Tu non sei un cavallo | Due parole su Nitrito di t_w_i_g

“La vita è una serie di porte chiuse, non è vero?”
(BoJack Horseman, episodio 9, prima stagione)

Una sera di qualche anno fa, un noto esponente della scena punk hardcore milanese mi disse, a proposito di un gruppo in cui suonavo: “Non sempre capisco o apprezzo tutto quello che fate, eppure siete fra le poche band che riescono a parlare del presente”.
Lo presi come un complimento, e da allora, quando devo dare un’opinione su un qualsiasi prodotto culturale, una delle domande che mi pongo è: quanto riesce a raccontare il mondo in cui viviamo?
Fra le poche realtà editoriali che rispondono a questo prerequisito c’è Agenzia X, il – a detta loro – “laboratorio editoriale che pubblica libri, organizza corsi di scrittura e iniziative pubbliche di promozione culturale”.
Intendiamoci, molto spesso alcune loro uscite mi sono sembrate incomprensibili, ma nell’asfittico ambiente letterario sono fra i pochissimi che riescono a tenere un piede ben saldo sul presente anche quando guardano al passato; impossibile a tal proposito non citare la loro ultima uscita Schiavi nella città più libera del mondo, la storia dei RAF Punk e della scena anarchopunk bolognese anni ’80 raccontata da Laura Carroli.
Proprio per questo ho subito drizzato le antenne quando mi fu detto che stava per uscire il primo libro di una collana dedicata ad autori e autrici italiane “esordienti” (qualsiasi cosa voglia dire, dato che oggi a meno che non sei Baricco pare che esordiente sei per sempre) chiamata Fulmicotone, il nome “volgare” della trinitrocellulosa, un esplosivo usato per armi da fuoco e per il flash delle prime macchine fotografiche.
La prima uscita è il romanzo d’esordio di t_w_i_g, acronimo di Tobia Wilson Iacconi Gabbriellini, scrittore che si è fatto conoscere con innumerevoli racconti, molti dei quali pubblicati sulla rivista «Il primo amore».
Due parole sul titolo, Nitrito: inizialmente l’avevo interpretato come “nitrito di amile”, il vasodilatatore più conosciuto come popper che viene spesso inalato per divertimento dagli adolescenti (N.B. funziona meglio per fare sesso), forse associandolo al nome della casa editrice (il fulmicotone si ottiene dal nitrato di ammonio, però, non dal nitrito).
Invece, durante la lettura del libro, mi sono accorto che il titolo rimanda al verso del cavallo, ed effettivamente il termine è ben più calzante: c’è qualcosa di cacofonico, di isterico e soprattutto di spazientito in questo suono acuto che emettono gli equini soprattutto in situazioni di profondo stress o eccitazione.
Il romanzo è una lunga lettera di un trentenne in lotta con una vita che lo schiaccia, che passa da dichiarazioni d’amore a momenti di rabbia sorda a sguardi sulle proprie infinite idiosincrasie, ed è effettivamente il nitrito di un cavallo sfiancato: c’è tutta la storia di una generazione, la mia fra parentesi, che deve fare i conti con dei fallimenti quasi esistenziali, che producono un incessante rancore verso il mondo.


Una lettera che contiene in sé una serie di “romanzi condensati”, per dirla alla Ballard, che vanno a formare un mosaico triste ma affatto passivo.


Il libro non fa sconti a niente: l’amore è una casa che non reca conforto, la malattia (o l’idea di tale) un pensiero fisso, la noia uno stato dell’animo perenne, e mentre leggiamo ci rendiamo conto non solo di quanto ci ritroviamo nell’autore di questa lettera, ma anche di quanto noi “millennials” e contigui siamo la generazione più punk di tutte senza neanche essere riusciti a produrre musica più decente dell’orribile indie che abbiamo suonato (non io, a dirla tutta, ma infatti non sono famoso come musicista). Del resto Stewart Home nel suo saggio Marci, sporchi e imbecilli diceva che il punk più genuino è quello che fa del fallimento la sua raison d’etre.
Ma non c’è solo marcescenza e nichilismo, nel libro di t_w_i_g: c’è una passione politica che ribolle nell’abisso e che esce fuori in alcune pagine che, personalmente, ho trovato le più deboli dell’opera (ma del resto non ho mai visto un autore italiano che riuscisse a parlare di politica senza fare retorica), e c’è soprattutto quello che pare salvare noi sommersi, ovvero l’affetto e l’amicizia.
Non è un caso che uno dei pamphlet politici più importanti, nonché pieno di strafalcioni terrificanti, degli anni ‘10 si chiamasse A nos amis, ai nostri amici.

Sembra che in questi tempi quello che tante persone vogliono salvare sono le amicizie, gli amori, gli affetti, ed effettivamente anche dal libro pare trasparire questo.


Del resto una delle evoluzioni del primissimo punk inglese fu dettata dal gruppo Sham 69 che gridava “If the kids are united, they will never be divided”.
Ed è forse non un caso che questo libro esca a poche settimane dall’exploit di Strappare lungo i bordi, la serie Netflix scritta da Zerocalcare, un’altra storia di un trentenne che si sente perso in questo mondo, e dall’uscita di Noi, loro, gli altri, l’ultimo album di Marracash che in tantissime canzoni fa un po’ il punto sui successi e soprattutto sui fallimenti di questi anni.
Forse la generazione dei trenta/quarantenni sta incominciando a sentire la necessità di trovare una voce collettiva che ruggisca (anzi, nitrisca) i propri disagi.
Una cosa è certa, la nuova collana Fulmicotone parte col botto con un libro non perfetto, ma che ha l’immenso pregio di rispondere alla mia domanda affermativamente: parla del presente, per quanto cupo possa essere.

Luca Gringeri

Nitrito di t_w_i_g
agenzia X, 2021
collana fulmicotone
128 pagine, brossura

Essere trentenni in provincia è uno stato mentale

“Have mercy, now, save poor Bob if you please”
(Crossroad – Robert Johnson)

Cosa succede quando un millenial si cimenta nella letteratura di genere?
Cosa succede quando quella fascia di persone che è nata e cresciuta a cavallo fra il secondo e il terzo millennio, in larga parte nell’opulenza della società occidentale, persone che erano adolescenti quando hanno visto il suo crollo, persone la cui caratteristica è la disillusione verso il mondo, l’abitudine alla delusione, scrivono un romanzo?
Perché era inevitabile che chi si era abbeverato alle fonti di ogni nuova tendenza letteraria, dal pulp dei “cannibali” alla “new italian epic” fino al “new weird”, dopo anni di rodaggio fra Vice Italia e il textposting sulle loro pagine facebook, prima o poi si cimentasse anche nelle lettere nel loro significato più classico.

Frame dalla miniserie anni ‘90 di It

Una prova assolutamente riuscita è Crocevia di punti morti di Matteo Grilli, edito da Effequ, che può essere letto sia come romanzo horror che come romanzo generazionale.
Per prima cosa – e qui si scorge quella retromania di cui parlava Simon Reynolds e di cui i millenials sono pregni – esso è in parte una riscrittura di It, il noto libro di Stephen King: una cittadina della provincia profonda (Derry per King, il Pozzo per Grilli), tre ragazzi che ritornano dopo un’infanzia traumatica per combattere una misteriosa e crudele entità (il clown Pennywise per King e K. Per Grilli).
Il nesso con lo scrittore americano è solo un aspetto – seppure affatto secondario – del libro, ma il lato interessante è che viene esplicitato più volte all’interno della trama grazie a uno dei protagonisti, Leonardo, ossessionato da It e con la profonda convinzione che egli viva nel pozzo: quella che poteva essere una palese ispirazione diventa esperimento metaletterario che da una parte crea la struttura della trama e dall’altra ne è allegoria, per un romanzo che – come vedremo – fa del rapporto con il passato un tema centrale.
I tre protagonisti umani del romanzo sono una sorta di simulacro del millennials medio: Celeste è una studentessa universitaria fuoricorso che usa le persone con cui ha legami sentimentali per nutrire un ego fragile; Massimo, scrittore di sceneggiature per serie tv e “uomo vuoto”, è un giovane che non riesce a tirar fuori le emozioni; e infine Leonardo, nerd fissato con Lovecraft e King e schiavo delle sue molteplici ossessioni.
Tutte e tre persone che hanno vissuto l’infanzia nel Pozzo, profondamente segnate da questo aspetto, tutte e tre persone con un presente infelice e privo di vie d’uscita che in questa serie di vite arrivate a un punto morto provano a intraprendere un “ritorno al passato”, di cui il pozzo è il simulacro e la figura di K. il crocevia.

I tre protagonisti del romanzo sono una sorta di simulacro del millennials medio: Celeste è una studentessa universitaria fuoricorso che usa le persone con cui ha legami sentimentali per nutrire un ego fragile; Massimo, scrittore di sceneggiature per serie tv e “uomo vuoto”, è un giovane che non riesce a tirar fuori le emozioni; e infine Leonardo, nerd fissato con Lovecraft e King e schiavo delle sue molteplici ossessioni.

Una premessa doverosa per chi non è avvezzo al mondo di facebook: Matteo Grilli è conosciuto soprattutto per la sua pagina pagliare hhhhpostjing, uno dei migliori esempi di shitposting/textposting in Italia, e non è un caso che il personaggio cardine del suo romanzo si esprima in maniera assolutamente sovrapponibile a questo stile; un flusso di coscienza moderno, dove alla mancanza di punteggiatura si sopperisce con un’esagerazione di interiezioni come “tipo” o “praticamente” o bestemmie, dove il contenuto è sì un discorso semi-coerente, ma destrutturato da una serie di voli pindarici che si avvicinano quasi agli esercizi di scrittura automatica dei surrealisti.

Un flusso di coscienza moderno, dove alla mancanza di punteggiatura si sopperisce con un’esagerazione di interiezioni come “tipo” o “praticamente” o bestemmie, dove il contenuto è sì un discorso semi-coerente, ma destrutturato da una serie di voli pindarici che si avvicinano quasi agli esercizi di scrittura automatica dei surrealisti.


K., colui che vive nel sottosuolo, nato da un drago, omologo del clown Pennywise e nemesi dei protagonisti, nei lunghi capitoli a lui dedicati ci regala dei grandi momenti di shitposting mentre racconta le atrocità sue e degli abitanti del pozzo, un po’ come se shitpostare non fosse altro che il vizio segreto, l’istinto nascosto e i frammenti d’inconscio che dominano presenti/assenti la vita quotidiana.
Anche gli altri protagonisti, pur ricoprendo ruoli abbastanza stereotipici, sono ben caratterizzati e ognuno di loro ha un linguaggio specifico, così come ognuno di loro rappresenta il miserabilia dei trentenni odierni.
E qui sta la differenza fra Grilli e altri scrittori che hanno mescolato l’horror al la narrazione della provincia italiana: rappresentando le vite dei suoi protagonisti, traccia un sottotesto realmente sociale, ricordando più un Vanni Santoni che un Ammaniti o un Eraldo Baldini.
Ovviamente la scrittura risente di alcuni errori tipici dei romanzi d’esordio, come ad esempio qualche calo di tono nella trama e qualche dialogo poco convincente, ma tutto è ben compensato dalla forza della narrazione e dal fatto che un altro autore della generazione a cavallo dei due millenni, che viene dal web, sta imponendo la sua voce.
I millennials saranno pure dei cinici vanesi disillusi pazzinculo scemidimmerda imbecilli cretini [1] e la loro una vita di illusioni continuamente negate, ma stanno trovando una voce.

Questo, se non è molto, non è neppure poco.   


 [1]Questo è un classico meme

Crocevia di punti morti. Quattro anime nel Pozzo
di Matteo Grilli (Effequ)
288 pagine, Collana Rondini

Millennials: Reinventare il futuro

Ci sono ancora storie che vale la pena immaginare?
Per decenni sembrava che film, romanzi e serie tv non riuscissero a parlare d’altro che di un presente grigio o di un futuro doloroso.
La distopia ci ha insegnato, ed effettivamente aveva ragione, che le strutture di potere potevano diventare così permeabili alla comunità da sussumerla completamente e a un certo punto non siamo più riusciti a immaginare altro che rovine davanti a noi.
Per quanto suggestivi, poco a poco ci stiamo rendendo conto però che la distopia e il post-apocalittico sono orizzonti immaginifici comodi: la prima ci insegna ad abituarci a questo presente, dove effettivamente i dispositivi di controllo sono percepiti come inevitabili oltre che totalizzanti, la seconda ad accontentarci.
Accontentarci sì, perché, come dice il Comitato Invisibile nel pamphlet Ai Nostri Amici (ed. Fabrique):

“L’orizzonte della catastrofe è ciò a partire da cui siamo attualmente governati. Ora, se c’è una cosa destinata a restare incompiuta è la profezia apocalittica, sia essa economica, climatica, terrorista o nucleare. La profezia è enunciata al solo fine di evocare i mezzi per scongiurarla, cioè, nella maggior parte delle volte, la necessità del governo.
Lo scopo della profezia non è quello di avere ragione sul futuro, ma di operare sul presente: imporre qui e ora l’attesa, la passività, la sottomissione.”

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Millennials – Il mondo Nuovo (Mondadori)

Insomma, come recita un adagio ormai diffuso, “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”.
A colmare il vuoto creato da questo “realismo capitalista” e a rispondere all’invito di Srnicek e Williams di ribaltare il senso comune neoliberale dominante e rinnovare l’immaginazione collettiva ci pensa La Buoncostume, un collettivo che è stato alle prese con le sceneggiature di alcune fra le serie tv più nazionalpopolari degli ultimi anni, con il romanzo Millennials – Il Mondo Nuovo, uscito poche settimane fa per Mondadori.
La Buoncostume immagina un mondo lasciato a giovani e giovanissimi adolescenti, dopo che il 3 maggio 2019 tutte le persone dai diciassette anni in su cadono vittima di un “blocco” che li rende delle specie di vegetali.
Il romanzo comincia quattro anni dopo questo blocco, invertendo da subito il paradigma creato da William Golding ne Il Signore delle mosche: ragazzini e ragazzine senza più il controllo degli adulti hanno riorganizzato la società facendo a meno di confini, nazioni, mercato e altre strutture oppressive e realizzando un sistema di comunicazione cibernetico, il Syn, che li mette in contatto in ogni angolo del pianeta.
Un mondo pericoloso, con squadre di razziatori badrep (“bad reputation”, perché non accettano le regole del Syn e dei suoi admin) e conflitti fra gli oligarchi di alcune comunità e un misterioso esercito di ragazzi e ragazze vestite di bianco, ma libero: senza mercato, senza Stati e senza polizia, gli autori riescono non solo a realizzare una struttura coerente, ma addirittura desiderabile.
E qui sta la vera peculiarità della letteratura utopica: alzando gli occhi dal libro, ti scopri a desiderare che il futuro sia come viene dipinto, e a vedere il presente nella sua reale e grigia tragedia.
Già nel 1974 la scrittrice libertaria Ursula K. Le Guin aveva narrato di una società senza più padroni nel fondamentale romanzo utopico Dispossesed: an ambiguous utopia, ma i limiti immaginifici sorgevano dalla costruzione del dramma ancora legato agli stilemi della fantascienza classica, e alla contrapposizione fra il pianeta anarchico Anarres e quello capitalista Urras.
In questo romanzo invece, insieme a quei conflitti di cui la specie umana sembra non riuscirsi ad allontanare, la vera battaglia è fra i ragazzi e le ragazze del mondo nuovo e i fantasmi del passato che tenteranno di frapporsi a quel rinnovato senso di solidarietà e affinità che si è realizzato dopo il blocco.
Eppure, tra violenze inenarrabili e carneficine che tracimano nell’horror, mai si ha l’impressione che il mondo nuovo sia peggiore di questo vecchio mondo costruito da noi adulti, e molto spesso le suggestioni date dal romanzo fanno sorgere una domanda: “Perché non cominciare a costruire delle comunità simili?”
La risposta a questa domanda giunge alzando gli occhi dal libro.
La Buoncostume con questo romanzo realizza tre utopie: scrivere un libro in lingua italiana che si accosta, anche se con leggerezza, al New Weird (alcuni echi e ambientazioni alla Vandermeer sono palesi), far pubblicare a Mondadori un romanzo finalmente coraggioso e infine farci riscoprire che è possibile immaginare un futuro che vada al di là delle rovine che noi millenials e i nostri genitori stanno lasciando ai ragazzi e alle ragazze che un domani, si spera, possano reagire a noi, bloccati da vetuste idee di organizzazioni sociali basate sul profitto e finalmente essere libere e liberi dai condizionamenti imposti.

Frame da Peter Brook, Il signore delle Mosche, 1963