Né carne né pesce | Marta Zanierato

Lavoriamo al ristorante Lo Zodiaco, quello in corso Cavallotti, all’angolo con via Ratti. Ogni martedì e ogni domenica, i giorni in cui Nora è di turno la sera, è nostra abitudine, dopo la chiusura, spiare la cuoca. Nora, appunto. Salutiamo gli ultimi clienti, sistemiamo le sedie sui tavoli, poi infiliamo le giacche e fingiamo di incamminarci verso casa. Non appena le luci del locale si spengono, però, torniamo indietro, sgattaioliamo in sala da pranzo e buttiamo lo sguardo attraverso l’oblò della porta della cucina.
Perché Nora, ogni martedì e ogni domenica sera, rimane al ristorante da sola e fa una cosa.
– Una cosa assurda!
– Da voltastomaco, cazzo!
– Ma se tu sei il primo feticista che non ha mai saltato un appuntamento!
– Io? E voi?
– Finitela, adesso. Siamo tutti feticisti.
Oggi è martedì.

*  *  *

Nora ha quarantasei anni, i capelli neri, gli occhi grigi ed è grassa come un vitello. Tutti quelli che la conoscono dicono che Nora, sarà anche grassa come un vitello, ma non è “né carne né pesce”.
Glielo ripetono da quando era bambina, le l’è mia né carna né pèss, ma Nora non ha mai capito fino in fondo il senso di quell’espressione.
Quando la madre le chiedeva chi preferisse tra la mamma e il papà, rispondeva “nessuno dei due” perché le sembrava normale provare lo stesso grado di stima per un’istruttrice di fitness e un catechista. Se un professore le chiedeva quale facoltà avrebbe scelto, Nora rispondeva soltanto “non lo so”, convinta che una decisione simile aveva bisogno di tutto il tempo possibile per maturare. Agli amanti che le chiedevano di desiderarli per sempre, Nora diceva “vedremo”, perché credeva nell’impermanenza delle cose.
Ti’t ses né carn né pëss.

Agli amanti che le chiedevano di desiderarli per sempre, Nora diceva “vedremo”, perché credeva nell’impermanenza delle cose.

Nora continuava a non capire, e per sopperire a quell’incertezza, un giorno si inventò un gioco. Aspettò che la madre crollasse sul divano, poi si chiuse in cucina, accese il forno e la griglia. Prese un coltello con la lama grande, dodici limoni, tre chili di pomodorini, prezzemolo, olio, sale, pepe e qualche spicchio d’aglio. Era un rituale che la divertiva e non ha mai più smesso di ripeterlo.

Claudio ci ha detto che non ne sapeva niente quando si sono messi insieme, altrimenti mai le avrebbe chiesto di andare a convivere. Un giorno torna a casa, sente l’odore di carne bruciata e poi vede il sangue e il grasso che cola sul pavimento. Nora ha provato a spiegargli, a raccontargli tutta la storia, ma lui mica ce l’ha fatta. L’ha cacciata di casa. A quanto ne sa, ora dorme nell’albergo vicino all’Esselunga. Quando ha saputo che Coso l’ha assunta allo Zodiaco, ci ha messo subito in guardia, ma noi non abbiamo mai creduto a una sola parola. E come si fa a credere a una cosa simile?

Poi però, dopo qualche settimana di lavoro, Nora chiede al direttore di darle i turni di chiusura. Insiste. Vuole stare sola con la cucina. Lei e il suo rito assurdo.

Aspettò che la madre crollasse sul divano, poi si chiuse in cucina, accese il forno e la griglia.

Più di una volta abbiamo pensato di fermarla, soprattutto Coso perché in qualità di direttore non poteva non lamentare la violazione delle norme igieniche. Ma nessuno di noi ha mai mosso un dito. Ce ne stiamo ancora lì fuori dalla cucina, con lo sguardo che attraversa l’oblò della porta e ci godiamo lo spettacolo.
– Quanti mesi saranno ormai?
– Otto.
– Tieni il conto, eh? Bastardo di un maniaco!
– Ma vaffanculo! E muoviti, che Nora ha spento le luci della sala da pranzo. Sta per cominciare.
Giusto. Dicevamo, oggi è martedì. Puliamo la sala, salutiamo Nora, facciamo finta di avviarci verso casa, e poi, appena lei spegne le luci del locale, appunto, rientriamo di nascosto.
E guardala lì.
Nora è in cucina. Si toglie la cuffia, il grembiule, le scarpe, i vestiti e rimane tutta nuda, con le tettone che poggiano sulla pancia e la pancia che copre la bigiola pelosa.
Si avvicina alla dispensa, al frigo, ai cassettoni e tira fuori ingredienti e coltelli e carta stagnola, che poggia sul piano di lavoro.
Taglia i limoni, i pomodori, i rametti di prezzemolo, poi con lo stesso arnese…
– ‘Orco dio, che schifo!
– Ssst!
Si apre la pancia con un taglio netto, dal collo fin sotto l’ombelico.
– Lllllà! Va’, che roba!
Nora infila le mani nella voragine bollente per tirare fuori i polmoni, il fegato, l’intestino. Il cuore no: quello, per forza di cose, lo lascia dove sta. Appoggia tutto con cura nel lavabo, poi prende gli ingredienti uno a uno e riempie con cura il pancione.
– Madonna…
Nora chiude lo squarcio, e copre il corpo con 42 fette di limone. Si avvolge nell’alluminio e si infila nel forno. 2000 minuti a 250 gradi.
Din!

Spegne la piastra e adesso può mettere il sale. Si ciuccia le dita. Sembra soddisfatta della cottura.

Adesso Nora è pesce.
Una volta raffreddata, Nora si toglie di dosso la stagnola e si pulisce l’interno della pancia, i limoni cadono a terra insieme al prezzemolo e ai pomodorini salati. Si dà una sciacquata con l’acqua del rubinetto, rimette ogni interiora al proprio posto e aspetta qualche minuto perché si cicatrizzi la voragine.
– Ecco che arriva la mia parte preferita! – dice la lavapiatti.
Nora adesso accende la piastra, aspetta che sia bella rovente e poi ci si corica sopra, a pancia in giù, con le braccia incrociate sotto la testa. Il grasso si scioglie poco a poco sfrigolando sulla piastra rovente. Nora si gira sulla schiena per cuocere bene anche l’altro lato, poi pensa ai fianchi per ungere bene la carne che ora abbrustolisce. C’è unto ovunque, ma sorride contenta.
Ora è carne.
– Ciccio, tutto bene? Hai un aspetto di merda!
– La prima volta è così per tutti. Usciamo a prendere un po’ d’aria.
– Oh! Non lo dici a nessuno, vero?

Collage di Chiara Giordano

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