Il culto dei corpi (Raineri Vivaldelli, 2019) di Ivan Fassio, poeta e animatore di quello Spazio Parentesi che ha dato i natali a molti incontri, amicizie e sodalizi artistici, è un attestato di esistenza che parla, innanzitutto, di una metamorfosi: quella da essere umano ad innesto animale e – in moto da luogo – da orizzonte sensibile ad astratto, Parnaso perfettibile, puro giogo di forme nell’aria e rinascita possibile.
Quando la vita «è un cerchio di sete, un tuffo nel mare», tutto va rimesso in discussione. Si deve.
I testi che compongono la raccolta, datati per lo più dal 2014 al 2016, rispondono a un’esigenza – propria del poeta di Asti – di farsi verbo che precede il pensiero. L’impulso che muove il braccio prima di rendersi manifesto e – proprio per questo – tendente alla poesia, anche quando rinuncia al verso, in un uso di tutto lo scibile, nello stile di chiara derivazione rimbaudiana. Il suo versificare ebbro ma lucido, calato dall’alto e ceruleo, a tratti euforico, rifugge il ragionamento logico a priori, lasciandosi guidare dalle parole in una prosodia che è tutta interna – e ciononostante precisa, chirurgica, ondivaga, netta. Come nei versi che anticipano la raccolta, contenuti nel IV numero di «Neutopia»:
Di contraffazione i dirupi plasmavano cartacee ondate,
Mentre putridi impasti carnali asciugavano al nero calore
Del vento disciolto nel sole – all’ora di ieri – rimescolato.
Senza fiato, né lineamenti, si componeva la donna ferita
Nel semplice luogo da bende sorretto: l’indicazione di un dove.
Un alito esterno, sofferto e staccato, manteneva la vita.
Da altre terre spirava quel canto, che più non s’udiva,
Da umide sponde gemeva, forzata, la frazione riproduttiva.
Qui, soltanto, la copia recitava dell’uguale l’identica parte.
L’uomo animale attraccato, stordito e spossato,
Attendeva la falsa speranza dell’allevamento.
Martelli in disuso esplodevano l’ustione dei sensi
Sulla spiaggia arroccata che non esisteva:
L’olfatto tagliava la lingua alla vista.
Dall’orecchio di forbice dell’abrasione,
I polpastrelli stringevano suoni intonati alle palpebre.
Dolore! Accordare e scordare: quel tanto d’oblio ritornava – sei volte –
Con gli occhi alla mente. Povero umano, taciuto nel sacco!
Accasciata, la negra sirena esibiva un foglio di via,
E la valigia, gettata dal porto, scivolava in crepe inaudite:
Di cornucopie meridionali le reti pescavano spurghi.
Si fece una notte, arredata con garbo, per l’elettrica luce:
Da un golfo, ridotta allo spasmo, bollì la risposta, ignorata,
All’enigma segnato da trinità: mai sette furono i giorni!
Scivolò dal sipario il palco allestito, l’uncino di ferro s’arrugginì…
E al silenzio di tomba l’effigie sinuosa ristette, tra sbarre ossidate, a tacere.
Com’è evidente, l’elemento contemporaneo è presente e si allinea ai temi delle Scritture – adattate, alle volte, ad un presente apocrifo per definizione: Fassio è incastrato in questo tempo, pur essendo in contatto col mito, da Joyce ad Omero. Vuole conoscere chi è stato prima di essere se stesso; in questo è, pacificamente, pagano.
I luoghi delle sue peregrinazioni oniriche, però, finiscono spesso nelle valli da lui conosciute:
Si biforca la valle ai piedi del monte, da sempre,
Ché la scrittura del mondo ha scavato strettoie
Per cedere alla cima del masso, alla fine rocciosa del viaggio.
Le strade rimaste, da un tempo lontano,
Erano nuove:
Sorgevano a fronte di passi, su scorci di pascolo,
Per trovare ristoro dal pozzo, alla cappella del santo patrono.
Ora quel luogo è ancora l’inizio di un corso, fiume a ritroso,
Per te, alla finestra, che sogni ammaliata:
È l’incantevole frana dell’aria, la fiaccola del firmamento,
Della battaglia il sacramento possente,
La luce animata, la scelta innocente.
In questa scelta di campo incorre l’attività di critico – nella sua visione interdisciplinare della poesia – che emerge chiaramente nella tendenza a mescolare arte, filosofia e letteratura: Che cosa si fa, parafrasando una dichiarazione d’intenti risalente al 2017, in cui ribalta totalmente l’assioma di Lenin, Che fare?, per raggiungere, invece, una quotidiana battaglia ai danni del «falso», per farsi «traghettatore di autenticità»:
Sono dichiarazioni di guerra
Queste: Pronunciate dalla desolazione
Della disfatta, dell’armistizio…
Sono le teste tagliate
Dall’esercizio della contraddizione…
Sopravvaluto l’atto psichico
La potenza dell’immaginazione
In quest’estasi magica
Di parole taumaturgiche.
Quando mi desto, mi confondo,
La sensazione è infestata
Di totale e profonda tristezza:
La certezza della fine del mondo…
Una profezia lugubre, dunque, in vista della fine, che ricorda in alcuni passaggi i Canti orfici di Dino Campana e prosegue, non a caso, nella ricerca dell’intuizione come porta di accesso all’universale:
La misura di tutte le cose
Dell’umano è istinto, insieme,
E istituzione,
Ché i pesci e gli animali altri,
Pur del primo dotati e d’intuizione,
Non sanno ponderare,
Ad inseguire un metro d’oro,
Incorruttibile,
Un ettogrammo di farina
O un triangolo perfetto.
Da tale perenne costruzione
– Cantiere antropo-logico
Di definizioni provvisorie,
Precarie previsioni, stime, prezzi
Ed illusioni
Nasce in noi ogni struttura:
La sensazione di realtà di fantasia,
I sogni addirittura,
Le premonizioni,
Lo stile, infine, i gusti.
La paura.
Il passo è breve sulla via
Da compiere soltanto
O da comporre
In ragione di natura:
Se da sempre si incolla
Dai due poli d’infinito
E si ritaglia
Per inevitabile missione,
Sarà incommensurabile
La taglia da indossare:
Il limite inseguito.
Così, sentiamo e poi pensiamo
Con certezza
Da questa illustrazione
Convincente,
Esperimento,
La nostra eternità:
Del corpo, d’animo e di mente.
In principio, è già un abbozzo, neppure un verbo: il drappeggio del sipario si modella, scrive Fassio, conscio del fatto che la parola poetica sia – oggi più che mai – protesi intrinseca al personaggio, al già visto, all’inautentico, anche quando si presenta come soggetto, alterità. Fassio si scaglia contro questa messa in scena, oppone a questo «presenzialismo» il corpo del poeta – il suo – non come supplizio, bensì come generosa liberazione, in attesa di una rinascita là da venire.
[…] via Ivan Fassio | Il culto dei corpi — NEUTOPIA […]
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