Chi ha paura del nuovo italiano?

 

Dateci parole poco chiare
quelle che gli italiani non amano capire

Ivano Fossati, Il Battito

La paura si evolve con l’uomo, e la felicità dell’uomo è più probabile quando i suoi comportamenti coincidono con quelli della maggior parte dei suoi simili. Quando la paura diventa la principale materia dei nostri giorni, diventa anche il nostro aggregatore sociale, ciò che ci permette di dirci uniti e, paradossalmente, felici.
Ho cominciato a intuire cosa sarebbe stato questo articolo alla luce di un assunto che, più lo sentivo ripetere, più appariva vero: non leggiamo più in un «puro» italiano letterario. Dando una scorsa rapida ai saggi e ai romanzi della mia libreria e di quelle di miei amici e colleghi, non posso evitare di notare l’enorme mole di libri stranieri, nel novanta per cento dei casi tradotti. Siamo ufficialmente cresciuti con la lingua dei traduttori, dimenticandoci spesso che alcune delle frasi più belle di cui potessimo stupirci fossero il frutto di una «testa seconda», quella del traduttore, mentre il grande scarto tra italiano e italiano tradotto si faceva sempre più labile.
Che cosa ci resta dell’italiano, dunque, quando quello che leggiamo è spesso il risultato di una lingua di ritorno? E, ancora più importante, che lingua aspettarsi dalle nuove voci della narrativa del nostro paese?

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W ~ Web

webèb⟩ s. ingl. [forma abbreviata di (world wide) web, comp. di world «mondo», wide «vasto» e web «ragnatela, intreccio»], usato in ital. al maschile – In informatica, denominazione della rete telematica mondiale attraverso la quale opera Internet: navigare nel web; andare in w., aprirvi un sito. Web al quadrato: rete internet che, in aggiunta alle tradizionali applicazioni che consentono l’interazione tra sito e utente, utilizza microfoni, telecamere, sensori intelligenti e altre tecnologie tipiche dei dispositivi di controllo.

 

il breviario del risveglio
sulla rapida politica di espansione e della sua stessa fine in preavviso
si ingoia sempre e solo in panoramica
– là-là in fondo-sistema-là-là in fondo –
mentre vigile si contorce
un’incompleta evanescenza dell’incontrollabile emozione

di derivare dal nulla e dal nulla assunto come sé

emigrando direttamente dentro il verso che gestisce il ritmo del sonno in induzione
evapora la forza senza dissolverla ma con potenza la liscia allungata inviolata verginea
pateticamente sfiorata
dai polpastrelli
di riga in riga
di spazio in spazio
omologhi buffoni di mistero e rivelazione
– qui-qui davanti-sistema qui-qui davanti –

il vomito luminoso
spara un vortice che
velocizza l’annunciazione
di
invasione redenta
di
acaro non più estraneo
ma seduto in umile formazione e fila matematica
che mi castiga con dipendenza da makeup a forma di solenne movimento rotatorio
Co-diagonale
in arrivo dalla luce della lampada abbagliante in riflessione laterale

mentre il vento
– il-vento-il vento-sì-il-vento-il mio vento –
pregiudica solo in modalità millesimale ogni altro assioma

 

Collage di Luc Fierens

Lucy

 

A differenza delle altre mattine M. spalanca gli occhi al settimo squillo della sveglia. Al suo fianco un corpo femminile snello e perfetto giace immobile, assopito dal sonno. Prima di alzarsi lo contempla. Come di fronte a una scultura frutto del genio umano, si domanda come sia possibile che quella pelle vellutata non abbia l’ombra di un’imperfezione.
Osserva i seni pieni e simmetrici, le lunghe gambe, i lineamenti dolci del viso. Non può desiderare di meglio. Dalla finestra del quarto piano case e tetti avvolti nella nebbia.
Non soffre il freddo, ma tira il piumone fino a coprirle il collo, non vuole rischiare prenda colpi d’aria pericolosi.
Sono le 7.15, i figli dei vicini al piano di sopra corrono già per la casa, il soffitto vibra, ogni volta M. ha la sensazione possa crollare da un momento all’altro.
Anche lui desidera un figlio, non una di quelle bestie simili a cavalli, ma una creatura eterea, di cui prendersi cura, a cui donare il proprio amore. A Lucy non ne ha mai parlato, ma conosce bene la situazione, questo è fuori discussione, lo sapeva fin dall’inizio.
Non è un problema, lei l’ha accettato così com’è. Non le importa del suo stipendio, dei vapori acri sprigionati dalle macchie sui muri dovute alla pioggia.
Dal primo giorno, in quello spazio di quaranta metri quadrati, si sono presi cura l’uno dell’altra. Coccolato da quelle mani setose e quelle unghie curate, ha capito cosa significhi avere qualcuno accanto, qualcuno a cui raccontare le giornate sempre pronto ad ascoltarti.
Le pareti bianche della casa si sono annerite con il tempo, riviste e poster tappezzano pavimenti e pareti così che è difficile distinguere le une dalle altre. Non fosse per l’allergia, M. avrebbe voluto un gatto. Il giorno in cui aveva deciso di prenderlo è andato nell’appartamento dove si trovava la cucciolata. Gli occhi hanno cominciato a lacrimare e gli sternuti si sono susseguiti uno dopo l’altro, fino a quando è corso via.
A giorni alterni si domanda se Lucy provi gli stessi sentimenti, poi la guarda, e tutti i dubbi svaniscono volatilizzandosi dalla testa al pulviscolo atmosferico.
Non escono mai di casa, M. a stento può permettersi cibi in offerta e prodotti da discount. Non che prima le cose andassero meglio, ma l’ultimo investimento ha sancito il suo tenore di vita.
Tra due settimane arriverà il compenso di febbraio. Per festeggiare il loro terzo mese ha già in mente la serata, tra piatti da gourmet che cucinerà lui e vino rosso. Finalmente potrà regalare a Lucy la collana con tre fiori stilizzati. La fissa dalle vetrine della gioielleria ogni volta al ritorno da lavoro. Quel ciondolo semplice e magnetico, da subito lo ha desiderato per la sua Lucy.
Per tutta la casa sono sparsi sul pavimento i vestiti della sera prima, la camicia e i pantaloni di M., le mutandine e il reggicalze che voracemente le ha strappato di dosso, il vestito nero aderente.
A quel pensiero M. ha un’erezione, sente il desiderio salire dalle viscere. Vorrebbe possederla all’istante, ma Lucy dorme, non se la sente di svegliarla. E poi è tardi, questa mattina ha già perso troppo tempo.

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E ~ Equilibrista

equilibrista (e·qui·li·brì·sta) [der. di equilibrio] (pl. m. –i). – Chi è abile nel far giochi d’equilibrio, acrobata: gli esercizî degli e. sulla corda; in funzione appositiva: le foche equilibriste. Fig., persona scaltra, che sa destreggiarsi abilmente e anche, talora, spregiudicatamente nelle contingenze della vita o in particolari circostanze e situazioni.

 

Lettore,
se oscillassi s’una fune
barcollante in vetta ai monti,
alto, oltre le cupe nubi brune
che annoiate ingurgitano tramonti;
se spiassi l’alba, ne sfiorassi i seni
sensuali fra i grinzosi orizzonti
e poi, punito da casti arcobaleni,
precipitassi, d’incanto, verticale
in volo, ove di urlar t’astieni
– tant’è vano l’impatto col male;
se scivolassi in un eterno cadere,
ammutolito dal vuoto surreale
cui non segue schianto o cratere,
c’incontreremmo nell’eterea agonia
fluttuante; ma dall’istante in cui caddi
negli abissi dei suoi torbidi occhi verdi,
profondi, freddi come l’onda
che mi spinse all’armonioso salto,
eccomi libero, nell’azzurro nulla
in cui mi libro, in cerca d’un appiglio,
in cerca
d’equilibrio.

Poesia visiva di Luc Fierens