Le ombre sul canneto | Daniele Colantonio

Doddo

Il mio papà è un eroe, me l’ha detto il mio nuovo amichetto. È venuto a prendermi in camera, quella notte, e mi ha portato a vedere lo spettacolo. Lì c’erano due tipi grossi e un uomo incappucciato. Sono stati loro a farmi capire che il mio papà è un eroe, prima di quel giorno non ne ero poi tanto sicuro. Una mattina, portandomi a scuola, il mio papà si è preso il dito medio da uno con la moto, che poi è sceso e ha cominciato a bussare al finestrino. Il mio papà non ha detto nulla, ha guardato dritto, con gli occhi a palla, verso la macchina davanti – sembrava piccolo piccolo, come la scimmietta Cocò. Quando l’uomo con la moto è andato via papà ha gridato forte, come quando urla con la mamma e le parole non si capiscono più. In testa, quel giorno, avevo due nuvolette: in una papà era grande e forte, nell’altra era sgonfio come un pallone bucato. Io non sapevo quale scegliere, ma quella notte, con l’uomo incappucciato, non ho più avuto dubbi. 

Malù

Avete presente quando una faccia puzza? Le parole, i sorrisi, le lacrime di quella faccia, tutto con lo stesso putrido odore. Non è facile accettarlo, solo col tempo capisci che tutto ciò nasce dalla responsabilità di dover fare delle scelte. Ecco perché in fondo rispetto mio marito. E poi è grazie a Lui se abbiamo una casa (anche se come garante al mutuo c’è voluta la firma dei miei genitori) e un figlio meraviglioso (sì, certo, dopo anni di tentativi infruttuosi, quando Lui mi puntava il dito contro calcando la parola ovaie, per poi ripiegare e minimizzare la parola oligospermia). Non me la prendevo, no di certo, non volevo si sentisse inadeguato e poi, si sa, è facile trasformare una semplice discussione in una valanga e rotolare giù, dalla collina del rapporto, a dire cose che non volevi. Non ero come gli altri che sparavano sentenze. Quando la gente lo criticava cercavo di difenderlo, perché detesto chi guarda qualcuno da lontano e dice: “Eccolo, il Mostro!”. Avvicinatevi, perdìo, guardate meglio! Cercate di capire da dove provenga realmente quella puzza. È la vita che fa marcire tutto. È quest’aria infetta che trovi in giro.

È la vita che fa marcire tutto. È quest’aria infetta che trovi in giro.

Lui

Non ci volevo andare a quella cena. Se fossimo rimasti in casa, forse, tutto questo non sarebbe successo. Se avessi sentito per tempo i rumori venire da fuori, li avrei fermati prima, quelli. E poi no, non mi sono mai piaciuti i Mauri, con i loro pensieri infantili. Per loro basta sorridere e tutto torna rosa e tutti diventano fratelli. E quei poveri bambini, indifesi davanti a idee così stravaganti, come se potessero capire certi concetti! Ma come si fa, dico io, a dare a un bambino certe responsabilità e a tirarsi fuori, con tanta pavida incoscienza, dalla sua educazione? E a sentirsi nel giusto, e a ritenere tuo figlio in salvo. Lo sapevo che a metà cena sarei sbottato, è normale, meno male che siamo andati via, altrimenti la tragedia sarebbe successa lì. Che poi mio figlio ce l’ha le orecchie, non è cretino, lui, e alla fine, come sempre,tocca a me fare il lavoro sporco. Tocca a me dirgli che quella gente ha idee un po’ bislacche, ma che sono “amici di tua madre” e dobbiamo abbozzarli. Ma il lavoro non finisce mica qui, bisogna poi entrare nella testa di un bambino, in un canneto così fragile – immaginate la violenza che ci vuole – e trovare in fretta la gramigna di quelle idee infestanti e strapparla via prima che tutto venga distrutto. Come si può fare tutto questo ogni giorno? Avere la forza per portare avanti una famiglia, il lavoro, una casa, e allo stesso tempo stare attento a tutto questo marciume che ti arriva addosso. Ti viene quasi voglia di barricarti in casa, distruggere la TV, il PC, delimitare il mondo.

Malù

Sì, forse aveva ragione Lui a dire che quella sera sarebbe stato meglio restare a casa. Declinare, diceva sempre. Non è peccato declinare…

Doddo

Cercavo di riattaccare la testa a Cocò. A forza di dormirci insieme e stringerlo forte, la sua testa si è piegata un po’ troppo ed è uscita della roba che sembra ovatta. A Cocò non interessa avere il collo rotto, lui è mio amico, e ride lo stesso. Dalla mia cameretta sentivo mamma e papà discutere: parlavano di un certo canneto. Che poi questo canneto forse era mio e lui lo raddrizzava. Boh. Mamma diceva che i Mauri, i genitori dei miei amichetti, erano un po’ ingenui, ma volevano bene ai loro figli, e volevano bene anche a me. Al che papà alzava la voce e parlava di una strega, una certa Gramigna, che entrava nel canneto e buttava giù tutto, e che io, per questo, crescevo storto come Cocò. Mamma, in quelle sere, non la capivo proprio, sembrava quasi un’amica della strega: papà la scacciava dalla porta e la mamma la faceva rientrare dalla finestra. Poi qualcuno ha gridato, allora è entrato il mio nuovo amico e mi ha portato a vedere l’uomo incappucciato. 

Malù

Fuori dalla finestra c’erano delle ombre strane, ma ormai non ci facevo più caso. Le vedevo ogni giorno, le ombre, sempre più inquietanti, sempre più familiari. Da tempo una mia amica cercava di dirmi che… insomma, che quelle ombre, in realtà, erano create da Lui. Le rispondevo che Lui in fondo era un buon marito, aveva solo un carattere difficile. Allora la mia amica faceva una faccia strana, come se le facessi pena. Ripensai a lei quella notte, dopo aver messo Doddo a letto, quando capii che Lui mi avrebbe fatto perdere il sonno con i soliti discorsi. Io ero stanca e gli dissi che era inutile avvelenarsi il sangue. Ti prego, gli dicevo, almeno per questa notte, dispensami da quel cazzo di canneto.  Loro erano già lì fuori, tra i vasi e le palme. Avevano un’immagine in testa, e un nome. Il nome di mio marito.

Loro erano già lì fuori, tra i vasi e le palme. Avevano un’immagine in testa, e un nome. Il nome di mio marito.

Lui

Potevo sentire il loro odore. In casa, a me, non sfugge nulla. Fuori sì, ci sono troppe forze in gioco, ma in casa no, è il mio (il nostro) regno. Se mia moglie mi sposta un oggetto, anche il più piccolo, che ne so, lo scolaretto in ceramica sulla credenza, io lo percepisco subito. È così, giuro. Ve ne racconto una: una volta entro in casa e mi sento inquieto. È tutto in ordine, eppure c’è qualcosa che non va, come quando tua moglie fa di tutto per non guardarti in faccia perché ti nasconde qualcosa. Ma lei, quel giorno, era sorridente e tranquilla, con quel sorriso che spiccava tra gli altri come una cometa tra foglie morte. La bacio sulla fronte, lei ricambia con una mano sul fianco e un sorriso dolce e rassicurante. Mi tolgo la giacca, indosso le ciabatte, vado in bagno e lì prende corpo la mia inquietudine: la lavasciuga nuova, poggiata in un angolo, non è quella che avevo ordinato. Mia moglie, quel pomeriggio, era uscita prima dal lavoro per accogliere i trasportatori. Non si era accorta dell’errore, aveva firmato il foglio e li aveva lasciati andar via. Avrei potuto sbraitarle contro, no? E invece, da buon maritino, ho mantenuto la calma. Lei ha capito subito l’errore e ha chiesto scusa e tutto si è risolto per il meglio… 

Malù

Stavo pensando: ecco, ora, Lui se la prende con me, mi urla contro, e porteremo la discussione fino a tarda notte, e sentirò quel gelo che ci divide, che trasforma il letto in qualcosa di liquido e distante, e diventerà così grande, il letto, che se ti rigiri non vedi più nessuno di fianco a te, solo un lago nero e putrido, ma quel lago, in fondo, è la nostra famiglia no? E nessuno lo prosciugherà mai…

Lui

…Questo per dire che in casa mia tutto ha un suono: se cambi una nota, anche una sola, la musica stride. E quella notte c’era qualcosa nell’aria. Eravamo a letto, a discutere, con le persiane aperte. L’ombra di quelle persone era lì, nel giardino, a farmi pizzicare il sesto senso. Non sapevamo che la finestra era stata forzata e che qualcuno era già in casa, nella cameretta di Doddo. Al mondo esterno non basta di attentare al tuo lavoro, no, sente anche il bisogno di distruggere il regno privato che ogni uomo si merita. Una stella cadente sul canneto, a dargli fuoco.    

Doddo  

Li conosceva bene i supereroi, pure Thor, quello che a me non piace. Al mio amico piace Venom, quello che a me fa tanta paura. Mi ha detto, però, che l’eroe più grande di tutti era in casa nostra: indovina chi è? È tuo papà. Bum. A Cocò, per la felicità, gli si raddrizza il collo. Però gli dovevo promettere che non avrei avuto paura dello spettacolo perché “a volte un eroe deve compiere azioni brutte per sistemare le cose”. Gli ho fatto di sì con la testa, allora mi ha preso per mano e mi ha portato in camera dei miei. Poi, dopo quella sera, dicono sia diventato grande. 

Malù

Nello spazio tra la tenda e la finestra si fa avanti un’ombra. Acquista un corpo, una faccia. Sorride. Per la sorpresa e la paura non mi viene neanche di urlare. Lo fa Lui, mio marito, alzandosi dal letto, poi torna indietro perché le figure sono due, grandi e spaventose, anzi no, sono tre. Con loro c’è un tizio incappucciato, una figura che non riesco a concepire. Ci dicono di stare tranquilli. Non vogliono farci del male, vogliono solo conoscere un eroe. L’aria diventa allucinata, mi viene da piangere. Mi sembra che l’uomo sotto al cappuccio stia tremando. Dietro di lui, nella mano di quello più grosso, brilla qualcosa di affilato. Mio marito alza la voce ma non capisco se stia facendo la voce grossa o chiedendo pietà. Viene tolto il cappuccio al tizio; sbuca una faccia nera. L’uomo è terrorizzato, i suoi denti battono, le mani legate dietro la schiena, con un laccio. Immagino mio marito su quel lago nero, che torna indietro con la zattera a dirmi che va tutto bene, ma è solo un’illusione. Un’ombra si fa avanti dalla porta della camera. Nel grumo riconosco gli occhi di mio figlio e non vedo più nulla per qualche secondo. Anch’io, alla deriva, in un lago nero. 

Un’ombra si fa avanti dalla porta della camera. Nel grumo riconosco gli occhi di mio figlio e non vedo più nulla per qualche secondo. Anch’io, alla deriva, in un lago nero. 

Doddo

Il mio nuovo amico tira fuori il cellulare, dice che papà su Facebook spicca su tutti. Mi dice che è tanto coraggioso e non ha paura di dire certe cose. No che non ha paura, gli dico io, papà è forte come Hulk. Mi fa leggere delle frasi scritte da lui e alcune sono forti davvero. Il mio amico mi dice che non bisogna vergognarsi di quello che si pensa, ma che ora bisogna andare oltre, le parole non bastano più.

Malù

Le fa leggere anche a me quelle frasi. Io le leggo tutte con la voce di Lui, di mio marito, e sento il puzzo che esce dallo schermo. Ne provo nausea. Mi giro a guardarlo e Lui, su quella zattera mezza distrutta, non sa cosa dirmi, se provare orgoglio o repulsione. Gli chiedo il perché di tutta quella violenza verbale e Lui si stupisce che glielo chieda, indica Doddo e mi dice che lo fa per lui, per il suo futuro. Lo avevo già sentito dire certe cose, ma sotto quel post sembrava posseduto da un demone, potevi vedere una schiuma rabbiosa tra una parola e l’altra. Ma è troppo tardi, il mondo sta già tremando e cadrà a pezzi comunque, nessun kintsugi potrà rimettere insieme queste macerie. Ora il tizio si fa avanti, gira intorno al letto, s’inginocchia al cospetto di mio marito – Doddo si lascia scappare un piccolo grido entusiasta – e gli dice che ora deve mostrare a suo figlio la responsabilità. Le parole hanno una scadenza, aggiunge, non basta rinnovarle, bisogna incarnarle. Il tizio prende il coltello e lo porge a mio marito. L’uomo nero trema così tanto che sento le sue ossa scricchiolare. E ora mio marito, con la falce in mano, davanti a suo figlio, taglia il canneto della responsabilità.

Illustrazione di Stephan Schmitz

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