Verrà un pappagallo e avrà i tuoi occhi | Charlie Nan

Ricorderemo sempre l’agosto del 2011 come l’estate del lavoro da guardiano di Giò, le mitragliatrici punk a 45 giri e i pappagalli. Genova è la capitale europea dei pappagalli. I primi nidificarono a Villa Gruber negli anni ’70 e così si riprodussero e si espansero; attualmente sono quasi trenta specie quelle che vivono sopra i tralicci e gli alberi delle vie del centro. Qualcuno dice che siano scappati da un circo.
Alle 6 pomeridiane io, Giova e Nico ci scoliamo le birre della sera prima lasciate in giro per casa, ma nel dopo-lavoro si lascia correre anche questo, come tutto. Con quel caldo le finestre sono aperte, così che anche nel palazzo nessuno fa più finta di vedersi, e a maggior ragione nel pianerottolo che serve da balcone comune.
La sig.ra Dominici invece non esce mai. Nico dice che è una vecchia strana. Mentre la sig.ra Arena, lei sì che è una gran fica dice Giova, secondo me prima o poi qualcuno se la scopa. Ma la Sig.ra Dominici sicuramente è la persona più interessante, dico io.
Ti piacciono le vecchie?
La storia della collezione di occhi di vetro la conoscete: faceva l’infermiera al San Martino negli anni ’60 e fregava gli occhi dal reparto di chirurgia oculistica, a volte iniettava degli acidi ai pazienti e asportava i bulbi oculari.
Solo perché lei ha l’occhio di vetro, non significa che ne abbia una collezione di veri.

La sig.ra Arena dice che la vecchia esce solo alle 7 di mattina e nutre i pappagalli, ogni giorno ha un occhio diverso, a volte nero come la palla da 8 e a volte bianco senza pupilla, un Aleph insomma.

La sig.ra Arena dice che la vecchia esce solo alle 7 di mattina e nutre i pappagalli. Ogni giorno ha un occhio diverso, a volte nero come la palla da 8 e a volte bianco senza pupilla, un Aleph insomma.
Hai parlato con la sig.ra Arena?
Nel soggiorno dove chiacchieriamo c’è un tavolo di legno su cui abbiamo inciso con un coltello i nostri nomi, Padre Armorth ora esorcizza stocazzo, i condomini sono tenuti ad un comportamento corretto, e altre scritte ancora; sempre con il coltello facciamo a gara a chi riesce a tagliare trasversalmente la tavola da pranzo; uno è rimasto incastrato nel legno. Il tavolo si regge su tre gambe, ma basta non appoggiarci troppo peso affinché rimanga stabile.
Domani mattina potremmo svegliarci per andare a vederlo.
Lavoro, c’è il nuovo capo che ci fa fare i rilevamenti giù al Bisagno.
Ti devi svegliare mezz’ora prima del solito, se non ti fai le seghe sul computer fino alle 4.
Alle pareti del soggiorno c’è un poster con Homer Simpson che si mangia una ciambella e una riproduzione non originale serigrafata 13/100 di «Futurismo» di Malevic. Anche noi ci muoviamo nello spazio ma non nel tempo, così da essere estranei all’estetica dettata dalle stagioni dell’uomo, ché la gravità è l’unica forza a cui possiamo sentirci assoggettati.

Chi di noi ha letto Borges ha sempre voluto vedere l’Aleph, desiderando che il cielo possa avere la stessa concretezza del cemento, e che un bicchiere mezzo vuoto possa contenere l’intera conoscenza dell’umanità e degli scheletri del lago ghiacciato in Uttarkand e degli eroinomani di Sturla.

Alle 6.50 della mattina successiva ci svegliamo per uscire sul terrazzo.
Dove cazzo è Giò?
È rimasto in giro, forse non doveva lavorare.
No, è uscito con quella fattona due giorni fa, ma non mi ricordo mai come si chiama.
Chi di noi ha letto Borges ha sempre voluto vedere l’Aleph, desiderando che il cielo possa avere la stessa concretezza del cemento, e che un bicchiere mezzo vuoto possa contenere l’intera conoscenza dell’umanità e degli scheletri del lago ghiacciato in Uttarkand e degli eroinomani di Sturla.
Quel giorno, alle 7 di mattina, di fronte alla portafinestra aperta della vecchia, un pappagallo verde con il becco giallo e un occhio di vetro sotto la zampa sinistra e l’altra appoggiata a terra sosta sul terrazzo.
L’iride dell’occhio è verde, con una lieve striatura marrone a coronare la pupilla.
Sembra un giocatore del Brasile, forse Ronaldo.
Bell’occhio! CRRRRAAAAAAK.
Giova dice di fregare la pistola d’ordinanza a Giò e far esplodere la testa del pennuto invece di convincerlo a mollare la presa. Nico suggerisce di tirargli il collo fino a fargli uscire le budella dal culo, anche perché il pappagallo comincia a ciangottare e il becco si apre e si chiude come i pappagalli da giardiniere.
Ragazzi, che state facendo?
La sig.ra Arena è uscita nel ballatoio comune con una vestaglia fucsia. Si è svegliata per colpa nostra. O tutte le mattine deve svegliarsi a quell’ora oppure anche lei vuole vedere l’occhio di vetro della Sig.ra Dominci.
Il pappagallo!
Giova e Nico ora vanno a prendere la pistola in camera.
Lo sistemiamo noi, non si preoccupi.
Non vorrete sparargli! Vi denuncio alla protezione animali!, e con il viso assonnato si frappone con le braccia aperte tra noi e la bestia e dice ancora che la crudeltà contro gli animali è un reato e che pagheremo.
Sembra il Cristo di Rio de Janeiro con quella vestaglia.
Nel mentre che la Sig.ra Arena continua a urlare, Giova e Nico rientrano in casa.
Nico si ferma in soggiorno a prendere da mangiare quello che gli capita sotto mano, scolandosi l’ultima birra rimasta.
Giova, superato il soggiorno, entra nella camera di Giò che sa anch’essa delle noccioline della sera prima. Quindi cerca tra i vestiti, anche se è improbabile trovarla, poi apre un cassetto e non vede altro che mutande e medicinali. C’è anche la pipa color grano che fuma sempre Giò, ma la lancia lontano. Trova l’arma nell’armadio delle giacche, una Beretta calibro 45. C’è un caricatore pieno.
Due mesi prima Giò ci aveva fatto sparare ai forti abbandonati sulle colline dove i fattoni si bucavano e i satanisti facevano i riti e ogni tanto organizzavano qualche rave techno. Giò diceva che en plain air si impara a sparare meglio, e per di più di fronte ai finestroni dei forti i colpi rimbombavano come cannonate; diceva: ti senti onnipotente, il suono è ciò che ha reso gli antichi dèi immortali agli occhi degli uomini, il tuono preannunciava l’ira di Zeus, un urlo di battaglia l’ira di Marte. Dopo un paio di tiri però i tuoni si disperdevano quasi subito, nessuno percepiva la presenza di nessun dio antico, nemmeno di uno contemporaneo, solo l’eco di luoghi abbandonati alla loro storia. Qualcuno in città li definiva monumenti. Per noi erano solo i mausolei del suono che rivivevano nella disperazione occasionale di chi passa di lì e poi silenzio.
Ce ne scoliamo una?
La birra è calda e le noccioline tostate da almeno diciotto ore di abbandono in cucina. Giova inciampa in un filo che collega il televisore alla presa del bagno, ma senza mollare il manico della pistola.
No! Dobbiamo ammazzare il pennuto prima che scappi.
È così grasso che mica può volare.
Cazzo mi frega, mi sono svegliato alle 7 e ora voglio quell’occhio.
Giova si alza appoggiandosi al tavolo che crolla a terra lasciandolo in ginocchio, allora Nico molla la birra sopra il televisore e aiuta Giova a rialzarsi. Quando voltano lo sguardo verso l’uscita, il cielo è così terso che lo sparo avrebbe avuto la consistenza di un respiro e l’urlo del pappagallo si sarebbe perso con la leggerezza di un’unica nuvola nel cielo.
La sig.ra Arena continua a minacciare che ci denuncerà e che non la passeremo liscia. Il pappagallo fa un primo salto verso destra e apre le ali e poi il becco.
Come Giova esce dalla casa, spara. SBAAAAAAAANG!
La sig.ra Arena caccia un grido e sviene a differenza del pappagallo, che non ne ha il tempo.
Invece di soccorrere la Sig.ra Arena, raccogliamo l’occhio — il nostro personale Aleph — ed entriamo nella casa della Sig.ra Dominici.
Secondo me è un parrocchetto.

Alle 7.06 della mattina, nessuno ci fissa con l’incavo dell’orbita.
Sig.ra Dominici, è permesso?
Due pupille brillano tanto quanto la luce della notte in città. Il buio non ci osserva come potevamo immaginare, come abbiamo desiderato per tante altre notti: la Sig.ra Dominici ha entrambi gli occhi?
Potevate lasciarlo vivo.
Di fronte a noi il tavolo della cucina è apparecchiato con bisturi, seghe e siringhe ma sopra c’è anche una tazza di caffellatte e delle fette biscottate già imburrate.
A fianco alla vecchia, c’è un altro pappagallo: è accasciato su un fianco con la pupilla ancora legata dal sottile nervo all’orbita oculare, un’ala inchiodata al tavolo; alle sue spalle, la collezione aspetta che le riportiamo l’elemento mancante.
È un bell’occhio. È un Aleph!

Illustrazione di Van Lian

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