Arrivederci qui, non importa dove. Coscritti di buona volontà, avremo la filosofia feroce; ignoranti per la scienza, furbi per le comodità;
crepare per il mondo che avanza. È la vera marcia. Avanti, marsc!
Arthur Rimbaud, Democrazia
Snaturate le flessioni d’animo,
chiamate vita serena un’altra resa,
una pace sociale che non servirà,
sdradicate le strade impervie dell’uomo
non c’è più vita a cui appellarsi ora,
altri versi negli opuscoli delle oscenità,
lottammo per un secolo come tori
quando il massacro sopraggiunse crudele,
per le sue mute gole c’è chi ancora teme,
cosa chiameremo adesso forza,
(pianti nel lazzaretto, lutti scaduti)
la quercia forse, non più la vera potenza;
è stato un errore, vita, non credere
in Tolomeo ma nella scienza nuova,
spostarsi e non al centro rivolgere.
Scaraventate quindi le terre dei tori,
i cimiteri degli elefanti,
le pensioni delle vecchie insegnanti,
apriremo ad un nuovo mondo,
poesie nuove verranno create fra i morti,
occuperemo ancora il ducato di Spoleto,
rivendicheremo la sacra forza romana,
attestata dalle donazioni di Costantino il Cristiano,
noi curati dalle miracolose mani di Re Luigi Taumaturgo
raggiungeremo la Cina per le spezie,
schiavizzeremo ancora i figli degli africani,
tornerà Troia dalle ceneri di Anchise.
I pastori e i mendicanti al fronte,
annienteremo le case oltre il Reno:
saremo germani, ci chiameranno barbari,
cadrà come una frana dirompente
dai gelidi Urali il vulcano Attila
mangiando carne cruda e sputando sull’Europa,
saremo dotti, filosofi e guerrieri,
cercate la ragione fra i saccheggi,
Dio garantisce per noi, saremo martiri
il nostro sangue, la nostra croce,
la fede si serve di un ritorno alla forza,
iliadiche gesta, annientata la pace.
Chiederei dove trovare la ragione dei tempi,
qualora dovessi ammalarmi d’animo,
molle come gli Arabi nelle loro leziose corti purpuree,
la storia dell’uomo è macchiata di sangue:
costruite un altare di parole adesso,
rivendicate il nulla del progresso,
vedrà un’altra alba questo mesto mondo:
camperemo con pellicce d’orso sulle spalle,
mangeremo terra e vedremo l’aurora,
al centro, nuovamente, riconquistate
il sole, i racconti leggendari delle caverne,
innalzate statue e componete sacre novelle,
nel dolore, allora, rapace ferito,
scoprite la realtà trascendente del vero,
chiamate al telefono Averroè e Guinizzelli
e dite loro:
che i popoli si sveglino,
torni il Sacro Romano Impero e i Borboni in Sicilia,
fra grasse risate,
affacciati al balcone di fronte a piazza Venezia,
conquistate la vita nelle piaghe del mondo.