Elena Cappai Bonanni • Particelle
il cane rigato da un’altra
macchina di passaggio:
carcassa –
dovremmo limitare le ore alle prime utili
luci dell’alba;
mobilitare i cassonetti le costanti e i metodi
meno indicati per chiederci
cosa manca.
A caccia di occasioni
le idee migliori e il sovrapprezzo.
Saperti contesa
tra le terre del Messico e occhiali piccoli a goccia
che ti inseguono
per usanza, forza di cose.
«Percosse le guance come a volerci entrare
− a rovesciarle
come finestre.»
Fuori dal vetro schizzati i cieli e porta chiusa
chiacchiera troppo, è andata così,
doppia mandata − evapora.
Era settembre
d’anomalie étoile nouvelle.
Un ritornello inventato
ti solleva il colletto
bottoni saltano dalla camicia
di seta lucida sdrucita.
I barbari stanno arrivando come sempre
dietro l’angolo: hanno riparo
del lungo collo senza manovre speciali.
Luoghi comuni, corali.
«Spinse le nocche fino a decidere
la forma e il suono, e l’eco aperta,
rotta in bocca.»
La stanza ingombra di muri e martelli, ecco
scoprire il varco, le vertebre
in fila − irrequiete.
Mancava da tre giorni eppure era appena uscita
di casa in casa ripassava
i nomi
gli sguardi e improperi.
Ha venduto i pochi averi acrobati
a delle esperte di hôtellerie e benessere.
Improvvisamente
una voglia d’arrendersi
al fatto di essere
appena trascorsa.
Crede d’intendere
un fischio prolungato;
finito il 1° tempo, lascio.
Allenarsi i ciclopi, le cartomanti.
Allacciarsi le cintole
svolgere
un gioco famoso
di bambole.
Crebbe di numero
la bolla di gente
ammassata
assistere
qualche spavento
o un vecchio
continente da rendere,
rimettere, far brillare.
Involucro.
Abito lungo
le scuole, più avanti.
Da brava, da brava a passo d’uomo.
Proteggi signore queste lumache
correvano impazzite.
Sembrava un terreno lunare.
Una statua sfibrata
in cartongesso.
Prendeva pioggia pareva
godere del mio sconcerto.
Così retrò così avantgarde
l’infezione si propagò senza tentacoli.
Sbattendo la testa urlava ti sembra questo
il modo di fare, infrarossi?
Camere oscure occhi pesti.
Saperti coperta
d’unguenti e di voci.
Di lana spessa
− un tot.
Stanchezza.
Ti sembra adesso
più dolce
l’attesa?
Cetty Di Forti • Non ho paura
Promisi, quel giorno a me stessa, che sarei stata diversa dalle donne della mia famiglia, ma lo specchio è il più grande tra i bugiardi.
Sarei andata via da quella terra che aveva reso la mia vita difficile. Tra macchine che saltavano e bombe che esplodevano in pieno pomeriggio. Come una matta ripetevo a me stessa: non calerà mai il sipario.
Sapevo sarei stata diversa da tutte le donne della mia famiglia. Nulla è destinato a durare. In un modo confuso capivo che cosa stesse accadendo. Ripetevo a me stessa: nulla è destinato a durare. Solo la Poesia. E forse manco quella. Pallida come un cencio, oggi, parlo e canto da sola, così come da sola amo. Esclamò al dottore che non ho paura dell’impastato che esce dalla gola, non ho più paura persino dei compleanni.
Bisognerebbe perdonarlo papà, e ricordarsi di quando con forza stringeva le mie mani tra mignolo e palmo. Con forza e con uno strano movimento, cercavo di trattenere una danza, non per esultanza, forse per vantaggio da quel conflitto che era la somma del suo sistema di protezione. Ora, in cima al mio monte, gioco a fare l’eremita, osservo le mie mani, così simili alle sue e vi lascio andare, figli miei. Neppure cento movimenti d’amore ho esitato. Nessuno sa mai quanto piangeremo le vittime. La domanda che mi fate, stropicciando gli occhi, mi lascia impietrita.
Il segreto dei sentimenti non è lo spavento, il tumulto o la fitta al cuore. Dimostrare ciò in cui nessuno vuol più credere: la scoperta.
Chiara De Cillis • Zanzare
Già la zanzara morde fastidiosa la caviglia
e l’afa strozza il verbo, che so mi narri storia,
prima ancora; resta fiume di rabbia nella gola.
Poi tu continui caldo a strapazzarmi,
dicendo come vivermi la gravida ingiustizia
del nostro stare al mondo
e come sopravvivere, aggiustarmi, farmi adulta.
Guarda, lasciami stare, non è cosa,
non è casa questa stanza serrata
di cucina a luce bassa.
Taci, non dir parola: sbrana avanzi
della cena, tu dolce amore mio,
buon appetito; io esco di scena.