Sette anni fa nasceva Neutopia. Sembrano esserne passati molti di più. Quando ci siamo affacciati sul panorama editoriale, ogni città aveva il suo collettivo artistico e poetico: realtà nate dal basso ma desiderose di esprimersi, di trovare la propria strada e di immaginare una via condivisa. Le riviste – online e cartacee – non erano molte, ma questi produttori di contenuti – sia letterari che contro-culturali – erano talmente ostinati da fare breccia in una generazione che per prima aveva conosciuto la diffusione dei social network e la liberazione dai canali dell’informazione ufficiale.
Allora abbiamo teso il nostro arco e, approfittando della confusione eccellente, ci abbiamo provato: da collettivo siamo diventati un’associazione culturale, che stampava una rivista cartacea, prima con un compendio annuale dei migliori contenuti del sito, poi a cadenza regolare, trimestrale, quadrimestrale e così via. Siamo andati avanti così per dieci numeri, siamo sempre rimasti liberi e indipendenti. Il nostro epiteto, nonché cavallo di battaglia, era fuga dalla rete: credevamo che la letteratura potesse fungere da tramite per superare alcune barriere, prima di tutto culturali, ma anche geografiche, e poi logistiche, strutturali. Ed è accaduto, grazie a festival, realtà indipendenti, persone meravigliose.
I collettivi letterari e artistici, che prima erano aperti e numerosi, sono diventati sempre più rari, territorialisti, settari.
Meno di un decennio dopo, le riviste letterarie si sono triplicate e oggi occupano gli scaffali di molte librerie. Insieme a questo ritorno della carta, però, sono tornate altre divisioni che invece ci preoccupano moltissimo. Innanzitutto, i collettivi letterari e artistici, che prima erano aperti e numerosi, sono diventati sempre più rari, territorialisti, settari. La chimera della rete, la stessa che un tempo avevamo pensato di potere superare, ha finito con l’assuefarci. Con la sola differenza che molti di noi non hanno nemmeno avuto la possibilità di potersi vendere a caro prezzo sul mercato. In secondo luogo, ma non meno importante, la libertà di comunicare sui social ha mostrato il suo lato oscuro, fatto di fake news, tossicità e semplificazioni pericolosissime.
La libertà di comunicare sui social ha mostrato il suo lato oscuro, fatto di fake news, tossicità e semplificazioni pericolosissime.
Nel frattempo, il recupero è ovunque, l’isola di Utopia è chiusa nelle start-up e l’abbandono di molti giovani dei social network non è coinciso con una nuova urgenza di fuggire dalla rete. Al contrario: ci si illude di poter trasformare ancora quell’urgenza in una professione, magari redditizia, per i propri avvenire, mentre la nave affonda. I pochi collettivi rimasti, che oggi si contano sulle dita di una mano, hanno preso strade diversissime e ognuno prova a trovare la propria scialuppa di salvataggio per mantenersi a galla. C’è chi lo fa reinventandosi poetry label, chi sta aspettando che scoppi la rivoluzione su Mastodon e chi prova a portare le sue poesie nel Metaverso.
L’unica cosa che ci sembra necessaria è la capacità di affinare la nostra critica verso una realtà che non ci piace, trasgredendo i rituali imposti dell’arte.
Quel che è certo, è che in un mondo così non può esserci Utopia. L’unica cosa che ci sembra necessaria è la capacità di affinare la nostra critica verso una realtà che non ci piace, trasgredendo i rituali imposti dell’arte. Le uniche persone che sembrano averlo capito sono coloro che interrompono temporaneamente le esposizioni museali con un barattolo di salsa di pomodoro per protestare contro la guerra e la crisi energetica, e che per questo sono demonizzati come vandali senza senso estetico.
Consci del fatto che questo editoriale difficilmente incontrerà il favore dell’algoritmo, decidiamo di celebrare questi sette anni insieme ai nostri lettori facendo la cosa che ci riesce meglio: pubblicare degli autori che ci piacerebbe leggere.
Reinventare da noi il nostro desiderio – che ad oggi, resta senza nome – potrebbe essere un ottimo modo per uscire dalle reciproche solitudini. Consci del fatto che questo editoriale difficilmente incontrerà il favore dell’algoritmo, decidiamo di celebrare questi sette anni insieme ai nostri lettori facendo la cosa che ci riesce meglio: pubblicare degli autori che ci piacerebbe leggere. In un mondo di fascismo patinato, sembra già rivoluzionario. Non lo è, ma per lo meno siamo ancora vivi.