno di questi vecchi morirà prima di me.         
Il meteorologo ha annunciato la pubblicità, Dante si alza e va a spegnere la TV; Luisa accende la luce.
Un rito è una consuetudine prescritta, una prassi abituale. Una giornata è finita, domani farà bel tempo, alle 20 ci sono le previsioni. Questo è il punto di snodo, uno per accertarsi che la vita scivola, uno per fare in modo di tenerla stretta tra le mani.         
Piano piano escono tutti, direzione sala da pranzo, la cena è servita.         
Prima di mettere piede fuori dalla sala della TV, Guido si sofferma a guardare una coppia di anziani.

Questo è il punto di snodo, uno per accertarsi che la vita scivola, uno per fare in modo di tenerla stretta tra le mani. 

L’uomo porta un gilet marrone stretto di spalle, è seduto su un divanetto. «Celeste non fare così. Cara non piangere, mi sono sbagliato. Sicuramente ho sbagliato, dai, su, non fare così, andiamo a cena che è tardi.»    
«Non ho fame, lasciami qui. Perché me l’hai detto? Non riesco più a togliermelo dalla testa.»
Guido si sente a disagio. Quand’è che è diventato uno spione? Non sono quel tipo di persona. 
«Scusi lei, ha un fazzolettino da naso?»        
«Si certo, dovrei avere in camera un pacchetto di Kleenex, glieli vado a prendere!»
«No, lasci stare, lei è molto gentile, mia moglie ha la pelle delicata, sa. Non si disturbi, sa.»
Io so, tu sai, egli sa. Guido vuole scappare.   
«Posso fare altro?»     
«No, no, non si disturbi, mia moglie ha la pelle delicata. È molto sensibile, le ho fatto notare che il vento si alza e si è intristita. Avevamo guardato le previsioni, sa; prima di venire. Si spera non venga a piovere»

Umidità atmosferica

7.36, Guido si sveglia presto.
Dante che pulisce la piscina, Dante che rastrella il giardino, Dante che fischietta come un pazzo.
Ho lasciato la finestra aperta, me lo merito, fosse stata chiusa si sarebbe sentito lo stesso. Devi dormire almeno otto ore, questo diceva lei. Quante ne avrò dormite, quattro? La gente non ha rispetto, devo aver messo il costume in valigia, almeno l’acqua sarà bella pulita. Guido rovescia la valigia sul letto, si infila il costume.         
«Buongiorno»
«Buongiorno, Guido, oggi è una bella giornata, L’ESTATE ENTRA NEL VIVO, temperature sopra la media, massime a quarantadue e minime a trentacinque, vieni a fare colazione?»
«Colazione non la faccio quasi mai, mi stendo in piscina, grazie.» Questa volta Guido sorride.
Luisa è gentile, forse è solo il suo lavoro. Colazione non la faccio quasi mai. Sono anni che non mi sveglio presto. Che ore sono? L’ultima volta che ho fatto colazione, visualizza: tavolo, cucina, crepes salate, saranno stati due anni fa. Mia madre c’era ancora. Saranno stati due anni fa.
L’acqua è limpida ma Guido non ha ancora intenzione di immergersi. Non vuole bagnare neanche la punta dei piedi, per la verità. 
Si è sempre sentito un insetto in piscina.
Gli ospiti dell’hotel iniziano a raggiungerlo. Qualcuno entra in acqua, altri a gruppetti chiacchierano ad alta voce mentre sistemano: i teli, gli asciugamani, le creme solari, «dove ho lasciato gli occhiali da sole?», «la cuffietta di nylon l’hai presa?», l’acqua in bottiglia da due litri, le carte da gioco. 
L’uomo della sera prima sta in piedi sotto un ombrellone rosa; lo saluta dall’altra sponda con un sorriso ebete sulla faccia.      
Guido toglie gli occhiali, fa un cenno con la mano.  
Il sole picchia e il vento scuote gli alberi, prima piano poi sempre più veloce. Una mosca, due mosche, un tafano. In meno di un’ora la piscina è piena di insetti.         
Non sono l’unico, siamo in tanti tra queste acque. 

L’acqua è limpida ma Guido non ha ancora intenzione di immergersi. Non vuole bagnare neanche la punta dei piedi, per la verità.
Si è sempre sentito un insetto in piscina.

Vorticità

La piscina è un cimitero di noccioli di pesca e ombrelloni rovesciati. Gli ospiti dell’Hotel sono corsi ai ripari e hanno ribaltato tutto, calpestato l’erba, spostato i lettini.         
Dante, il becchino imperturbabile,chiede aiuto, a bassa voce, senza urgenza. «Si intasa il filtro, qualcuno venga a darmi una mano, chi l’avrebbe pensato, si era detto soleggiato, niente correnti, minime a trentacinque e massime a quarantadue. C’è qualcuno che può aiutarmi?» 
Guido prima lo sente borbottare, poi lo vede mentre viene nella sua direzione, ha due rastrelli lunghissimi, uno per mano. Un retino che sbuca dallo zaino. Cosa cerca? Piego l’asciugamano e me ne vado, a metà poi ancora a metà e infine a metà. Ottimo risultato. Lo diceva mia madre che non sono capace a piegare le cose. Non è poi così difficile.      
«Scusi signor Galletti, non è mica che potrebbe darmi una mano? Se non si fa in fretta si intasa il filtro e poi il resto non sto neanche a raccontarglielo. Non lo può immaginare cosa c’è la dentro.»
Guido avrebbe preferito evitarlo. «Nessun problema, che devo fare?»
«Intanto metta questi, con questi il rastrello non le scivola giù in piscina, che poi dobbiamo immergerci per recuperarlo e non glielo raccomando. Non è consigliabile immergersi negli abissi quando si deve lavorare in superficie, è così che si dice, no?»        
Guido infila i guanti, segue le indicazioni di Dante.
Uno da una parte e uno dall’altra, uno difronte all’altro ai lati della piscina. Guido raggruppa gli insetti vicino al bordo, quando ne ha fatto un bel mucchio li tira su con il retino e poi lo svuota nel sacco nero della spazzatura.      
Alcuni sono ancora vivi ma lui lo sa che smetteranno presto di muoversi. Sono bagnati fradici, nel sacco nero non c’è aria. Le cose andranno così.   
Certe scorie vanno rastrellate, per ogni scoria serve il giusto rastrello. Quello che Guido tiene tra le mani ha i denti vicinissimi tra loro, è perfetto, per gli insetti.        
Dante rastrella come una furia, è abituato, la cosa non lo tocca. Guido invece è lento, riflessivo, finito il lavoro si sofferma a guardare la piscina pulita, trasparente come non lo è mai stata.
Certe storie vanno rastrellate, per ogni storia serve il giusto rastrello. 

Certe storie vanno rastrellate, per ogni storia serve il giusto rastrello. 

Arcobaleno

Alla reception gli ospiti si parlano addosso, si lagnano del vento, perché non si è mai vista una cosa del genere, da dove vengono tutti questi insetti? 
Celeste la mette sul biblico, non saranno mica le piaghe d’Egitto? Nel dubbio e nella costernazione generale, si mangia.          
A pranzo il silenzio è fastidioso, Guido preferirebbe sentire qualcuno parlare. Osserva gli ospiti da un punto di vista molto lontano: è finito nello spazio delle esperienze, separato da tutto il resto. Alcune distanze non si possono colmare. Arrotola gli spaghetti nel piatto, se li mette in bocca, li arrotola di nuovo e prova a srotolarli. Non si districano.           
Una volta arrotolati non si possono più srotolare e quella che sembra una forchetta in realtà è un rastrello. È stato inventato prima il rastrello o la forchetta? Per ogni spaghetto serve il giusto rastrello, in questo caso il nome specifico è forchetta.           
Nel mio caso, il verbo specifico è reagire. 

Sereno

Si è abbassata la temperatura. Gli ospiti dell’Hotel come ogni sera si preparano per le previsioni meteo.
Si sente uno scroscio improvviso.      
Dante rientra di corsa in Hotel, si ferma all’ingresso, i capelli gli coprono la faccia, gliene sono finiti alcuni in bocca e altri nelle orecchie. Una gran folata di vento ha sparpagliato tavoli, sedie, lettini, ombrelloni, bidoni della spazzatura, posacenere e cenere, rastrelli, tutto in giardino.         
Il cielo si spacca a metà e vomita sull’Hotel Leonardo.        
Una furia che non si cura di niente. Le nuvole tuonano e corrono e minacciano e sparano. Un’onda inarrestabile che trascina tutto sul fondo della piscina.            
I vecchi sono accorsi alle finestre, con quei nasi grossolani spiaccicati sul vetro, gli occhi sbarrati.
Il Meteorologo di canale 7 che parla dalla sala della TV dovrebbe solo starsene zitto e cambiare professione perché tanto, ormai, l’abbiamo capito tutti. «Ben ritrovati dal Meteo Italiano, l’anticiclone africano potrebbe espandersi verso il centro Europa occidentale, portando con se correnti di aria calda.»
Dici solo puttanate. L’effetto serra ti ha rincoglionito, non ti vergogni a raggirare gli anziani, neanche fossi un prete!   
Un signore pelato, gli occhi azzurrissimi, non riesce a smettere di battere il piede a terra.
Celeste, ammutolita, strattona la camicia del marito; lui la guarda assente.
Due donne del gruppo geriatria entrano ed escono dal bagno.       
Il maltempo sta distruggendo tutto.  
Luisa vuole chiamare i pompieri, Dante non è d’accordo. «Centoquindici, centoquindici, si, pronto, chiamo da» cade la linea. I vetri tremano, Guido vede un ramo staccarsi, correre e sfondare una delle finestre del piano di sopra.   
Probabilmente è la sua stanza.  
Si spengono le luci, buio. Non c’è nessuno che non si stia chiedendo perché. Luisa va a cercare delle candele, Guido ne mette una davanti alla finestra, controlla l’andamento della pioggia.
Il vento si sta calmando.        
«La quiete dopo la tempesta, è così che si dice in giro, no?»            
Dante cerca di tranquillizzare gli ospiti.       
È in questo momento, in questo precisissimo momento che Guido capisce.           
È in questo momento che Guido si prende la testa tra le mani e «Adesso possiamo vedere le stelle.»
«Cosa? Scusami, non ti ho sentito.»   
«Dico che dopo il temporale le stelle si vedono meglio.»   

È in questo momento, in questo precisissimo momento che Guido capisce.           
È in questo momento che Guido si prende la testa tra le mani e «Adesso possiamo vedere le stelle.»

È tutto buio e non si vede niente, Guido sente uno spostamento di sedie, gli ospiti si muovono verso l’ingresso, lui li segue.      
Sarà tutto allagato, farà un freddo cane, l’ho proposto io, adesso devo proprio andare.
Stanno tutti insieme con l’acqua alle caviglie e il naso all’insù.        
I lampioni hanno resistito al diluvio, Guido può vedere le facce arrossate degli ospiti, rapiti dalla volta del cielo.           
È tornato dal suo spazio personale e adesso guarda su.       
Stasera la costellazione, più che al grande carro, assomiglia a un mestolo da brodo. 

 

Fotografia di Alex Prager