“tagli” di Francesco Salmeri, auto-produzioni Neutopia (2017)

(Dalla prefazione al libro Una rottura con lo spazio e con il tempo, di Davide Galipò)

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Una tra le prime poesie di Francesco pubblicate su Neutopia, dal titolo “Verlaine fuori tempo massimo”, recita così: «Dichiaro guerra a tutte le metafisiche poliziesche/ E ai tuoi occhi militari e alle dita socialdemocratiche/ BIANCHE come le pagine dietro i tuoi pensieri;/ Dichiaro guerra alle cosce fritte di pollo/ E, dunque, in ultima analisi,/ Allo Stato borghese».
In quell’occasione, scrissi che «la delazione di Francesco Salmeri da un certo mondo e da un certo modo di fare poesia è, prima di tutto, estetica e, in secondo luogo, ideologica».
Il «taglio» o lo «strappo» del più giovane tra gli autori di Salinika comincia da qui, per approdare poi a sperimentazioni ben più radicali – come la sua Suite torinese, e dunque tornare alla consequenzialità, quasi al discorso, in Dialogo tra me e noi. Fra i temi affrontati da questo poeta messinese non vi è nulla di inestimabile, di originale o di eterno: egli prende a piene mani, nei suoi versi, dal dato di realtà, da ciò che c’è, per poi esercitare una distorsione, una cesura, come in un verso di Balestrini o in un’opera di Pistoletto. Ad essere rivoluzionaria qui è la forma. Come lui stesso ha scritto nel supposto teorico che va a comporre Poesia e Rivoluzione è Poesia (autoproduzioni Neutopia, NdR): «Il poeta è un produttore di valori ma, prima di tutto, è un ripetitore di valori. E ancora prima di ripetere, lanciare, divulgare e propagandare valori, il poeta rilancia ritmi, suoni e segni, perché c’è prima il segno del significato e non sapremmo che farcene dei segni se non ci indicassero qualcosa».
C’è poi, nella sua poetica, la questione più dichiaratamente politica, che occupa un posto considerevole se paragonata al vuoto ideologico e pratico di molta poesia contemporanea e che si ricollega all’urgenza, descritta efficacemente da Biagio Cepollaro del Gruppo 93 e che si riconosce nel gioco, nel plurilinguismo, nella variante stilistica che porta a nuove soluzioni e sorprende, come l’uso volutamente scorretto di andare a capo, la dispersione del calligramma nello spazio e la disgregazione del tempo poetico. La crisi del pensiero si fa sistemica, la crisi del linguaggio la rappresenta, il verso non è che il mezzo attraverso il quale prendere la mira e colpire. Ebbene, Francesco, parafrasando Brecht, qui decide di «ribaltare il fucile» e di usarlo per una guerra, che sarà quella giusta.

La crisi del pensiero si fa sistemica, la crisi del linguaggio la rappresenta, il verso non è che il mezzo attraverso il quale prendere la mira e colpire.

Che il nostro linguaggio sia saturo di guerra lo diceva anche Allen Ginsberg. Laddove il ritmo beat sembra fare capolino, però, ecco che la musicalità del verso viene subito interrotta, viene soppressa ogni piacevolezza del linguaggio poetico, la variazione impedisce all’orecchio di acclimatarsi, di armonizzare, e ci richiama all’attenzione. Qui si sta producendo un valore.
Nell’era del post-umano, la libertà non ha più un’accezione positiva, dal momento che tutti si sono ritrovati costretti ad amarla. La repressione sociale viene così ricondotta ad una mancata espressione linguistica, ad un’impossibilità di prendere parte alla danza, come nei versi conclusivi del poemetto De Corpore:  «politica capitalistica contro la danza/ essendo sempre la danza macabre quoi qu’elle soit/ puisque la danse rappelle toujours le plaisir corporel/ puisque la danse est mort dans/ la mésure où elle est CONCUPISCENCE».

Libertà, si parlava di guerra.

Davide Galipò
Torino – 07/04/2017

Collage di gemma anton

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