Il Re è nudo

#Blackouttuesday. Aderiscono, tra gli altri, Antonio Marras, Jil Sander, Dolce&Gabbana, Alessandro Michele, Giorgio Armani. Il vestito a lutto, se posto in raffronto con la statua imbrattata di Indro Montanelli e con la furia iconoclasta che, in pochi giorni, ha fatto il giro del mondo, riporta alla mente la vestizione del re nudo da parte di Christo e Jeanne-Claude che, nella primavera del 1971, durante il festival del Nouveau Réalisme, impacchettarono il monumento di Vittorio Emanuele II, in Piazza del Duomo, a Milano, con propilene e corda rossa, accendendo le proteste.

La vexata quaestio, sulla quale vacillano le statue di Churchill e Colombo, non è solo razziale, ma interroga i simboli e le cose con le quali abbiamo comunicato sino ad ora e i simboli che useremo oggi e domani. Un hashtag non ha certo la durata temporale di un memoriale di pietra.

La vexata quaestio, sulla quale vacillano le statue di Churchill e Colombo, non è solo razziale, ma interroga i simboli e le cose con le quali abbiamo comunicato sino ad ora e i simboli che useremo oggi e domani.

Anche laddove i nuovi architetti si sono spesi per edificare memoriali, lo hanno fatto con un cambiamento di segno, che non è solo cifra stilistica, ma mutamento di paradigma. Si pensi agli architetti Michael Arad e Peter Walker, i quali hanno inaugurato, domenica 11 settembre 2011, il memoriale cittadino di Ground Zero. Due grandi fontane quadrate di granito, scavate sino a quattro metri di profondità, in corrispondenza dei siti sui quali sorgevano le Twin Towers. Lungo il perimetro delle fontane sono incisi i 2752 nomi delle vittime dell’attacco al World Trade Center. L’opera si intitola Reflecting Absence.

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World Trade Center, Ground Zero, New York

Dire l’assenza, adombrando lo spazio sul quale precedentemente si ergevano le Twin Towers, del suo negativo. Neanche l’ombra di un culto o di un’ovazione. Un monumento all’assenza. L’assenza di qualcuno che è venuto a mancare, ma anche l’assenza delle parole per dirlo.

Torniamo a Christo e all’impacchettamento di Porta Pinciana del 1974. L’aperta confessione di Stefano Lucchini: «Le mura erano sempre state lì, ma noi romani le avevamo date per scontate finché qualcuno non aveva adoperato su di noi una tecnica per focalizzare l’attenzione, che passa attraverso quello che gli anglosassoni definiscono the strange yet familiar, ossia l’adozione di un’angolazione lievemente differente applicata a qualcosa che fa parte del nostro panorama mentale quotidiano».

Sembra che la storia, cristallizzata in monumenti, edifici o cenotafi di pietra non ci riguardi abbastanza. Preferiamo l’effimero? Ciò che non è durevole? Non credo.
Ma i monumenti, sui quali si accaniscono i giornali, hanno perso parte della loro portata simbolica.

I monumenti, sui quali si accaniscono i giornali, hanno perso parte della loro portata simbolica. È tempo di accorgersi che non ci parlano più come una volta.

Mi stupisco dinnanzi alla pellicola di Jean Vigo, A propos de Nice, capace di intessere un fitto dialogo tra i monumenti alla religiosità e la festività del carnevale, come se sapessi cogliere il valore di tali monumenti solo attraverso uno schermo. E mi stupisce, in mostra, questa fotografia dove, alla statua eroica di Mao Zedong in Shenyang, fanno da contraltare uomini all’addiaccio. Mi stupiscono i contrasti. Mi colpisce l’oblio, ma non nel mio quotidiano, bensì mediato da un mezzo, che sia la cinepresa o la macchina fotografica di Zhu Xianmin.

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Statua di Mao Zedong, Shenyang, fotografia di Zhu Xianmin

Su cosa si accaniscono giornali e media d’ogni tipo? Su quei monumenti dinnanzi ai quali vengono effettuati atti di vandalismo o, ancora, sopra ai quali si sosta, indaffarati o a riposo? La memoria storica va salvaguardata, ma è tempo di accorgersi che i monumenti non ci parlano più come una volta.

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Christo e Jeanne-Claude, Imballaggio del monumento a Vittorio Emanuele II, Milano, Piazza Duomo, 1970

«Il re è nudo», disse a un certo punto il bambino. Gli fece seguito il padre. Così tutti si misero a sussurrare quello che aveva detto il bambino. Si misero tutti a urlare. L’imperatore rabbrividì, perché sapeva che avevano ragione; ma continuò a condurre la parata sino alla fine, con i ciambellani che lo seguivano reggendo una coda che non c’era per niente.

In copertina, fotografia di Shunk-Kender

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