Non sempre la casa in cui viviamo è esattamente un rifugio. A volte può rivelarsi una prigione dalla quale è difficile fuggire. La stessa cosa potrebbe accadere nella finzione: l’utopia pensata da qualcuno potrebbe essere la distopia di qualcun altro, la fantasia realizzata trasformarsi in incubo.
Tutta la letteratura weird e new weird ha nella soglia, nel passaggio dalla realtà a un mondo sconosciuto – e proprio per questo, spaventoso – la chiave di volta per comprendere meglio noi stessi e la nostra psiche: a differenza del fantasy, il weird non ci narra di un mondo alternativo al nostro, ma soltanto «come sarebbe se» quella stessa storia fosse raccontata da un altro punto di vista. L’occhio che guarda, l’occhio dello spettatore, è la porta tra l’Io, il Super-io e l’Es: ecco i tre piani su cui sono impostate molte narrazioni cinematografiche di questo genere, da Hitchcock a David Lynch.
Il «passaggio» ci riguarda, nella misura in cui ci restituisce la misura di cosa voglia dire trovarsi a contatto con la visione altrui. Una vita che nasce sopperisce a un’altra che muore; la casa materna, vissuta come opprimente, diventa l’ostacolo che – una volta superato – ci consente di cominciare a vivere la nostra vita; un cambio di città può rappresentare una finestra sull’età adulta, al di fuori dei rapporti edipici tra madre e figlio; un treno, infine, riconducendo allo sguardo cinematografico, ci dà contezza delle varie possibilità che abbiamo di fronte. Tutto sta nello scegliere una strada e perseguirla.

Nella monografia su Ivan Fassio, al quale è dedicata la copertina di Riccardo Cecchetti – realizzata per il libro Nontiscordardimé, presto in uscita presso il Doctor Sax – intendiamo celebrare non già l’assenza, quanto il ricordo, sempre vivo, di un poeta che è, per sua stessa natura, «in transito». Grazie ai versi e alle immagini di chi lo ha conosciuto, restituire la sua ampiezza di sguardo e complessità di pensiero.
Anche Roberto Sanesi – al quale abbiamo intitolato un premio di poesia e musica – nel corso della sua poetica ha avuto sempre una particolare attenzione per la «porta» che si apre sull’ignoto: così è anche per la vincitrice di quest’anno, Gaia Ginevra Giorgi, che indaga il passaggio tra la sfera umana e quella animale, in quella che viene designata come una «anatomia della caduta», nella redenzione dell’essere umano dal suo stadio più evoluto a quello più ancestrale, primitivo.
Sembra che questa «concatenazione» tra le menti e tra i corpi porti, nel saggio di Carmine Mangone, ad una Storia del godimento che passa dal «possesso» maschile allo «scambio» umano-femminile, dal marchese De Sade a Stirner, per godere a pieno di sé senza rinunciare all’intelligenza e alla tenerezza dell’altro. Ma è possibile?
È possibile salvare «Frigolandia» dalla minaccia di sgombero? Saremo capaci di superare quella dicotomia tra Oriente e Occidente, Africa e Europa, che ci fa percepire come nemiche le culture diverse dalla nostra? O vedremo avverarsi la profezia di Calvino, per cui fotografiamo lo sfacelo ma facciamo fatica a salvaguardare ciò che merita di essere conservato?
Questa storia è tutta da scrivere. Il motivo per cui abbiamo scelto di affrontare questo tema nell’ultimo numero di «Neutopia» è proprio questo: raccontare ciò che siamo stati, ciò che non saremo.
Una volta varcata una soglia, quel che ci lasciamo alle spalle smette di avere aderenza e le preoccupazioni di un tempo sembrano piccole rispetto a quello che siamo. Il passaggio da uno stato a un altro, più che spaventarci, dunque, può essere una condizione necessaria: ciò che ci mette in viaggio e combatte la stasi. Ciò a cui facciamo appello per rinunciare alla perfezione di una continua partenza e immaginare un arrivo.