Millennials: Reinventare il futuro

Ci sono ancora storie che vale la pena immaginare?
Per decenni sembrava che film, romanzi e serie tv non riuscissero a parlare d’altro che di un presente grigio o di un futuro doloroso.
La distopia ci ha insegnato, ed effettivamente aveva ragione, che le strutture di potere potevano diventare così permeabili alla comunità da sussumerla completamente e a un certo punto non siamo più riusciti a immaginare altro che rovine davanti a noi.
Per quanto suggestivi, poco a poco ci stiamo rendendo conto però che la distopia e il post-apocalittico sono orizzonti immaginifici comodi: la prima ci insegna ad abituarci a questo presente, dove effettivamente i dispositivi di controllo sono percepiti come inevitabili oltre che totalizzanti, la seconda ad accontentarci.
Accontentarci sì, perché, come dice il Comitato Invisibile nel pamphlet Ai Nostri Amici (ed. Fabrique):

“L’orizzonte della catastrofe è ciò a partire da cui siamo attualmente governati. Ora, se c’è una cosa destinata a restare incompiuta è la profezia apocalittica, sia essa economica, climatica, terrorista o nucleare. La profezia è enunciata al solo fine di evocare i mezzi per scongiurarla, cioè, nella maggior parte delle volte, la necessità del governo.
Lo scopo della profezia non è quello di avere ragione sul futuro, ma di operare sul presente: imporre qui e ora l’attesa, la passività, la sottomissione.”

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Millennials – Il mondo Nuovo (Mondadori)

Insomma, come recita un adagio ormai diffuso, “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”.
A colmare il vuoto creato da questo “realismo capitalista” e a rispondere all’invito di Srnicek e Williams di ribaltare il senso comune neoliberale dominante e rinnovare l’immaginazione collettiva ci pensa La Buoncostume, un collettivo che è stato alle prese con le sceneggiature di alcune fra le serie tv più nazionalpopolari degli ultimi anni, con il romanzo Millennials – Il Mondo Nuovo, uscito poche settimane fa per Mondadori.
La Buoncostume immagina un mondo lasciato a giovani e giovanissimi adolescenti, dopo che il 3 maggio 2019 tutte le persone dai diciassette anni in su cadono vittima di un “blocco” che li rende delle specie di vegetali.
Il romanzo comincia quattro anni dopo questo blocco, invertendo da subito il paradigma creato da William Golding ne Il Signore delle mosche: ragazzini e ragazzine senza più il controllo degli adulti hanno riorganizzato la società facendo a meno di confini, nazioni, mercato e altre strutture oppressive e realizzando un sistema di comunicazione cibernetico, il Syn, che li mette in contatto in ogni angolo del pianeta.
Un mondo pericoloso, con squadre di razziatori badrep (“bad reputation”, perché non accettano le regole del Syn e dei suoi admin) e conflitti fra gli oligarchi di alcune comunità e un misterioso esercito di ragazzi e ragazze vestite di bianco, ma libero: senza mercato, senza Stati e senza polizia, gli autori riescono non solo a realizzare una struttura coerente, ma addirittura desiderabile.
E qui sta la vera peculiarità della letteratura utopica: alzando gli occhi dal libro, ti scopri a desiderare che il futuro sia come viene dipinto, e a vedere il presente nella sua reale e grigia tragedia.
Già nel 1974 la scrittrice libertaria Ursula K. Le Guin aveva narrato di una società senza più padroni nel fondamentale romanzo utopico Dispossesed: an ambiguous utopia, ma i limiti immaginifici sorgevano dalla costruzione del dramma ancora legato agli stilemi della fantascienza classica, e alla contrapposizione fra il pianeta anarchico Anarres e quello capitalista Urras.
In questo romanzo invece, insieme a quei conflitti di cui la specie umana sembra non riuscirsi ad allontanare, la vera battaglia è fra i ragazzi e le ragazze del mondo nuovo e i fantasmi del passato che tenteranno di frapporsi a quel rinnovato senso di solidarietà e affinità che si è realizzato dopo il blocco.
Eppure, tra violenze inenarrabili e carneficine che tracimano nell’horror, mai si ha l’impressione che il mondo nuovo sia peggiore di questo vecchio mondo costruito da noi adulti, e molto spesso le suggestioni date dal romanzo fanno sorgere una domanda: “Perché non cominciare a costruire delle comunità simili?”
La risposta a questa domanda giunge alzando gli occhi dal libro.
La Buoncostume con questo romanzo realizza tre utopie: scrivere un libro in lingua italiana che si accosta, anche se con leggerezza, al New Weird (alcuni echi e ambientazioni alla Vandermeer sono palesi), far pubblicare a Mondadori un romanzo finalmente coraggioso e infine farci riscoprire che è possibile immaginare un futuro che vada al di là delle rovine che noi millenials e i nostri genitori stanno lasciando ai ragazzi e alle ragazze che un domani, si spera, possano reagire a noi, bloccati da vetuste idee di organizzazioni sociali basate sul profitto e finalmente essere libere e liberi dai condizionamenti imposti.

Frame da Peter Brook, Il signore delle Mosche, 1963

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