– Sono quindici vittorie a testa, Erni. La prossima è la bella.
Terminato il Simposio degli Ufologi Italiani, Enrico Andrade ed Ernesto Levi avevano prolungato le loro sfide a scacchi all’Hotel Fiume per tredici giorni. Come se il calendario non fosse più composto di giornate, ma caselle bianche e nere da occupare. Come se nelle vene di quelle giornate non scorressero più le ore e i minuti.
Lo spazio imponeva la sua misura, il tempo aveva perso la sua forma.
– Giochiamo ora?
– Conosco un posto qua a Genova. Si gioca su scommessa. Tutto organizzato da un amico che conosco da anni. Sostiene sua moglie sia un marziano.
– Un Grigio?
– Sei il solito credulone, Erni. È solo la moglie a essere inquietante.
All’1.03 della notte, la Tv del bar dell’hotel, una Telefunken con il tubo catodico, trasmetteva senza volume un incontro di boxe: al primo round i pugili si studiano, clinch, qualche montante, non sembrano voler mantenere la distanza. Al secondo round sono più sciolti sulle braccia. Una combinazione a segno del pugile alto. L’altro rimane con un taglio al sopracciglio sinistro. L’arbitro controlla la ferita: è accidentale, si continua. Poi jab, ancora. Al minuto 1,27 secondi del terzo round il pugile con i calzoncini neri prima abbraccia, e quindi morde l’orecchio destro dell’avversario. Il pubblico esplode, festeggia il lobo destro mozzato.
– Il pensionamento è arrivato un giorno dopo il tuo.
– In ritardo su tutto. Come sempre.
Gli scommettitori si facevano avanti. Il Nik Masaniello era attraversato a metà da un bancone di legno grezzo su cui sfilavano Pastis caricati sino all’orlo.
Seduti difronte alla scacchiera, Enrico Andrade ed Ernesto Levi osservavano l’uomo che diceva di aver sposato l’alieno mentre raccoglieva i soldi.
– Garantisco per loro. Ogni pezzo perso vale la puntata, ed ogni pezzo ne indica il valore. Di quel che rimane a fine partita si prende la puntata moltiplicata per quattro.
Gli scommettitori si facevano avanti. Il Nik Masaniello era attraversato a metà da un bancone di legno grezzo su cui sfilavano Pastis caricati sino all’orlo. Alle voci e ai volti si mescolavano versi di poesia in tedesco, riversati da un altoparlante al soffitto, che sembravano provenire dall’altro capo di un telefono installato a migliaia di chilometri.
Quando Enrico Andrade ed Ernesto Levi avevano perso la metà dei pezzi a testa, attaccò a suonare un sax. La calca degli scommettitori aumentò, anche se in pochi azzardavano pronostici sull’esito della partita. Sono brutte facce, pensò Ernesto, uno sembra un coyote.
Ernesto alzò lo sguardo per rilassare i pensieri. Gli esplodevano le tempie. Alle spalle era seduta una ragazza con la schiena rivolta alla sua. Il tono greve della voce contrapposto agli acuti del sax rendeva ogni parola voluminosa. Parlava dei versi in tedesco dall’altoparlante, della poesia di Rilke e disse che Alda Merini era la troia nazista della poesia italiana.
– Il ritrovamento di reperti fuori dal tempo dell’archeologia canonica non è sostenibile, Erni. Simic afferma: se non vi sono certezze, allora crediamo nel nulla.
– Il nulla…
Ernesto si mise a contare i pezzi che gli erano stati mangiati.
Dall’alto dello sgabello del bancone del bar, un uomo allungò il collo verso la partita. Pare un avvoltoio, pensò Ernesto. L’uomo avvoltoio osserva tutto e conosce tutto.
Ancora una volta, Ernesto rimase distratto dalla voce e dai discorsi della ragazza:
– Stanno venendo a farmi esplodere il cervello. Ho tracciato svastiche sulla foto di copertina dei libri di Alda Merini: interpolava messaggi subliminali nazisti nei suoi versi. Deve essere reso pubblico. Dopo che mi hanno fermata in libreria, sono stata schedata.
Ernesto Levi si sentì come se fosse stato disarcionato dal cavallo che avrebbe dovuto sacrificare per mangiare l’alfiere di Enrico. Fissò l’avversario. Enrico Andrade e Ernesto Levi erano rivali dal 12 maggio 1968: Enrico aveva presentato la tesi di laurea in Antropologia Culturale un giorno prima. Successivamente venne assunto al CISU ed Ernesto al CNU; le associazioni si contestavano il primato sugli avvistamenti UFO lungo tutto il territorio.
“Ho tracciato svastiche sulla foto di copertina dei libri di Alda Merini: interpolava messaggi subliminali nazisti nei suoi versi. Deve essere reso pubblico”.
L’uomo avvoltoio veglia sul Nik Masaniello. Osserva tutto e conosce tutto. Dentro il cappotto tiene il portafoglio come può tenere una Desert Eagle israeliana o un punteruolo. Siccome è un uomo avvoltoio sta in disparte, e non si nota finché non fa un breve movimento. L’avvoltoio è un animale temibile.
Ernesto Levi lo vede avvicinarsi progressivamente al tavolo da gioco, e sa che quando l’avvoltoio si muove più del dovuto è per portare con sé la morte di qualcuno. Sarà la ragazza. Vorrebbe dirle di scappare
– È l’uomo avvoltoio l’assassino!
I suoi pensieri e le sue azioni non sono sincronizzati, come una macchina fotografica inceppata. Si volta ma, colpendo il tavolo con il ginocchio sinistro, saltano e cadono i pezzi della scacchiera. L’uomo coyote ringhia e attacca l’allibratore per la mancata scommessa sugli scacchi. Il pubblico esplode, si riversa sui giocatori. Ernesto scivola al riparo sotto il tavolo. Vede solo gambe, tronchi di foresta in fuga dal fuoco, poi atterrano due bicchieri, un alfiere e infine il corpo di Enrico.
Il referto necroscopico del 13 maggio 2018, reperto n.12, conseguì un’incisione da arma da taglio al collo parallela al decorso delle fibre elastiche: recisione netta delle strutture vascolari (carotide e giugulare) e della trachea, con conseguente annegamento interno (occlusione delle vie respiratorie da parte del sangue inalato).
L’avvoltoio è solo un uccello saprofago, pensò Ernesto Levi.