Caro lettore,
nello strano momento storico che stiamo vivendo, ci viene richiesto un compito piuttosto oneroso, forse al di sopra delle nostre reali capacità: trovare, nella totale mancanza di punti di riferimento, un elemento comune da cui poter partire per raccontare il nostro presente.
Sappiamo bene che raccontare è cosa ben diversa dallo scrivere saggi, teorizzare soluzioni e piani di salvezza per creare consensi; proprio per questo, pensiamo che partire dalla propria esperienza, da ciò che si conosce, possa essere ancora un consiglio utile. Era il 1985 quando Pier Vittorio Tondelli, in un articolo apparso sul numero 243 di Linus, «Gli scarti»[1], chiese ai giovani scrittori italiani di raccontarsi. Lo fece perché riconosceva che la nuova generazione degli anni ’80 era radicalmente diversa da quella, anche se di poco precedente, a cui lui stesso apparteneva. Il mondo era cambiato e con esso i linguaggi, i costumi e le aspirazioni di chi si affacciava per la prima volta sul panorama editoriale. Quell’articolo diede vita all’esperienza «Under 25», una serie di antologie che raccoglieva i racconti di giovani talenti con cui, attraverso la lente coscienziosa e attenta di Tondelli, si cercò di tessere un percorso differenziato ma pur sempre generazionale dei nuovi scrittori, che andasse al di là degli stereotipi forniti dai media.
Pensiamo che partire dalla propria esperienza, da ciò che si conosce, possa essere ancora un consiglio utile. Ma non basta.
La verità, caro autore contemporaneo, è che oggi non basta più nemmeno questo. Per diverse ragioni: prima di tutto, è cambiata l’editoria ed è cambiato anche il mestiere di scrittore. Oggi non possiamo più permetterci di essere semplici testimoni della nostra esperienza individuale. In secondo luogo, il mondo non si è fermato, anzi: cambia vorticosamente. Anche nel momento di stesura di questa lettera, il rischio è che domani i nostri canoni estetici e i nostri riferimenti semantici risultino del tutto obsoleti. Per questo motivo, citando Bergman[2], scegliamo coscientemente di non giocare una partita a perdere con l’attualità; il nostro invito, al contrario, è di essere giocosamente inattuali.
Da quando il presente sembra ammaliato da una nuova pulsione di auto-distruzione – a questo proposito Freud avrebbe parlato di Thanatos, per cui la vita sarebbe solo un cammino più o meno lungo verso la morte[3] – nuove forme di annientamento[4] dell’umanità sembrano fare breccia nel cuore dei lettori, la paura dell’altro e il grido inquietante di antichi risentimenti occupano le pagine dei quotidiani e il mondo protetto e sicuro al quale sembravamo destinati va sgretolandosi sotto le nostre stesse gambe. Non potendo accedere al «godimento» di cui parlava Lacan, lo stato di cose presente genera ansie, depressioni e nevrosi – e noi siamo la prima generazione a vivere questi fenomeni non più come casi isolati, ma come esperienze diffuse.
Al tempo di Tondelli, il «simulacro» da superare era creato dai media. Oggi il simulacro è rappresentato dal mondo stesso.
Dopo l’11 Settembre 2001, il mondo che conoscevamo è venuto meno e a nessuno è venuto in mente di darcene uno nuovo da pagare in comode rate mensili. Dopo la crisi del 2008, siamo stati completamente esclusi da qualsiasi idea di Futuro. A dieci anni di distanza, la tecnologia ci offre tutti gli effetti speciali possibili[5] per non dover ricorrere all’uso dell’unica arma che da sempre abbiamo a disposizione per fuggire dall’ansia: la nostra immaginazione. La nuova Realtà aumentata si consuma ogni giorno sulle nostre storie su Instagram. Stiamo assistendo ad una spinta allo sviluppo tecnologico paragonabile solo alle avanguardie storiche all’inizio del XX secolo, ma questo orizzonte sembra fare benissimo a meno di noi.
Dal canto nostro, in Dopo la fine, su «Neutopia» abbiamo provato a immaginare cosa significhi mettersi in relazione con l’esterno e scrivere in un mondo ridotto a macerie. Al tempo di Tondelli, il «simulacro» da superare era creato dai media. Oggi il simulacro è rappresentato dal mondo stesso.
L’invito è di essere giocosamente inattuali. […] Tornare all’insolito, allo sgradevole e all’ignoto. L’animale sopito che non può più essere tenuto a bada.
Per tutti questi motivi e per molti altri per cui una sola lettera non basterebbe, vorremmo che il nuovo percorso della rivista si orientasse agli esclusi, a chi fino ad ora non ha avuto la possibilità di giocare. In un mondo dominato da narrazioni discordanti, tornare dunque all’insolito[6], allo sgradevole e all’ignoto. L’animale sopito che non può più essere tenuto a bada, colui o colei percepiamo come «avversario» e che siamo costretti a guardare in faccia ogni giorno. Ad un’analisi più attenta, ci riscopriamo affascinati, attratti da quello che fino a poco prima consideravamo una minaccia. Lo amiamo, quasi. Cogliendo alcune somiglianze che, spesso, facciamo fatica ad ammettere.

Ora che il postmodernismo ha distrutto ogni forma di modernità e la nostra società «ipermoderna» ha mostrato tutti i suoi limiti nel guardare il trauma dalla propria finestra[7], partire dalla jouissance lacaniana per riappropriarci della nostra umanità e di un concetto di Futuro in un’ottica pre-moderna: il gorilla, l’«intruso» o l’«alieno» proveniente da altri mondi che incombe nella nostra realtà quotidiana e il salto che questo «passaggio» comporta.
Basterà a modificare l’orizzonte degli eventi? Non lo sappiamo. Ancora una volta, le risposte saranno individuali e mai univoche. Sicuri soltanto di ciò che non vogliamo, ci guardiamo intorno con lo stesso smarrimento dell’animale in gabbia. L’agente esterno cambia, ma l’inquietudine resta.
Illustrazione di Alessandro Gottardo aka SHOUT
Note
[1] Il titolo dell’articolo di Tondelli prendeva spunto dallo scarto rappresentato dal classico «libro nel cassetto», materiale mai pubblicato o impubblicabile che ogni scrittore o aspirante tale tiene nascosto.
[2] Il riferimento è a Il settimo sigillo, film del 1957 di Ingmar Bergman in cui il protagonista, Antonius Block, gioca una partita a scacchi con la Morte.
[3] Sigmund Freud, Al di là del principio di piacere (1920) – e questa è la parte ottimista!
[4] Il riferimento è al libro Annientamento (Einaudi, 2015) di Jeffrey Scott VanderMeer, inventore del New Weird
[5] A questo proposito, Žižek parla di «virtuale come Reale»: https://www.che-fare.com/il-virtuale-come-reale/
[6] Per approfondire il concetto e gli esempi di weird («strano») e di eerie («inquietante»), si consiglia la lettura di Mark Fisher, The weird and the eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, traduzione di Vincenzo Penna, Minimum Fax, 2018
[7] DFW, La vista della casa della sig.ra Thompson, racconto contenuto in Considera l’aragosta (Einaudi, 2006)
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