



Luci e ombre sul futuro della Cavallerizza Reale
A cavallo tra lo storytelling, la pregnanza artistica, l’operazione commerciale e la necessaria conseguenza dell’esporsi, la proposta di PIOVE. è di forte efficacia: un sibillino profilo instagram che comunica sia al femminile, due singoli affilati e potenti (il secondo dei quali in collaborazione con nientemeno che Claver Gold) ed un endorsement misterioso che ha permesso ad un progetto di cui non si conoscono né i nomi né i volti di essere accolto tra le fila di Woodworm e di Locusta Management. Meritatamente, lo si sente.
Un aspetto del comunicare è la costruzione di un immaginario preciso, coerente, identificativo, che possa fare suonare nuovi significati all’interno di parole altrimenti cave: il contesto che aleggia su un piano superiore delle singole opere e che le collega, che rende personaggio un artista (con tutti i rischi e i guadagni conseguenti), può allargare una narrazione, identificarla, generare moti più empatici che razionali. Sotto questo punto di vista, se la proposta di PIOVE. può infatti non convincere alla sola lettura dei testi, è schiacciando play che istantaneamente ci si ricrede. Le strofe, identitarie e dirette come un post su Diesagiowave ai tempi d’oro, prendono vita grazie alla resa sonora che mette in campo. La voce dietro il cappuccio della felpa rosa degli artwork renderizzati diventa una maschera, un personaggio chiaro che incarna angosce adolescenziali e che ne raccoglie sfumature ben precise, notturne, disilluse, sofferte, annoiate e ciniche, e ad essa si unisce un lavoro di produzione che non accetta di essere relegato al ruolo di beat e prende in mano le redini dell’immaginario senza uscire dagli stilemi di un genere, ma utilizzandoli con sapienza. Pianoforti in primo piano, strumentali che scompaiono in un click e seconde voci che mutano a sorpresa, ritornelli ossessivi e campionamenti didascalici si alternano rapidissimi seguendo l’evolversi dei flow messi in campo dalla parte vocale, non solo accompagnandolo passo per passo ma ribadendo costantemente il suo ruolo.
È il racconto sonoro che sta dietro a PIOVE. che genera la sua forza, descrivendo un immaginario con riferimenti chiari ed accostati con cura: il retrogaming ed il virtuale in generale, l’hyperpop, il fumetto, il grottesco, il vuoto. Spesso l’errore nella spoken word (che si tratti di produrla o di fruirne) è quello di dare così peso alla centralità del testo da ridurre la sensibilità a tutto il resto che giunge all’orecchio, ed è su questo che il progetto gioca, rendendolo impossibile, esasperando gli elementi non verbali restando a pochi millimetri dalla linea della forzatura, e riuscendo in tutto questo a risultare persino pop.
A questo va ad aggiungersi tutto l’impianto di comunicazione messo in piedi attorno a loro, dalle lapidarie biografie sui siti della loro etichetta alla loro figura sui social: PIOVE. è un universo narrativo che sta schiudendosi lentamente ma che ha chiare intenzioni, già a partire dal nome pensato per la sua resa grafica, ovvero la comunicazione di un mood attraverso tutti i mezzi disponibili, e la parola è solo uno di questi.
Fagli vedere chi
Fagli vedere chi
Se non dico cosa mi tormenta
Prendo fuoco dentro
Mi vedo allo specchio
Sembro una TV
con lo schermo spento
Dice: “Se dormi, domani andrà meglio”
Ma rimango sveglia
Perché di notte, lo sai non temo nessun risveglio
Niente sorrisi che poi non ridi
Niente più corse se non arrivi
Dammi la penna, che cosa scrivi?
Non so nemmeno se siamo vivi
Faccio pena, guarda qua
Dai, non dire, non si fa
Capitan America
Sento già che mi odierai
Fagli vedere chi sei
Fagli vedere chi, fagli vedere chi sei
Fagli vedere chi, fagli vedere chi sei
Fagli vedere chi, fagli vedere chi sei
Fagli vedere chi, fagli vedere chi
Fagli vedere chi sei
Chi mi dice che cosa devo fare
Sa di fare male
Scene già viste, sembra un déjà vu
Dai, lasciamo stare
Dice: “Se dormi, va via il dolore”
Ma già sono altrove
Mettiti comodo e guardami, serie dell’orrore
Niente punti di riferimento in alto c’è il pavimento
Ti vedo agitato, mi spiace, peccato
Ma qui l’aria è densa come cemento
Fagli vedere chi
Fagli vedere chi, fagli vedere chi sei
Fagli vedere chi, fagli vedere chi sei
Fagli vedere chi, fagli vedere chi sei
Fagli vedere chi, fagli vedere chi
Fagli vedere chi sei
Mi rimane in testa la tua voce
Tipo lampadina accesa senza pace
Corre, va veloce, va veloce
Io non ne sarei mai capace
Sembravi una piuma ma non di un rapace
E invece vedo, vedo, vedo i mostri
Ho gli incubi tutte le notti
Tu in fondo vorresti i miei occhi
Io affondo, vorrei che scappassi e
Non capisco dove ti vuoi infilare, cosa vuoi rubare
Cosa non hai che ti vuoi portare via
Le sere si fanno più nere
Tu ancora mi dici: “Fagli”
Vengo sul vostro profilo di Insta
Con l’attenzione di un dadaista
Con la paura dentro la mista
E la fattura dell’analista
Ora che il mondo è individualista
Punto sull’uomo come un sofista
Ora che il male è merda d’artista
Spero che un Dio che ci salvi esista
Ora che l’ansia mi guida le mani e la vita
Ed io parlo solo con lei
Mi tengo stretto la faccia ed esanime
Conto le lacrime di Man Ray
Penso che non va come vorrei
Qui le sconfitte sono trofei
Ora è il momento di uscire, gridare, morire
Tu fagli vedere chi sei, sì
Fagli vedere chi, fagli vedere chi sei
Fagli vedere chi, fagli vedere chi sei
Fagli vedere chi, fagli vedere chi sei
Fagli vedere chi, fagli vedere chi
Fagli vedere chi sei
sopra la piazza di Sainte-Catherine
dove non ci sono tiratori o fuoco
ma saldi al 40% svendite e liquidazioni
dove non ci sono fallimenti e sangue
ma tazze di caffè di maître à penser
Un numero sconosciuto, con ogni probabilità una pubblicità infestante, ma avevo bisogno di parlare con qualcuno da quando Lisa mi aveva lasciato. Risuonò limpida dalla cornetta una marcetta gioiosamente psichedelica che accompagnava i versi dell’Eterno riposo. L’attesa durò meno di quanto mi aspettassi.
“Salve Cappa, siamo Emma e la chiamiamo per conto delle onoranze funebri Solo Andata & Soci. Siamo consci che per lei si tratta di un momento quanto meno doloroso e certamente complesso, tuttavia io e i miei soci lo pensiamo diversamente, se ci consente l’espressione, come qualcosa di speciale, per certi versi irripetibile”.
Mi schiarii la voce, “Lisa mi ha solamente lasciato, ma come al solito si tratta di un’assenza temporanea, non che non ci soffra, ma è prematuro stabilire…”, la voce dall’altro capo sospirava tradendo soddisfazione, “certo… ma certo, così si reagisce, è tutto scritto anche nella FAQ del nostro depliant: al punto 1 si specifica come affrontare il lutto; in realtà però si tratta nell’insieme di una sorta di manifesto corporate spirituale. In buona sostanza, rigettiamo l’idea che il mondo sia riducibile a un insieme di oggetti percepiti come reali, bensì lo immaginiamo come una rete di relazioni interpersonali o se vogliamo, più genericamente parlando, di accadimenti, che danno vita a una spirale virtuosa in grado di rinnovare costantemente l’energia del creato; una sorta di giostra celestiale di anime che vanno e vengono, e si immagini che siamo noi, la Solo Andata & Soci, a gestirle…”
Risi con naturalezza, come non mi capitava più da molto tempo. “Siete dei monopolisti dell’eternità, chissà che tariffe…“ La voce sospirò, “in realtà, pur essendo leader nel mercato dei trapassi, tutto sommato siamo a buon mercato e in questo momento abbiamo delle offerte speciali per lei, Cappa…”
Mi feci serio. “Suona bene, se mi manda un paio di preventivi, magari potrei pure farla finita… Non sono uno che rinuncia a un buon affare per dei dettagli.” S’inserì di nuovo quella musichetta dell’Eterno riposo, quindi la voce riprese da dove aveva terminato: “Non è il momento di essere faceto, non qui, non ora, rimanga lucido e si lasci andare, dagli addobbi floreali alle decorazioni sulla tomba, fino alle preghiere per i defunti. Deve capire che noi scriviamo liriche ad hoc: ci dia solo qualche spunto, ci descriva per sommi capi la sua Lisa… E non sottovaluti il potere lenitivo delle parole, potrà così accompagnarla nel suo viaggio.”
Provai a riagganciare, quando mi ritrovai con la cornetta nuovamente posata sul padiglione auricolare. Quindi partirono di nuovo con la musichetta gioiosamente psichedelica e i versi dell’Eterno riposo: “Salve Cappa, siamo Emma…”
La sveglia segnava che era da poco trascorsa l’una di notte. Per risparmiare sull’affitto avevo dato l’assenso all’inserimento di inserzioni pubblicitarie nel sonno, solo che era diventato complicato riposare. Mi alzai, mentre Lisa era tornata nei miei pensieri, o meglio aveva ripreso ad assediarli senza tregua, quando invece credevo di essere riuscito a buttarla sul non disturbare.
Se ne era andata, ma non era una novità; spesso usciva per andare in discoteca o con amici per poi tornare all’alba o magari al pomeriggio del giorno dopo, come nulla fosse, con un trucco impeccabile e persino risentita del fatto che non l’avessi cercata abbastanza. Lisa prendeva delle pastiglie che le alteravano l’umore, la rendevano instabile, ma si trattava di un espediente medico per non farle perdere del tutto il controllo. Però io non la cercavo proprio, a dire il vero – o forse non quanto avrei dovuto; ma era davvero colpa delle medicine se non rispondeva mai alle mie telefonate o se fuggiva da me quando tentavo di riportarla a casa? Stavolta mi domandavo se fosse il caso di denunciarne la scomparsa; erano trascorsi più di due giorni da quando aveva detto di dover andare a un party con certe amiche.
Tirando su la cornetta, notai una spia accesa che segnalava messaggi non letti in segreteria. Immaginai fosse Lisa, anzi ne ero certo, già sentivo la sua voce che mi chiedeva di andarla a prendere a un posh party protrattosi troppo a lungo. Invece si materializzò nuovamente la marcetta gioiosa e psichedelica, seguita dal “Riposa in pace”, questa volta recitato da una voce cavernicola, ma dannatamente melodiosa. Passai al successivo e a quello dopo ancora e decisi che la cosa più ragionevole da fare sarebbe stata non ascoltare più il messaggio e lanciare con violenza gratuita l’apparecchio SIP sul pavimento. Tornai a letto.
Tutto cominciò con un suono sinistro, come se delle vertebre si staccassero fragorosamente dal corpo. Sulle prime notai che alcune piastrelle si stavano gonfiando come se fosse in corso un terremoto. Protetto dal tepore della luce, osservai il reticolato ribollire, alcune piastrelle iniziarono a rompersi, altre saltarono per aria. Il fenomeno si estendeva a ogni stanza della casa.
Quando suonarono alla porta, faticai a raggiungerla, ferendomi e inciampando nel tragitto.
Dagli spazi rarefatti del pianerottolo apparve la mamma di Lisa. “Non mi fai accomodare?”, mi chiese e io mi scusai della situazione di disagio. Lei non sembrò impressionata, tanto da schivare con una certa grazia indifferente le piastrelle. Una volta accomodatasi sul divano, parve però agitarsi: “Non è tornata vero? E al cellulare risulta sempre raggiungibile…”
Non ricambiai il suo sguardo, risposi con un cenno di assenso e mi strinsi nelle spalle. “Starà sniffando al posh party di quelle sue amiche snobbissime e astiose, mentre alternano tartine al tofu a blocchi di sushi, il tutto annaffiato da cocktail grondanti al retrogusto di betulla, fino a quando l’effetto predatorio della polverina non sale…”
La mamma di Lisa si mosse con la stessa velocità di un ninja strafatto e contemporaneamente, mantenendo quel minimo di educazione dal quale proprio non poteva esimersi sibilò: “Devo andare in bagno.”
Non feci in tempo a fermarla, però le gridai comunque che il bagno era irrimediabilmente compromesso e inaccessibile, quando una piastrella mi colpì in viso, poi un’altra, o con tutta probabilità si trattava sempre della stessa. In ogni caso mi ritrovai a terra, temporaneamente tramortito.
La raggiunsi trascinandomi al suolo. Ero livido in viso, escoriato sui palmi delle mani, in modo profondo, tanto che una scia del mio sangue seguitava la mia ombra lungo geometrie sconnesse. Ritrovai la mamma di Lisa seduta per terra davanti alla porta a vetri del bagno. Non si muoveva. Guardava per terra. Le poggiai le mani sulle spalle: “Vedrà, i posh party non durano più di due giorni, sono le regole antiche dell’intrattenimento e nel caso avrei un paio di indirizzi dove trovare Lisa, mi creda si tratta solo di portare pazienza… prima o poi quei cangianti buffet si esaur…”, si alzò tremolante senza dire nulla, lo sguardo basso che si affossava ben oltre la superficie del suolo.
Quando quella sinfonia cacofonica di mattonelle si acquietò come se si fosse trattato del glitch di un abisso marginale; un accadimento che per sua stessa natura non poteva durare.
Così il pavimento ormai aveva ritrovato il suo ordine originale e allo stesso modo anche le mie ferite si erano rimarginate.
Ci lasciammo alle spalle la porta a vetri, sulla quale si disegnava un’ombra dalle fattezze simili a quelle di una ragazza sospesa nel vuoto, ma con ogni probabilità si trattava di un’illusione ottica, dovuta probabilmente ad una luce difettosa, che non ne voleva sapere di spegnersi e nemmeno di funzionare correttamente, generando feticci, come riflessi di un accappatoio vuoto appeso in un vuoto abusivo.
La mamma di Lisa fece per accomiatarsi, pur sembrandomi ormai lontana, come se fosse smarrita nei recessi di sé, così mi sembrò appropriato darle il numero della Solo Andata & Soci, consigliarle di parlare con Emma, suggerendole di darle del noi e specificandole che “si tratta di pubblicità infestante, ma ne trarrà comunque conforto, hanno una buona colonna sonora e delle preghiere ad hoc.” Fece segno di sì in modo sommesso, per poi rianimarsi in un sussulto di vita, soggiungendo: “In realtà vorrei prendere parte a quel posh party con quelle amiche snobissime.”
Feci un altrettanto sommesso cenno di assenso. “Tofu e cocktail grondanti? Andiamo”.