Cos’è per noi l’azione poetica

Allende,  il  popolo  vuole  le  armi!  Il nostro primo pensiero va, in assoluto, alla storia del Cile e al colpo di Stato subito dal popolo cileno nel 1973. All’azione poetica di matrice messicana si unì allora l’azione del realvisceralismo descritta da Roberto Bolaño ne I Detective selvaggi. Manomettere i simboli dello stato fascista è un’opera di caritatevole buongusto. Manomettere le poesie dei santoni della poesia nostrana, va da sé, sarà una semplice contingenza. Se la storia consegnerà Allende come figura di “rivoluzionario non violento”, che impedì al suo popolo di andare oltre il confine e combattere per la rivoluzione, Bolaño sarà ricordato come “romanziere”, anche se egli stesso affermava: «Sono fondamentalmente un poeta. Ho iniziato come poeta. Da sempre ho creduto – e continuo a farlo – che scrivere prosa sia un atto di cattivo gusto». Noi, allo stesso modo, se ci esprimiamo in prosa è per essere compresi (e dunque sopravvivere), ma pensiamo sia il caso di appropriarsi di armi più propriamente poetiche per affrontare l’arduo compito che la storia ci impone: salvare la poesia italiana dal baratro in cui un’editoria cieca e abbietta la sta relegando.

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Scritta rinvenuta su un muro presso il centro Allende, La Spezia, 26 Febbraio 2017

Combattere  il  giusto,  il  vero,  l’intero. Così come Nanni Balestrini ha soppresso la bellezza del linguaggio poetico attraverso l’uso del montaggio e dell’assemblaggio, in contrapposizione a quella «Italia agricola» cantata da Pasolini; così come Elio Pagliarani e il primo Sanguineti hanno superato l’io auto-centrato, riprendendo la lezione oggettivante di Eliot e Pound; così come Emilio Villa è stato portatore di un nuovo modo di narrare attraverso l’io mascherato dall’interlinguaggio dadaista e surrealista – ora noi sentiamo il bisogno di denunciare questo ritorno ai temi del giusto, del vero, dell’intero propugnati dalla poesia contemporanea. Chi afferma che la poesia è verità, sua espressione o sua ricerca, mente spudoratamente. La poesia è invece per noi costruzione, ribaltamento e svisceramento dei temi a noi più vicini, posto che la poesia migliore è quella che non dice nulla e – proprio per questo – inutile. Manomettiamo i testi di altri e li inseriamo nelle nostre poesie. Viviamo un’epoca di mixaggio e credere al feticcio dell’autorialità equivale a credere al ritorno della moda del liscio nelle balere.

Chi afferma che la poesia è verità, sua espressione o sua ricerca, mente spudoratamente. La poesia è invece per noi costruzione, ribaltamento e svisceramento dei temi a noi più vicini, posto che la poesia migliore è quella che non dice nulla e – proprio per questo – inutile.

Scrivere   versi  nell’era  del  post-umano.  Il mondo come lo conoscevamo è finito da un pezzo, e non c’è vita che tenga. Al contempo, non siamo mai stati circondati dai file di testo come ora. Quindi, secondo noi, bisognerebbe riflettere su come si va a capo in chat, che è la forma di comunicazione ad oggi più diffusa. Secondo noi il parlato, il modo di dire, è stato sostituito da una lingua sempre più povera e da un (non) modo di scrivere. Vi è un’oralità che minaccia l’esistenza stessa della poesia, ma continua ad essere portata sui palchi (e applaudita) perché riconosciuta da un pubblico che non possiede gli strumenti culturali adatti a permettere un discorso più ampio. Arriva poi il momento topico, il climax, il culmine della temperatura emotiva, quando si parla di emozioni talmente assolute che se non fossero tragiche risulterebbero ridicole: l’amore, il dolore, la ricompensa della sofferenza. A quel punto il pubblico si spella le mani, pensa di avere assistito alla grande poesia, quando invece ha subito ancora una volta il sermone che ha ascoltato in chiesa fin da bambino. Ecco che l’aspetto religioso torna in auge come uno spettro: la tensione a parlare di sé e mai del Sé. Com’è possibile che dopo tanto tempo non abbiamo ancora imparato la lezione? La vita non è un argomento. Ma il nichilismo estetico di cui ci facciamo portatori non nasce da un disprezzo per la vita, bensì da un amore viscerale verso di essa, che però non può essere espresso perché l’amore è totalitario e autoritario. Presuppone univocità, comprensione, ascolto. Tutte cose che nel post-umano non possono esistere. Per questo noi scegliamo di non mentire ai nostri lettori, ma allo stesso tempo affermiamo che, dopo il fuoco, c’è l’amore. Semplicemente, non saremo noi a scriverlo. Nel frattempo, la dannazione umana implica un indurimento del verso e una dichiarazione d’intenti. L’amore è privato e il privato è politico. Aspettiamo la bomba come si aspetta un tramonto e ad essa dedichiamo le stesse elegie che un tempo si scrivevano alla patria o alla luna.

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E senza il Cane, il tempo esatto
verrà, quando l’ombra totale
sarà discesa sopra il fico
che non matura mai.

Emilio Villa, Le mura di T;ÉB;É, 1981

Immagini di Matthieu Bourel

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