La nuova era del soprannaturale

La storia del soprannaturale è lo scarto tra la realtà e la fantasia.
Questo assunto è il punto da cui partire per Francesco Orlando nel saggio Il Soprannaturale Letterario[1], una portata innovativa nel discorso critico che consente di ampliare le forme e il tempo della letteratura dell’inconsueto (e non solo), senza cadere nel rischio intuito da Remo Ceserani[2] di elasticizzare o restringere eccessivamente la sfera semantica del fantastico secondo la definizione di Todorov[3] che, allo stesso tempo, rimane il miglior presupposto teorico.
Infatti, da una parte è necessario considerare come i grandi eventi della storia abbiano influito sulle strutture materiali e mentali dei testi del soprannaturale, ontologicamente in contrasto con la percezione comune del reale. Dall’altra, l’intenzione di un’opera, e il modo effettivo di essere del testo, ovvero la sua logica, non vanno trascurate. Il setaccio è costituito dall’intreccio di questi fili, e la narrazione viene così raffinata: offre le regole di ingaggio e gli elementi chiave che la vanno a comporre.
E da quella sintesi Orlando classifica il soprannaturale in sei grandi famiglie di appartenenza.
Lo fa comparando opere letterarie lontane nel tempo l’una dall’altra, lasciando però al lettore del saggio la facoltà di verificare l’appartenenza alle categorie orlandiane, ammettendo la possibilità di un’ibridazione come clausola di salvaguardia.

Da una parte è necessario considerare come i grandi eventi della storia abbiano influito sulle strutture materiali e mentali dei testi del soprannaturale, dall’altra l’intenzione di un’opera, e il modo effettivo di essere del testo, ovvero la sua logica.

Orlando definisce il soprannaturale più recente «d’imposizione» per via della prepotenza con cui si afferma nella realtà e rilancia che la realtà stessa è la regola d’ingaggio affinché questo tipo di narrazione si verifichi. La Metamorfosi di Kafka e Il Maestro e Margherita di Bulgakov sono i casi di studio.
La critica letteraria Beatrice Laghezza, utilizzando alcuni degli schemi di Orlando, definisce «post-umano» l’ibridazione tra soprannaturale di «indulgenza» e soprannaturale di «ignoranza» in chiave fantascientifica nel romanzo Partiranno di Luce d’Eramo che, denunciando i limiti dell’antropocentrismo, tratteggia la possibilità di un soprannaturale del post-umano.
Questa ipotesi è suggerita anche da Paolo Volponi ne Il Pianeta Irritabile o da Laura Pugno in Sirene, ma nell’ottica di un soprannaturale di «trasposizione e rimotivazione del mito apocalittico»[4].

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Regole, si diceva poco sopra, che trovano la loro forza, a volte, ne Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti[5], come appendice logica. Il soprannaturale letterario è un macro-mondo composito. E con un cambio di sguardo ci si potrebbe concentrare in questo o quel dettaglio delle narrazioni e il risultato non cambierebbe: le categorie orlandiane ritornerebbero.
Concentrandosi su altri aspetti della narrazione, si potrebbe notare come un elemento inedito della tradizione del soprannaturale influenzi il mondo circostante. Così per Kafka ne La Metamorfosi non solo Gregor Samsa è qualcosa di nuovo, ma anche la terza persona in presa diretta che racconta la scoperta del mondo per mezzo delle sue sembianze è uno sguardo nuovo sulle faccende degli uomini.
E il diavolo borghese dei Fratelli Karamazov non è solo per i suoi panni a stupirci, ma per come l’uomo, Ivàn Fëdorovič, accede al male incarnato come prima non era mai successo.
È di questo che si vuole parlare: Orlando ha posto in primo piano le regole del soprannaturale ma, avendo libertà di scelta, è interessante notare come le regole d’ingaggio cambino in corrispondenza di un modello mutato o nuovo rispetto l’accezione comune.

Per Kafka ne La Metamorfosi non solo Gregor Samsa è qualcosa di nuovo, ma anche la terza persona in presa diretta che racconta la scoperta del mondo per mezzo delle sue sembianze è uno sguardo nuovo sulle faccende degli uomini.

È accaduto – anche come effetto di stupore per il lettore – con la bambola Olimpia ne L’Uomo della sabbia di Hoffman, con il Necronomicon di Lovecraft e con i racconti di Ti con Zero di Calvino. E nel caso dell’autore italiano si può notare come l’esigenza del cambiamento abbia un fattore di fascinazione esterno, ovvero le grandi scoperte scientifiche e tecnologiche, ma anche interno: se Il Visconte dimezzato è per ammissione di Calvino l’incarnazione delle leggi della relatività, si potrebbe dedurre che abbia pensato che nuove regole della realtà incidano anche sull’essenza del soprannaturale.
C’è un punto di rottura con Calvino: la presa di coscienza che il fantastico, come lo avrebbe definito lui, ha delle esigenze innovative che vanno di pari passo con il mondo.
Non è solo influenza: è analisi e ricerca del presente.

Così pare, anche nell’epoca attuale di esplosione delle narrazioni volte alla stranezza e allo straniamento. Dalla Bizarro fiction al New Weird, fino a libri non categorizzabili come Il Cosmonauta di J. Kalfar, si registra anche in Italia, secondo quanto affermato da Vanni Santoni su «Il Foglio», “l’emergere con forza di narrazioni che, pur afferenti per stile e aspirazioni alla cosiddetta literary fiction, sfondano, e senza farsi troppi problemi, le barriere tra i generi, finendo per attingere elementi e dispositivi narrativi dal fantastico, dalla fantascienza e dall’horror, dando così vita a forme nuove del perturbante.”[6]
Nuove forme appunto, non solo un mostro di Frankenstein letterario del nuovo millennio.

Dalla Bizarro fiction al New Weird, fino a libri non categorizzabili come Il Cosmonauta di J. Kalfar, si registra anche in Italia “l’emergere con forza di narrazioni che […] sfondano, e senza farsi troppi problemi, le barriere tra i generi, finendo per attingere elementi e dispositivi narrativi dal fantastico, dalla fantascienza e dall’horror, dando così vita a forme nuove del perturbante.”

Tornando ad utilizzare la lente d’ingrandimento di Orlando si può dire che, da una parte viviamo in un’epoca in cui la razionalità ha sostituito il ragionamento e in cui lo stupore ha una dimensione prettamente estetica, dettato dal fatto che non ci sono più confini da esplorare e le grandi scoperte scientifiche sono racchiuse nei dettagli.
Senza contare l’incisività che i social network hanno avuto sulle nostre vite e quanto è cambiata l’informazione.
Dall’altra, l’intenzione delle opere attuali, come Dalle Rovine di Luciano Funetta, I vivi e i morti di Andrea Gentile e il filone distopico, Cometa di Gregorio Magini, è volta al mescolamento dei generi e, in conseguenza del periodo storico, a un nuovo senso di inquietante meraviglia.
Tornando a setacciare lo scarto tra la realtà e la fantasia, un elemento sembra essere al cardine di queste narrazioni: la coscienza di voler innovare i modelli della tradizione letteraria.
È per questo motivo che si potrebbe definire soprannaturale «d’innovazione» l’insieme di queste opere.
Prendiamo ad esempio J. Kalfar, Il Cosmonauta[7]: il romanzo tradotto da Federica Oddera affonda le sue radici in un immaginario spaziale tipico della fantascienza, ma il suo impianto narrativo è equamente saldo nella terra della Repubblica Ceca. Jakub Procházka parte verso i confini di Venere alla ricerca di Chopra, violacea nube spaziale misteriosa, ma non è l’eroe dei cieli che possiamo aspettarci. Il cosmonauta intraprende il viaggio a causa delle scelte di suo padre, morto decenni prima. Non un antieroe goloso di Nutella, perché in fondo anche lui ha una sua epica nell’affrontare il viaggio di andata e ritorno e, nel mezzo, quando incontra l’alieno che lo riporta indietro nei suoi ricordi. Neanche un Icaro, perché intraprende il volo sapendo già di bruciarsi, non avendo la possibilità di scelta della via intermedia. Jakub Procházka è un uomo consapevole di essere un eroe grazie al destino e a tanta pubblicità delle aziende che finanziano la sua impresa. Anche la navicella spaziale che comanda è un qualcosa di nuovo, in quanto costruita come razzo-prodotto pubblicitario delle multinazionali di un piccolo paese dell’est Europa, pertanto un po’ scalcagnata ma sufficientemente equipaggiata per portare un uomo nello spazio.

 

 

Questi elementi hanno una funzione a volte parodiale, ma mai simbolica. Nel senso che Jakub Procházka non è un Don Chisciotte, non rappresenta la fine delle avventure cavalleresche anche se ne fa sentire la malinconia.
La JanHus1, navicella concepita per battere sul tempo il resto del mondo, fatto improbabile già dalla presentazione, non è solo un Nautilus che pubblicizza merendine ma allo stesso tempo è la voglia di successo di un piccolo paese europeo. Pertanto, per quanto l’ironia sia un linguaggio fortemente connotativo del testo, non va a ledere la dimensione dei personaggi e dei loro destrieri.
Sfugge così alla definizione di soprannaturale di derisione, che prevede una pratica iconoclasta e di discredito del genere stesso.
L’alieno aracnoide presente nel romanzo è poi un oggetto narrativo inedito. Come tutti gli esseri dell’universo vuole conoscere forme di vita diverse dalla sua, ma lo fa per affermare la sua dimensione di estraneo nella sezione di spazio in cui è stato catapultato.
Se Gregor Samsa è un corpo nuovo in un mondo conosciuto, Hanuš è corpo ereditato in un mondo sconosciuto. L’alieno vive una condizione umana per quanto si trova malinconicamente nelle profondità del cosmo, tanto che potrebbe essere un’appendice immaginifica di Jakub Procházka, oramai al completo sbando nella sua vita sentimentale e di avventuriero.
Eppure non è definibile come soprannaturale di ignoranza, dove l’incertezza è spesso veicolata da una prospettiva interna ai personaggi: per quanto sia l’elemento più assurdo, l’alieno dimostra di esistere nella realtà narrativa con la messa in scena della sua morte. È una convenzione bene precisa: la morte, testimonia l’esistenza fisica.
L’alieno è semplicemente il ribaltamento della prospettiva di Gregor Samsa. Dal momento che cambia di universo, egli deve avere a che fare con un corpo nuovo, non perché è mutato, ma perché sono cambiate le condizioni di adattamento.
Così l’uomo-scarafaggio e l’alieno sono un insieme di metafore: emarginazione, malattia, solitudine e così via.

L’alieno è semplicemente il ribaltamento della prospettiva di Gregor Samsa. Dal momento che cambia di universo, egli deve avere a che fare con un corpo nuovo, non perché è mutato, ma perché sono cambiate le condizioni di adattamento.

Qualche appassionato de Il soprannaturale letterario avrà già pensato al soprannaturale di imposizione. Eppure, per quanto l’appartenenza possa essere lampante, un dato sembra essere diverso rispetto agli esempi di Orlando, ovvero la regola della realtà. Se il soprannaturale di imposizione è magnificamente definito come “un pugno sul tavolo” rispetto al mondo comunemente inteso, la realtà alternativa presentata in questi libri, come ad esempio in Dalle Rovine di Funetta, è tutto sommato un fatto sconvolgente di per sé, nel suo essere bizzarra, e non in relazione ai fatti quotidiani.
Il mondo può essere sconvolto come non esserlo, ma non è la clausola del patto che conferma l’esistenza di quanto viene narrato. Anzi, il rapporto si ribalta e la vera infrazione è quella della realtà nel mondo soprannaturale. Del resto, solo in questa maniera gli elementi di questa narrazione vengono sgravati del peso allegorico.
I casi sopra riportati parlano di una realtà presente, conosciuta secondo la sensibilità comune.
A ben vedere, esistono alcuni casi di narrazioni recenti in cui c’è un rapporto con il mondo esterno, ma in un tempo lontano nel futuro.
Non solo, ad esempio, nella Trilogia dell’Area X: Annientamento-Autorità-Accettazione di Jeff Vandermeer, le parole della moglie, nonché editor dell’autore, rendono l’idea come ci si trovi di fronte a «un tipo di narrativa ambientata in un mondo inventato in cui la visione romantica sui luoghi tradizionalmente descritti nel fantasy è sovvertita, perché le ambientazioni sono modelli complessi basati sul mondo reale che servono come punto di partenza per mettere insieme elementi fantascientifici e fantasy»[8].
In poche righe sono presenti tutti gli elementi che, per ricapitolare, il soprannaturale di innovazione presenta: in primis coscienza del rinnovo e/o invenzione dei modelli del soprannaturale; in secondo luogo, ribaltamento del rapporto tra realtà e soprannaturale e, infine, dimensione allegorica ridotta al minimo, se non nulla.
Come abbiamo visto, il testo di Orlando apre a una serie di nuove riflessioni sulle modalità con cui il soprannaturale s’insinua nell’humus narrativo. Riflessioni preziose che, però, non son un punto d’arrivo ma servono come strumento per stimolare un dibattito oggi più attuale che mai.
Se da una parte è vero che si tenta di categorizzare i fenomeni attuali, dall’altra un desiderio di contribuzione esterna anima questa scrittura.
Per il resto, rimane l’amore per il mondo così come non lo conosciamo.

Collage di Bowo Studio

 


[1] F. Orlando, Il soprannaturale letterario. Storia, logica e forme, Piccola biblioteca Einaudi, Nuova serie, 2017, XXV p. 190

[2] R. Ceserani, Il fantastico, Il Mulino, Lessico dell’estetica, 1996 p. 172

[3] Tz. Todorov, La letteratura fantastica [1907] Garzanti, 1995, p. 170

[4] http://www.progettoblio.com/files/Att3-29.pdf

[5] F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Piccola Biblioteca Einaudi, 2015, p. 574

[6] https://www.ilfoglio.it/cultura/2018/11/12/news/la-rivincita-letteraria-del-new-weird-italiano-ma-non-chiamatelo-sottogenere-224001/

[7] J. Kalfar, Il cosmonauta, Guanda, Narratori della fenice, 2018 p. 336

[8] https://www.ilpost.it/2018/03/12/jeff-vandermeer-annientamento-borne/

Figli del complotto

C’è stato un giorno in cui hai appioppato la spiegazione più irrazionale ai fatti della tua vita. È quello che fanno gli autori del fantastico: non si sono accontentati che gli eventi della narrazione affondassero in un mare logico. Infatti, il fantastico applica i fatti alle teorie.
Se si allarga ulteriormente il cerchio di questo movimento, c’è poi una forma narrativa che, a seguito degli aventi più traumatici della nostra storia, ha agito in questa determinata maniera: le teorie complottiste. E se qualcuno può storcere il naso a questa affermazione, non deve considerare la questione dal punto di vista prettamente politico, bensì dall’angolatura della narrazione.

Il complottismo ha proposto più di tante altre forme una narrazione pilotata. Anche il reality show, ad esempio, adotta alcune strutture simili: un gruppo di persone famose si ritrova sopra un’isola deserta e dovranno superare delle prove per sopravvivere. Milioni di spettatori votano da casa i loro protagonisti preferiti, con il dubbio che tutto quello che stia avvenendo sia pilotato dall’istinto umano o ci sia un copione che i vip devono seguire (uragani tropicali compresi). Tutto molto distopico. Se non fosse che lo trasmette la TV in prima serata e i protagonisti sono spesso scadenti, le nostre papille intellettive ne sarebbero attratte, del resto chi non hai mai guardato almeno una puntata dell’Isola dei famosi?
I reality show oramai sono cosa vecchia, ma le teorie del complotto rimangono vive a distanza di decenni. Il motivo è che queste ultime fanno leva sul cono d’ombra della realtà che tanto interessa agli autori del fantastico.

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I reality show oramai sono cosa vecchia, ma le teorie del complotto rimangono vive a distanza di decenni. Il motivo è che queste ultime fanno leva sul cono d’ombra della realtà che tanto interessa agli autori del fantastico.

Il volto del diavolo che compare nella nuvola di fumo della torre del World Trade Center in seguito all’attentato dell’11 settembre 2001, oltre ad essere la mia teoria preferita, è una foto scattata dal fotoreporter Mark D. Phillips (come dichiarato presso Stellarimages.com) e non presenta alcuna manipolazione.
Il fenomeno è stato spiegato a livello scientifico e porta il nome di pareidolia, ossia la tendenza istintiva e automatica a trovare forme familiari in immagini disordinate. E quale atteggiamento più umano della mente che si fa suggestionare.
Del resto il fantastico del ‘900 ci insegna che il diavolo si veste di abiti borghesi, e la sua esistenza vive nel tempo di un’esitazione dei fatti che vengono narrati, citando Tzvetan Todorov.

Un atteggiamento, quindi, che già si registra. Massificato negli ultimi 20 anni dal web e dalle tecnologie, e da una perizia maggiore delle forme narrative dei produttori di teorie del complotto.
Il nuovo modo di fare complottismo giova di due fattori: la replica del contenuto e un contenitore uguale per tutti (forum, YouTube, social, ecc.). Così, prima o poi, ci siamo ritrovati tutti sul treno con il tizio sconosciuto che comincia a raccontarti di questa o quella teoria sulle grandi manovre di società segrete, con lo stesso stile narrativo della voce fuoricampo del docufilm Zeitgeist. Senza sapere come rispondergli.

Così, prima o poi, ci siamo ritrovati tutti sul treno con il tizio sconosciuto che comincia a raccontarti di questa o quella teoria sulle grandi manovre di società segrete, con lo stesso stile narrativo della voce fuoricampo del docufilm Zeitgeist. Senza sapere come rispondergli.

Il procedimento della narrativa fantastica è lo stesso: è una teoria su ciò che sta dietro la realtà dei fatti che ti sto raccontando. Forse, è per questo che un libro come Le 20 giornate di Torino di Giorgio De Maria ha avuto più successo ai giorni d’oggi che negli anni ’70. Letto adesso, spurio del forte messaggio politico che poteva essere recepito allora, racconta violenti attentati accaduti nel capoluogo piemontese commessi dalle statue del centro in ribellione.
Il fantastico si concentra su trame e fatti meravigliosi. Ma, a ben pensarci, quando l’osservatore si trova di fronte lo schermo TV e assiste alla caduta delle torri gemelle, alla strage in Siria o è fisicamente partecipe della grande crisi economica del 2008, la razionalità cede sempre lo spazio al dubbio, a tutto quello di oscuro che fenomeni così devastanti nascondono alla vista e alla mente.

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Il fantastico si concentra su trame e fatti meravigliosi. Ma, a ben pensarci, quando l’osservatore si trova di fronte lo schermo TV e assiste alla caduta delle torri gemelle, alla strage in Siria o è fisicamente partecipe della grande crisi economica del 2008, la razionalità cede sempre lo spazio al dubbio, a tutto quello di oscuro che fenomeni così devastanti nascondono alla vista e alla mente.

Le risposte sulle reali meccaniche di quegli avvenimenti sono state date, ma anche tra i più attenti analisti c’è sempre discordanza sull’origine delle cause. Del resto il mondo, che lo si voglia o no, non ha chiavi di letture univoche e la semplice osservazione, secondo la fisica quantistica, influenza la realtà.
Forse, proprio perché la tesi è che la realtà abbia superato l’immaginazione, alcuni autori hanno assimilato che eventi inediti siano accettabili dal lettore più di prima e così anche le loro spiegazioni.
L’autore del fantastico ha dato spazio ai fatti della propria immaginazione, applicandoli alle teorie. Una dualità che è ben espressa ne Il cosmonauta di Kalfar. Il romanzo ha due linee narrative: da una parte il protagonista che viaggia verso lo spazio e incontra un alieno, dall’altra la vita del protagonista dalla rivoluzione di velluto ai giorni nostri. La prima storia è apertamente fantastica e vira verso la fantascienza. La seconda, invece, appartiene al romanzo storico con tanto di narrazione socio politica della trasformazione di Praga negli ultimi trent’anni. Tutta questa storia il cosmonauta la rivive attraverso un collegamento sinaptico con l’alieno. E il lettore è disposto ad accettare tutto questo. Un po’ quello che avvenne con Mattatoio n.5 di Vonnegut. Ma mentre Billy è affetto da disturbo da stress post-traumatico, e la realtà del suo viaggio a Tralfamadore è in dubbio, tutta la narrazione di Kalfar ha dei presupposti solidi e una dimostrazione storica che quel viaggio nello spazio possa avvenire. Addirittura il lancio del missile su cui Jakub Procházka si ritrova, si scoprirà essere tutta una macchinazione nei suoi confronti.

Infine, l’autore ha necessità che il lettore creda alle sue storie. E il fatto che tutta la narrazione della realtà di questi ultimi vent’anni abbia assunto sfaccettature così variegate aiuta di certo. La semplice esistenza di teorie del complotto, alle quali si può aver avuto accesso su internet o per bocca di un amico o da un pazzo sul treno, ha generato uno stato mentale di accettazione delle spiegazioni più radicali agli eventi più traumatizzanti.
L’affermazione del fantastico contemporaneo è quindi figlia del nostro tempo e del nostro spazio. L’istinto primordiale dell’uomo allo stupore del resto è incontrollabile, e quando l’immaginazione va in crisi la realtà oggettiva può solo che smembrarsi di altre realtà parallele, simili o opposte al mondo così come lo conosciamo.

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Illustrazioni di Irene Rinaldi

Verrà un pappagallo e avrà i tuoi occhi

Ricorderemo sempre l’agosto del 2011 come l’estate del lavoro da guardiano di Giò, le mitragliatrici punk a 45 giri e i pappagalli. Genova è la capitale europea dei pappagalli. I primi nidificarono a Villa Gruber negli anni ’70 e così si riprodussero e si espansero; attualmente sono quasi trenta specie quelle che vivono sopra i tralicci e gli alberi delle vie del centro. Qualcuno dice che siano scappati da un circo.
Alle 6 pomeridiane io, Giova e Nico ci scoliamo le birre della sera prima lasciate in giro per casa, ma nel dopo-lavoro si lascia correre anche questo, come tutto. Con quel caldo le finestre sono aperte, così che anche nel palazzo nessuno fa più finta di vedersi, e a maggior ragione nel pianerottolo che serve da balcone comune.
La sig.ra Dominici invece non esce mai. Nico dice che è una vecchia strana. Mentre la sig.ra Arena, lei sì che è una gran fica dice Giova, secondo me prima o poi qualcuno se la scopa. Ma la Sig.ra Dominici sicuramente è la persona più interessante, dico io.
Ti piacciono le vecchie?
La storia della collezione di occhi di vetro la conoscete: faceva l’infermiera al San Martino negli anni ’60 e fregava gli occhi dal reparto di chirurgia oculistica, a volte iniettava degli acidi ai pazienti e asportava i bulbi oculari.
Solo perché lei ha l’occhio di vetro, non significa che ne abbia una collezione di veri.

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Verso il centro

A Angelica Damiani

Angelica e una lampadina elettrica,
c’è la portafinestra aperta
del balcone a uso comune, sul cortile della Vanchiglietta
e dalla palestra là fuori i karateka fanno
ah! aaah! aaah! ah!
La vecchia Locurato che tira giù i plasticoni (anche i nostri)
assomiglia ad una salamandra
per lo più i plasticoni sono verdi
ma ce ne sono anche a strisce gialle.
La vecchia Locurato, che assomiglia ad una salamandra
li tira giù anche se fa caldo già da maggio.
Che afa, non abbiamo il televisore in casa
e i karateka fanno ah! aaah! aaah! ah!

Il sax di Coltrane si perse nei semi di soffioni
arrivati in città il 27 aprile con il Maestrale,
a dire il vero le rondini erano già arrivate
almeno due settimane prima alle ore 6.16
mi pare fosse Maestrale
ma qua non si capisce da dove vengano i venti.
Ah! aaah! aaah! ah!

Via Cossila rimane a fare la posta ai parcheggi liberi,
al Cinema Fratelli Marx ogni tanto emerge qualche relitto
dall’asfalto e le parole di quello che urla alla moglie cadono
dal parapetto, tra la festa per gli acchiappasogni in divisa
alla fermata del 68 che va verso il centro, le parole
di quello che urla alla moglie che piange limoni
tutta la notte, che afa, non abbiamo il televisore in casa
ma siamo sotto certe albe
mentre si discute nei bar dell’androginia di Torino,
ah! aaah! aaah! ah!
Le albe germinano ma siamo sotto certe albe, sì
oggi ho fumato solo 5 sigarette, tu tre.
Angelica e un lampadina elettrica:
sguardi concentrati
su edifici pubblici come in un film su New York,
abbiamo tracce delle storie ancora per qualche decennio?
Sì, oggi ho fumato solo 5 sigarette, tu tre,
anche il modo di procedere è cambiato,
tutto senza didascalia, i timori riflessi in oblò di cenere,
giriamo in bicicletta, che afa, ti ho portato fino in Via Cuneo,
dove ci sono quei pilastri di cemento delle fabbriche abbandonate.
È impossibile svuotare quel vuoto se non si parte dall’intonaco
dei muri, ma qualcuno è indeciso se le fabbriche
siano meglio abbandonate o meno.
Io non posso saperlo, mi ha chiamato un amico
e mi ha ha detto che aprono un centro commerciale.
Cosa sia meglio –  se la fabbrica o il centro commerciale –
io non posso saperlo, è solo maggio per sapere tutte queste cose,
che afa, chiedilo alla vecchia Locurato, lei ha visto tutto,
anche se tirava giù i plasticoni verdi già prima
che arrivassimo noi in via Cossila, e tirasse giù
anche i nostri.
Ah! aaah! aaah! ah!

Angelica e una lampadina elettrica,
c’è la portafinestra aperta
del balcone a uso comune sul cortile della Vanchiglietta
e dalla palestra di fuori i karateka fanno ah! aaah! aaah! ah!
A fine agosto ci trasferiamo, ci muoviamo verso il centro,
lì l’afa si sente lo stesso, ma non dobbiamo prendere la bici
per andare a farci un giro al parco o andare al fresco
nei negozi ventilati, l’idea del sole che si scansa infastidito
sotto i portici non è male, che afa, chissà come se la passano
i mangiafuoco ai semafori, ogni tanto aspetto di vedere
se gli cade un bastone infuocato e scatta il verde.

Angelica e una lampadina elettrica,
distopie post-punk sfilano al ritmo
del sorriso di robot giapponesi anni ’80

chiedilo alla vecchia Locurato, lei ha visto tutto
anche se tirava giù i plasticoni verdi già prima
che ho perso il lavoro da giornalista,
ma ci trasferiamo verso il centro a fine agosto

da lì via Cuneo è distante, difficile andarci a fare un giro
a vedere le fabbriche crollate
tanto un progetto si prefigge di trasformare il SAI
in un luogo di aggregazione: una piazza coperta sul modello
dell’Espace 104 di Parigi sull’esempio di altre grandi città europee
ah! aaah! aaah! ah!
Una piccola mano fruga in maniera veramente interessante
da dietro i plasticoni
ah! aaah! aaah! ah!
Può bastare una canzone e un po’ di sudore
per vendere tutti questi pomeriggi dal balcone, che afa
la vicina continua a piangere limoni
e me ne sto alzato fino a tardi
pensando cosa fanno i mangiafuoco ai semafori
qualcuno fa poca fatica a dire addio ai relitti
che emergono dal cemento – bisogna girare a destra
e poi, dritto dove ci sono quelle regine
con le teste gelate dal comune senso di vigilanza –
quando è caduta quella fabbrica
ci ha lasciato solo la pelle
e ora è come se tutto fosse escluso sin dall’inizio,
perché anche se non ti affezioni ai luoghi
è sempre meglio che contarli
mentre girano attorno alle caviglie

– no, non sono di qui,
vengo dal vento di quel paese là dietro,
però se gira l’angolo e fa cento metri
troverà degna sepoltura

hai presente quel nostro amico con cui parlavamo tutte le sere?
Ha detto che da qua non si muove, ma almeno
ha il televisore nuovo, noi andiamo verso il centro,
l’afa si sente ma non dobbiamo prendere la bici
per andare a farci un giro al parco o andare al fresco
nei negozi ventilati, l’idea del sole che si scansa infastidito
sotto i portici non è male, quando saluteremo la vecchia Locurato,
che assomiglia ad una salamandra, sarà felice che la gatta
non le scappi più in casa, non dovremo chiamarla e non ci ricorderà
di tirare giù i plasticoni, il nostro è verde, mi piacerebbe averne uno
a strisce gialle.

Opera di Emanuele Longo