Le parole

L’ufficio della signora Ramona Rinaldis era l’ultimo residuo di storia rimasto in città. I mobili all’interno erano ancora fatti di vero legno – mogano, per essere precisi e una sottile fumaglia di incenso si diffondeva in maniera autonoma, nascondendo l’odore di muffa di alcuni vecchi volumi, stipati senza troppa cura sugli scaffali. Cianfrusaglie sparse con sana casualità raccoglievano la polvere e portavano il ritmo degli anni, e poi i fogli; c’erano fogli di tutti i tipi, a righe, a quadretti, fogli protocollo, fogli bianchi o in carta riciclata, ma soprattutto c’erano fogli scritti.
Wolfgang Amadeus Mozart stava suonando il suo “Rondò alla turca” mentre, sotto gli occhialetti da attenta lettrice qual era, Ramona stava meditando sul da farsi, indecisa sul come e sul quando far suicidare il suo personaggio principale.

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La vita accade

14389945_10208843170790853_525046052_n“La vita accade dentro di me”, scrive Livio Spanò nella poesia omonima che dà il titolo alla sua silloge. Quarantasette componimenti che sciorinano un discorso poetico che si fa verboso, auto-critico e auto-riflessivo, nella presenza predominante di un io narrante che vede e provvede, che fa a modo suo, che non fa sconti e tutto regola, tutto ridice.
Il poeta e pittore di Agusta conferisce ai suoi versi la stessa sostanza delle pareti di casa o del vivaio dove si va a lavorare la terra – anzi li canta, perché la sua poetica si riallaccia da subito a quell’alfabeto di strade che fa del prendere fiato il suo andare a capo, in una cognizione del verso che nasce «per la voce», per essere letto e scandito verbalmente. Il versante della scrittura è qui teso verso le cose del mondo, non lascia spazio a metafore o correlativi oggettivi: sono le cose stesse a comporre i versi, e sono i versi a restituire concretezza e dignità alle cose di ogni giorno, alle ansie di ogni giorno che, visceralmente, vengono introiettate per poi essere «sputate fuori», in un presente tanto incerto quanto opprimente.
Il «circo degli orrori» di cui Spanò è anfitrione è costellato di frigoriferi vuoti e di bicchieri pieni solo a metà, laddove il cristallo si fa tramite per descrivere la fragilità di un’esistenza precaria, mentre l’anatomia serve a separare gli effetti di un malessere che spesso si fa anche fisico, aspro e proprio per questo, vitale. L’unica certezza è rappresentata dall’arte, che è consapevolmente collocata in un tempo di maniera che deve molto ai poeti maudit, trovando nella sua finitezza la propria forza e bellezza. “Lasciate che sia il tempo/ ad autunnare/ queste celesti interiora/ questo soggetto scarno/ inciso nell’ombra”. Così scrive Spanò, auspicando che il cielo e tutta la metafisica possano «sprodondare», insieme ad un amore univoco e monogamico, ad un lavoro stabile, in una poesia che non si spaventa di chiamare le cose col proprio nome, piuttosto che rinominare le cose del mondo, e che ha nella voce – quella del poeta stesso, così come quella di un adolescente che si possa imbattere nella sua lettura – il suo unico mezzo per farsi verbo e da lì, cominciare a esistere.

Foto di davide idee