#L’origine_del_mondo_4.0

Ce corps imprégné
sali et controversé
sur instagram ou à la télé
sur le bout des lèvres
le voilà en open space
nu et dépravé
sans but
si ce n’est celui que d’être vu.

Tu écris febrile

Hashtag jekiffemylife
Hashtag naturalbeauty
Hashtag nomakeup
Hashtag jemassumeetjetemmerde
Hashtag jetensupplieaimesmoioùjesauteparlafenêtre

Mais laisse-moi te raconter la real story
celle que tu vies à la tombée de ton lit.

Le matin, plongeant dans ton reflet indolent
tu te demandes bien ce qui a pu te passer dessus
Un train
une vague enduite de pétrole
un fatberg empli d’immondices
la litière du chat avec la merde de ton chien
les revues de mode qui te rappellent
-clic clic-
combien tu n’es pas fashion

Tu ramasses à grand coups de pelle le puzzle
décomposé de ton corps alarme
Tu essaies tant bien que mal de placer les morceaux
les uns avec les autres
Mais tu te rends bien vite compte qu’à défaut d’un Rembrandt,
tu es plutôt un Salvador
Ton corps fond au travers du temps dans un décor
surréaliste que ton âme peine à entrapercevoir
Le flot d’information te submerge et ta vision devient binaire

Tu te rappelles

L ’origine du monde, ce sexe poilu dont tu ne taries pas d’éloges
mais que tu rases silencieux une fois le ventre creux
Van Gogh et cet amour disparu
qui a répandu sur ton corps des milliers d’oreilles
ensanglantées

Et puis tu penses à Klimt.
Et tu le supplies de t’envelopper de sa tiédeur,
de ses joues rouges, de ses seins ronds.
De te mélanger aux autres toi que tu ne saurais voir.

Alors tu relèves la tête
Tu la saupoudre d’or et de paillettes.

Tu t’éblouies
Tu souries et tu t’oublies
Tu oublies le temps qui fond, l’origine du monde,
les milliers d’oreilles éparpillées et ensanglantées

Perdu dans cet espace en 2D
Tu te la joues hipster qui renie la 3D
mais qui Photoshop à l’aide de son laptop

Tiraillé entre ton toi que tu vois misérable
et le soi idéalisé des autres
Tu refuses de voir combien t’es beau avec tout tes défauts.
Tu gommes ce que tu crois misère et tu soulignes
ce qui te rend commun.

Mais shuuutttt,
silence,
clic clic,
te voilà prêt pour une nouvelle imposture.

***

Questo corpo impregnato
sporco e controverso
su Instagram o alla TV
non del tutto convinto
voilà, nell’open space
nudo e depravato
senza alcun obiettivo
se non quello di essere visto.

Tu scrivi febbrile

hashtag amolamiavita
hashtag naturalbeauty
hashtag nomakeup
hashtag sonconvintoetismerdo
hashtag tipregoamamiosaltodallafinestra

Ma lascia che ti racconti la storia vera,
quella che vivi quando ti alzi dal letto.
Al mattino, immergendoti nel tuo riflesso indolente
ti chiedi cosa possa averti investito:
un treno
un’onda ricoperta di petrolio
un cumulo d’immondizia
la lettiera del gatto con la merda del tuo cane

le riviste di moda che ti ricordano
clic clic
quanto tu non sia trendy.

Raccogli il puzzle decomposto
del tuo corpo allarmato
provi a mettere insieme i pezzi
ma realizzi ben presto che anziché a un Rembrant,
somigli più a un Salvador.
Si scioglie il tuo corpo attraverso il tempo, in un decoro
surrealista che l’anima fatica a intravedere.
Ti sommerge il flusso d’informazioni e la tua visione si fa binaria.


Tu rammenti

L’origine del mondo, questo sesso villoso che non fai che elogiare
ma che rasi in silenzio quando il ventre è svuotato
Van Gogh e questo amore scomparso
che ti ha sparso sul corpo migliaia di orecchie
sanguinolente.


E poi pensi a Klimt
e lo supplichi di avvolgerti col suo tepore,
con le sue gote rosse, i suoi seni rotondi.
Di mischiarti agli altri te che rifiuti di vedere.
Allora sollevi la testa
la cospargi di oro e di glitter.
Abbagli te stesso
sorridi e dimentichi
dimentichi il tempo che fonde, l’origine del mondo,
le migliaia di orecchie sparse e sanguinolente,
perso in questo spazio in 2D
fai la parte dell’hipster che rifiuta il 3D
e photoshoppi poi usando il tuo laptop.


Diviso tra l’io tuo che pensi miserabile ed il sé idealizzato degli altri
rifiuti di vedere quanto tu sia bello con tutti i tuoi difetti
cancelli ciò che credi misero e sottolinei quello che ti fa comune.

Ma shhhhh,
silenzio,
clic clic,
voilà, sei pronto per una nuova impostura.

Opera di failure_to_not_forget

Traduzione di Chiara De Cillis

La bandiera della fame

 

All’oligarchia degli artisti
preferisco la dittatura del mio Stato
d’animo.

Facile voler andare a morte
se non si ha mai visto il fronte,
un pagliaccio, senza naso rosso,
non diventa un funambolo
se non precipita.

Siete cercatori? E di cosa?
Della parola? Sì,
con i piedi a bagno nei torrenti,
senza il setaccio.

Raccoglierete solo pietruzze
che dipingerete  di giallo.

La scintilla non nasce nei circoletti
appagati, germoglia dalle pisciate
dei barboni fuori le porte.

I borbottii degli stomaci affamati
saranno l’inno della Rivoluzione.

Ubriachiamoci con il vigneto più usurato
che ha resistito a più di una grandinata:
il nevischio ci aiuta a vomitare,
con la rugiada ci laviamo le ascelle.

Che colpa ne ho se sono solo carne, sangue e ossa?
Se la poesia ricuce ferite e se la prosa sputa gli aghi?
Che colpa ho se la voce è megafono dell’anima
e se quell’anima è più silenziosa che mai?

 Illustrazione di Andrea Uncini

Dissolvenze al bianco

Sotto il giallo pulsava il domani,
nella movenza meccanica
di un cuore urbano, e più giù
gli slanci impolverati e l’antica
tensione dei muri – erano voci
di parole scansate dal sole
in certe ore (erano i café rimasti
Art Nouveau, le strisce pedonali,
le chiese e i loro sassi eterni).

*

La bellezza era nei nervi al cielo,
nei rami simili
a un sistema di specchi, nei
tramonti daltonici degli scampoli
della giovinezza e dei suoi veli
spianati – si arrampicavano
nei minuti le ere di ogni umanità,
nei centimetri le traversate
transoceaniche degli avi.

*

Quelle vie estasiate, sgravate,
del primo contatto, del restare
immortalati nei margini dei profili:
quelle vie erano viatici umani,
prove carnali di illusioni celesti.

*

Misurava il passare dei soli,
da quel momento
rimasto in stand-by, l’ammontare
del costo, il prezzo impagabile
del desiderio sedato –
l’aria era ruggine e il vento
soffiava un vuoto pneumatico,
come ai lati delle strade
i rigagnoli ai tombini.

*

Il traffico spariva oltre il pannello
della fermata seicentoventicinque,
mentre l’astro poteva osservarci
nel suo asciutto bagliore di nichel –
e c’era l’allergia a quello sguardo
fisso e la staticità dei ritmi umani
distesi sull’asfalto del pianeta.

La bambina lo sa e altri scritti

_La gatta

aveva picchi docili il mio corpo
e mani senza fine
a lasciare tutto
levigava la voce era
parzialmente morto
il mio corpo
aveva le armi più pure in natura
per tornare invisibile
aveva punti luminosissimi
questo corpo in paralisi
dal fondo ritmava colpi
su creature ardenti:
e tu bambina ripeti che mi ami
che la foglia dentro resta umida
che il serpente resta umido e si insinua
e tu bambina ripeti che mi ami
che l’estate è fragile
che la gatta così agile si apre
partorisce e se ne viene
dentro il letto
e gatta anche tu fingi di dormire
la notte ha un poco finto
la bambola è solo una bambola
la strada luccica verso il bosco
dove i topi corrono
per non farsi catturare

_La bambina

resta qui a sentire
come il tempo strappa
un figlio dal seno prima di morire
siamo creature calde
solo quando ci incontriamo
il resto del tempo un battito
tirato a lucido
la madre per esempio
è una regina con labbra rosse
educata al silenzio
guarda attenta
mentre un padre dottore
pesa sua figlia
come un vitello prematuro
tutto perde peso nel corpo
piccolissimi organi fanno quasi buio
e la bambina lo sa
la sua calma anemica nel sangue
la sua bocca spalancata sempreviva
scritta sui muri
del paese morente
i silenziosi alberghi
astratti nella pioggia
sembrano più solidi
come i suoi amori clandestini
l’incarnato lunare delle ribellioni
non sa vivere diversamente
se non sentendo più dolore alla sera
da mortale rifiorisce
nei suoi effetti speciali
nel momento in cui l’estate frana
ingorda di ciliege
come se l’addio
lucciola sconnessa
fosse un volto in più
(della morte)

_La bambina lo sa

la bambina lo sa
se le tue mani sono a pugno sulla bocca
se sciogli i capelli e niente smette di crescere
lo sa la bambina
ci vuole molto tempo per morire
di fame o per tornare
da queste parti
ha un dente di leone
aperto in gola
e un segreto scarno sul viso
tante volte le capita il diluvio tra le ciglia
e resta indietro
*
io e te bambina potremo indicare
le cose che non finiscono
che non ritornano
sopra tutti i mesi settembre
un buco chiaro di serratura
da qui ti vedo
con le voci più belle
con le natiche alte
con le braccia bucate
con i cristi in blackout
considerando ogni bene agli occhi
se parli piano non c’è vergogna
tu splendi invece
invece tu splendi
ti chiamo sempre amica dolce
l’uragano si appende alle pareti
in questa casa dannata di click
rumoretti scesi
più profondi di me
Fotografia di Lara Cetti

Lezioni di «ballismo»

Rivoluzione strionata a
cospargere i dirigenti di cenere
o a cuocere a fuoco lento auto e vetrine,
devota precisazione: senza gas:
sia senza lamento pure il cilicio,
i ceci, l’unguento del sesso a metà.
La deriva non fu dei continenti e
in quei giorni morimmo d’invidia
dei tempi andati, di quelli part-time
gli spasmi erano
qwerty,
razzie dell’intento, di stento,
a capire che zitti si elogia chi grida,
si piange a comando,
si aspetta lo sconto per soffrire di meno,
lenire la pena con carezze a progetto,
denti bianchi e maglieria nera.
Barriere elette a non esser a zona,
placche alla gora, tossiche,
cemento come stipsi di cielo
e anime torpide,
mi obbligano sovente fuori città
e da tutti i muri di pace,
i post sudati di biografie neglette,
gli altruismi da gran galà.
Allora abito buono il mio tempo,
ho in mano una biro che diventa
forcone, un libro una porta.
La diatriba non fu dei contenuti,
semiosi sportive durate fin qua,
di movimenti a caso
fra cinismo e hansei da seduti,
di sparute posture mentali.
Esco a cercarmi nei boschi
dove ho visto un torrente
coi miei stessi pensieri che pratica
l’inquisizione sensata dei sassi,
la sacralità dei monti:
riccioli e occhi sgranati qui
hanno il valore vano d’orgoglio,
l’entusiasmo nano della cultura
dell’estro senza maestro,
agio del bimbo moderno
affetto d’atrofie d’affetto per
arida rabbia repressa,
ignoranza dell’altro,
volontariato modaiolo da schermo;

cercasi dunque specchi diversi,
onesti pure se meno sereni.

Inconcepibile, neppure adottabile:
nell’ordine dell’impotenza corrente,
a una generazione scorsoia,
a minzioni di piccole menti
emancipate dal senno,
il tempo dei tempi
non può che apparire spettacolo,
noie vetuste o vedute d’artista
e se ami e abbocchi:
mentite, spoglie.

Da testé ed io, 2018
Fotografia dell’autore, Material portraits, 2016