“WARNING! AESTETHICS IN CHANGE” avverte una delle opere di Nicolò Gugliuzza, ove la Coca-Cola sovrasta le rovine di un mondo antico, i simboli stessi di quella non-cosa che qualcuno chiama Storia che si scontrano e si divorano l’uno con l’altro. Estetica in cambiamento, estetiche che si sovrappongo per deflagrare in un universo schizo-simbolico puro.
Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di immagini.
Immagini che si fanno simboli, simboli che si fanno linguaggio, linguaggio che si nullifica nel momento in cui si costruisce una babele in cui ognuno parla una molteplicità di lingue per non dire nulla.

L’overdose simbolica distrugge il senso e il significato.
I situazionisti volevano detournare il linguaggio della borghesia, quest’ultima in tutta risposta ha detournato la vita degli individui.
“La bellezza è sulla strada” diceva un noto volantino del 68 parigino, e “Idillio moderno” ne fa il verso, dove dalla bellezza dell’arte si passa a quella dell’iconoclastia del manifestante in rivolta. Nell’era del caos psichico, dove i mercanti hanno messo in vendita uno stock di templi realizzati in serie, Gugliuzza ha forse individuato la cifra stilistica di questo mondo: il tutto che diventa nulla, il contrario della Creazione, un crepuscolo degli dei che muoiono con uno schianto e non con un gemito. In principio era la sovrapproduzione di verbi, poi implosero fra di loro, infine non ci fu più niente.

Inutile, fuori dal tempo e reazionario cercare di tornare a un senso archetipico: Lavoro! Patria! Famiglia! Ideologia! Chi si attacca a queste parole è destinato ad essere schiacciato dal proprio tempo, non ci si può costringere a essere fedeli di religioni che non esistono più o, per meglio dire, ruotano in un caos di significanti in cui Dio flirta con Kim Jong Un sul set di una puntata di Twin Peaks in cui viene suggerito allo spettatore che Laura Palmer sia stata uccisa da Renzi.

Che fare? Arrendersi, sciogliersi in questo magma nullificante aspettando il momento in cui tutto sarà meme, fuggevole frame in cui i sufggerimenti simbolici hanno la sola funzionalità di stimolare le due reazioni che muovono il presente: il ghigno e l’indignazione biliosa?
Oppure sfruttare l’immensa quantità di linguaggi che il presente ci vende al modico prezzo della solitudine perpetua e costante?
Il lavoro di Nicolò Gugliuzza mi sembra percorrere quest’ultima possibilità: al di là dell’iconografia del meme, dell’immaginario vaporwave e della tecnica glitch, le sue opere grafiche cercano di sintetizzare l’overdose simbolica con un approccio “lirico” di cui abbiamo bisogno.
Non il ritorno al senso dunque, bensì la destrutturazione dei falsi sensi cui ci aggrappiamo; nemmeno l’epica del vivere contemporaneo che fa molto postmoderno, ma una sorta di punto finale, di armageddon in cui i simboli stessi si rivoltano ai loro creatori, per una ri-significazione che è ancora là a venire.