Rivoluzione strionata a
cospargere i dirigenti di cenere
o a cuocere a fuoco lento auto e vetrine,
devota precisazione: senza gas:
sia senza lamento pure il cilicio,
i ceci, l’unguento del sesso a metà.
La deriva non fu dei continenti e
in quei giorni morimmo d’invidia
dei tempi andati, di quelli part-time
gli spasmi erano qwerty,
razzie dell’intento, di stento,
a capire che zitti si elogia chi grida,
si piange a comando,
si aspetta lo sconto per soffrire di meno,
lenire la pena con carezze a progetto,
denti bianchi e maglieria nera.
Barriere elette a non esser a zona,
placche alla gora, tossiche,
cemento come stipsi di cielo
e anime torpide,
mi obbligano sovente fuori città
e da tutti i muri di pace,
i post sudati di biografie neglette,
gli altruismi da gran galà.
Allora abito buono il mio tempo,
ho in mano una biro che diventa
forcone, un libro una porta.
La diatriba non fu dei contenuti,
semiosi sportive durate fin qua,
di movimenti a caso
fra cinismo e hansei da seduti,
di sparute posture mentali.
Esco a cercarmi nei boschi
dove ho visto un torrente
coi miei stessi pensieri che pratica
l’inquisizione sensata dei sassi,
la sacralità dei monti:
riccioli e occhi sgranati qui
hanno il valore vano d’orgoglio,
l’entusiasmo nano della cultura
dell’estro senza maestro,
agio del bimbo moderno
affetto d’atrofie d’affetto per
arida rabbia repressa,
ignoranza dell’altro,
volontariato modaiolo da schermo;
cercasi dunque specchi diversi,
onesti pure se meno sereni.
Inconcepibile, neppure adottabile:
nell’ordine dell’impotenza corrente,
a una generazione scorsoia,
a minzioni di piccole menti
emancipate dal senno,
il tempo dei tempi
non può che apparire spettacolo,
noie vetuste o vedute d’artista
e se ami e abbocchi:
mentite, spoglie.