Guardare all’incidente come parte del percorso | Su “Personal Trainer” di Davide Galipò

Con l’ascesa del web, possiamo dire
che la scrittura ha trovato la sua fotografia.

– Kenneth Goldsmith, Scrittura non creativa

Comincio dalla fine, e concludo: Personal trainer di Davide Galipò suggerisce che la questione politica – per un poeta del 2022 – sia intersecata alla preoccupazione estetica, le cresca addosso in un rapporto simbiotico. Questo è il mood fondamentale del libro, che punta a riportare al centro un’urgenza (la «visione del futuro» e la liberazione dal presente) e a fare che l’estetica (più particolarmente, la poesia) partecipi attivamente a questa urgenza. Soprattutto, però, nella forma della rilevazione (sarcastica e insieme feroce) di una serie di automatismi.
Ma come si arriva a questa conclusione? Partiamo col dire che se i fatti estetici, nonché linguistici (si noti l’uso dello schwa in Qualcosa sull’amore), sono sovrapposti a quelli politici, li attivano, la forma stessa della poesia non può che risentirne. Ne consegue che la stessa schematizzazione tra politica e arte è destinata a saltare («Il poeta […] è piuttosto qualcuno / che sa mobilitare se stesso e gli altri»). Una delle prime cose che osserviamo leggendo Galipò, infatti, è una certa “dislocazione” del centro poetico. Voglio dire: viene in qualche modo assediata la postura soggettivista, esistenzialista, della poesia (ad esempio attraverso il ricorso costante al “tu” e l’assenza di un “io” riconoscibile) e anche se l’autore non raggiunge mai momenti di decostruzione radicale o afasia (anzi, il misticismo del silenzio è parodiato nell’ultimo testo, Il silenzio di dio) la tendenza a smontare dei modelli precostituiti si avverte molto forte. Si genera un vuoto – quello che solitamente è occupato da una soggettività – ed è un vuoto attorno a cui ruotano, gravitando, la necessità di manifestare un’urgenza e quella di tracciare una strada autentica e autodeterminata, cioè fuori da modelli estetici consunti.

La passione, poesia visiva di Davide Galipò

È così che estetica e politica si sovrappongono: «Scrivere con la penna è una cosa», e cioè intervenire sulla relatività delle costruzioni culturali fa il gioco di un discorso fortemente politico, ma in senso trasversale e non catechistico.

Quanto alle soluzioni formali (che si capiscono essere, a questo punto, anche sostanziali) troviamo quindi una varietas di possibilità che mette la poesia in dialogo con le arti visive, con il mondo digitale, con il cinema. È d’uopo ricordare, del resto, che Galipò è anche musicista, poeta visivo e poeta “olfattivo” (Olfabeto, 2021) e dunque fa parte del suo DNA eccedere la poesia tradizionalmente intesa. Così, in Personal trainer, troviamo I titoli di coda del capitalismo, che dispongono il testo sulla pagina seguendo quasi una spina dorsale, oltre che lo scorrimento, appunto, dei titoli di coda; un testo (Qualcosa sull’amore) strutturato come le guide di registrazione alle app per incontri; Questo vizio del lavoro che è simile a uno scontrino fiscale; l’elenco puntato di Agenzie letterarie; la ripetizione ossessiva di «Balestrini» in La signorina Richmond comincia ad averne abbastanza di tutti questi Balestrini; le esortazioni quasi militari di Primo step. E poi, soprattutto, il sarcasmo: tutta l’opera va letta attraverso questo filtro, che è insieme una parodia volta a screditare il bersaglio polemico (l’atletismo depensante di Primo step, ad esempio, o lo squallore della scena letteraria di Agenzie letterarie) ma anche – e le due cose possono intrecciarsi – un crick per sollevare il taciuto, come nel caso del consumismo autoassolutorio e consolante di Questo vizio del lavoro («Guardate questa serie su netflix / di un tizio che vive all’ikea / e ha questo vizio del lavoro»).

Un percorso a ostacoli, poesia visiva di Davide Galipò

Anche in termini tematici o filosofici, poi, possiamo ragionare secondo la logica della complementarità. Anzi, la natura insieme sarcastica e urgente del libro (che vuol dire anche indiretta e diretta al contempo) conduce necessariamente a un’alternanza tra ambiguazione e disambiguazione. Così ci sono alcuni momenti che paiono sacrificare il non detto e farsi unidirezionali, esplicativi. È il caso di Fattore X, dove, con andamento deduttivo, si fissano alcuni punti cardine, che riguardano la democraticità dell’arte («la poesia […] sia da considerare / una capacità che noi tutti possediamo»), ma anche la sua “specificità operativa” («la poesia rappresenta / un concetto complesso […] il cosiddetto “fattore X”, ovvero / l’unicità che contraddistingue / ogni essere umano»), dunque gli obiettivi («Il vero poeta […] 1 rischia; 2 innova; 3 insegna; 4 mobilita») e gli effetti della scrittura («L’essenza autentica della poesia / è la capacità di far stare male le persone»). Ma proprio su questi testi apparentemente aderenti alla forma-manifesto si può misurare più chiaramente la spinta demistificante del libro: Fattore X infatti è un cut-up in cui frasi dedicate alla descrizione di pratiche ginniche sono montate e alterate sostituendo il lessico originario con quello del mondo della poesia.

Così l’atletica, chiamata in causa fin dal titolo e dal primo testo, diventa il campo semantico più efficace per fare emergere il vuoto sopradescritto, la macchina automatica cui obbediscono, a questo punto, le scritture oltre che le vite.

Discorsi alla Nazione, Installazione audiovideo di Davide Galipò

Anche in questo senso funzionano i testi che si collocano – per tono e spirito – dall’altro lato rispetto a quelli (pseudo-)programmatici: sono testi che seguono un approccio più mimetico e raccontano l’alienazione con maggiore vividezza, con narratività, dunque con una dose di ambiguità più palpabile. In questo senso si muove Masticazione, tra le poesie più riuscite: qui, nonostante il tono imperativo («Pulisci», «Evita», «Unisciti»), si tende a mostrare più che a dire («Le mani sulla tavola / le gambe sotto il tavolo / il tovagliolo sulle gambe / la posata in una mano») e ciò che emerge è il ritratto di una vittima del sistema presente, di quell’automazione che in altri momenti emerge per via più sarcastica o mascherata. Gli stessi imperativi, del resto, sono corresponsabili dell’alienazione del protagonista: «Mantieniti astratto. Resta vago» sono incitazioni alla perdita di sé, e la masticazione mi sembra una buona metafora per descrivere il gesto vuoto e reiterato, l’essere «schiacciati / sul presente», come si scrive altrove.

È proprio il sarcasmo, però, a sporcare l’“escatologia” (per quanto laica). Il silenzio di dio, infatti, chiusura effettiva del libro, appone all’opera la parodia definitiva, significativamente riguardante il vuoto – che è un vuoto di linguaggio (il silenzio, appunto) ed è detto «sopravvalutato».

Personal trainer, insomma, mentre impedisce qualsiasi mistica dell’assenza, si fa carico di istanze politiche, ma le incide nel linguaggio, che a sua volta viene montato (si è detto del cut-up e dei legami col cinema), automatizzato (le reiterazioni, la Masticazione), parodizzato e dunque portato a generare un distacco straniante.

Sulla scia della Scrittura non-creativa di Goldsmith (che vuol dire anche: sulla scia di una scrittura da ripensare interamente alla luce dell’«ascesa del web», come annunciato in esergo), è così che il vuoto viene innescato: il lettore guarda questo buco o, meglio, lo percepisce, percepisce una mancanza, non riceve indicazioni ma è chiamato in causa di fronte a se stesso e al mondo proprio nel momento in cui qualcosa viene sottratto. Cioè l’illusione di compiutezza di senso che la vita automaticamente impone.

Personal Trainer di Davide Galipò
72 pagine, brossura
eretica edizioni, 2023
pOESIE VISIVE DELL’AUTORE
iLLUSTRAZIONE di Brice York

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