Agire e non agire

Dalla crime fiction al noir, dal poema cavalleresco alla distopia, dal war movie alla fantascienza, la letteratura si è sempre occupata del rapporto conflittuale dell’essere umano rispetto a ciò che lo circonda e non gli consente di esaudire i suoi innati desideri e le sue naturali pulsioni. Si parte dalla forma classica con il rapporto conflittuale tra uomo e natura, che si tramuta nello scontro omerico uomo-contro-uomo e finisce per arrivare, con l’avvento della modernità e successivamente alla rivoluzione francese, allo scontro uomo-contro-Dio. Vi è una letteratura ben disposta in questo senso, che va da Dostojevskij a Lautréamont e, in linea di massima, pone le angosce dell’uomo moderno in rapporto alla società stessa o, per dirla à la Sartre, “gli altri”. È l’inizio dell’era moderna, i bisogni dell’uomo sono profondamente cambiati ma, nella sua immutata volontà di espandersi e progredire, sente ancora il bisogno di un conflitto che non ponga come principio di fondo il giudizio divino. Assistiamo così a ciò che l’esistenzialismo francese ci ha abituati a considerare come inevitabile ed eterno: la condizione nichilista dell’uomo in reazione all’assenza di un principio ordinatore. Non a caso, ciò che mette in scacco l’esistenza di Kafka non è tanto il concetto di lecito e non lecito, quanto i terribili fantasmi che infestano la società in cui vive: il lavoro, la legge, la famiglia.
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Una nuova utopia

La tipica conversazione da colloquio di lavoro è – ahinoi – arcinota. Ci viene chiesto cosa sappiamo fare, di cosa ci occupiamo, quali siano le nostre naturali predisposizioni.
Per cominciare, si risponde che abbiamo collaborato con «varie riviste, può vederlo dal curriculum», poi azzardiamo la parola impronunciabile, quella che da noi equivale ad essere considerati nel migliore dei casi un senzatetto o nel peggiore una prostituta: «letterato». A questo punto si viene guardati come si guarda un alieno proveniente da un altro pianeta, uno strano animale disperso, una razza in via d’estinzione.

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