La bianca risposta di “Alter” al post-umano

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Alter, Christian Sinicco (Vydia Editore, 2019)

Esiste un confine labile tra la poesia e la letteratura – questo ha a che vedere con la vita quotidiana. La vita, che non può essere spiegata, non è mai definitiva, benché meno materiale da romanzo; la letteratura è – in ultima analisi – finzione e, proprio per questo, a volte più vera della realtà.
Ci sono poeti che ancora oggi non si accontentano di dare un compendio, nella loro produzione, della propria esperienza, del proprio piccolo cantuccio, ma che anzi cercano delle risposte ai grandi interrogativi del nostro tempo, e di immaginare – o di costruire – cosa ci riserva il futuro.
È questo senz’altro il caso di Christian Sinicco, classe 1975, poeta triestino e direttore di «Poesia del nostro tempo», il quale con Alter (Vydia Editore, 2019) si interroga sulle due possibilità che la nostra epoca ci prospetta davanti: da una parte, onnipresente e, se vogliamo, ormai esaustiva, l’apocalisse di Città esplosa, che mostra con una grande ricchezza di riferimenti nelle forme cosa significhi scrivere versi nell’epoca del post-umano; se Gregory Corso scrisse la sua ode alla Bomba, nel sogno di Sinicco l’ordigno è già esploso, l’essere umano è scomparso – e non c’è più monito che tenga, soltanto un brusio di fondo, un ricordo sfocato di quello che fu il nostro mondo prima dell’esplosione.

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Da Alter, Città esplosa, p. 16

La bomba lanciata da Sinicco è però anche semantica: fa propri i calligrammi di Apollinaire e Mallarmé, riattualizza l’uso sperimentale della punteggiatura di Palazzeschi, frantuma la poiesi degenerativa e la porta all’eccesso, la rimodula, la riadatta alla sua «Babele distrutta dalle generazioni in corsa», in un continuo confronto tra passato e presente.
Nella seconda parte, che dà il titolo all’opera, fa la sua comparsa l’androide del futuro, l’Alter appunto, che non sembra conservare memoria di cosa sia venuto prima di lui, e forse proprio per questo, sente il bisogno di creare una nuova era che riparta dalla tabula rasa. Generato dall’uomo, né uomo né macchina, si presenta così:

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Da Alter, p. 34

Sembra qui di risentire un vecchio adagio attribuito a Socrate: «Non voglio nemmeno sapere che sono esistiti altri uomini prima di me.» Ci troviamo di fronte a quella che l’autore definisce anti-utopia: un’utopia, cioè, benché mai auspicabile o desiderabile. Nel nuovo numero di Neutopia, “L’animale chiamato uomo”, Luca Gringeri fa una differenziazione fondamentale fra l’utopia concreta, che quando si realizza diventa sempre distopica, e l’utopia riabilitata, che si orienta, cioè, al di là del presente, e che acquisisce valore solo e unicamente in quanto tensione ad un miglioramento.
Sinicco, in questo senso, va oltre: recupera una visione apocalittica e asfittica cara a certa fantascienza e la presenta come l’unico orizzonte possibile.

 

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Da Alter, p. 43

 

Il «futuro» è qui rappresentato dal «midollo» dell’orchidea, dalla bellezza del paesaggio naturale non più contaminato dalla presenza degli umani. Eppure, di fronte a questo scenario inviolato e fertile, il linguaggio accorre in nostro aiuto per poterlo raccontare, il logos rientra da padrone nella Storia, e subito diventa canale privilegiato – quello della poesia – per raccogliere il seme dell’umanoide del futuro. Finché ci sarà poesia, e dunque linguaggio, l’ultimo baluardo dell’umanità sarà salvo.

Alter, Christian Sinicco
© Vydia Editore, 2019
58 pagine, brossura
In anteprima su «Neutopia Magazine» n. IV

Illustrazione di Lisa Gelli

 

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