Gl’incubi fanno i denti
gialli, le ossa s’incrinano
da sole, “è l’attrito”:
dicono si sia spalancato
ieri l’ordigno; ma oggi
i vicoli restano asciutti,
torvi, male illuminati –
e mentre torni incerta
in cerca di buie apparizioni
tra i palazzi in carne,
le strade in salita
– sbatti,
non trovi l’uscita.
Sbattiti!
È igienico spostarsi!
Fuma – consuma – conduci
una vita intera, una linea retta
a passi piccoli – spietati;
è la prassi: una ferita va coperta,
su tutti i lati. Eccoli.
Gl’incubi fanno i poeti
longilinei come specchi.
Non ci siamo spenti,
seppur stipati in sacchi neri
e raccolti in fretta: ci siamo
incendiati a festa
in pieno giorno e sparsi
attorno – una coltre preme
sulle nostre arterie,
una scossa elettrica
si trascina insonne
Ma il sangue è secco!
non cola, non morde:
è secco!
È il secolo del fare,
è il secolo dell’innesto,
della plastica blu
che soppianta il mare.
Ecco, più forte,
scoppiare una luce.
Non più una,
molteplice – dice:
“hai da accendere?”