Un numero sconosciuto, con ogni probabilità una pubblicità infestante, ma avevo bisogno di parlare con qualcuno da quando Lisa mi aveva lasciato. Risuonò limpida dalla cornetta una marcetta gioiosamente psichedelica che accompagnava i versi dell’Eterno riposo. L’attesa durò meno di quanto mi aspettassi.
“Salve Cappa, siamo Emma e la chiamiamo per conto delle onoranze funebri Solo Andata & Soci. Siamo consci che per lei si tratta di un momento quanto meno doloroso e certamente complesso, tuttavia io e i miei soci lo pensiamo diversamente, se ci consente l’espressione, come qualcosa di speciale, per certi versi irripetibile”.
Mi schiarii la voce, “Lisa mi ha solamente lasciato, ma come al solito si tratta di un’assenza temporanea, non che non ci soffra, ma è prematuro stabilire…”, la voce dall’altro capo sospirava tradendo soddisfazione, “certo… ma certo, così si reagisce, è tutto scritto anche nella FAQ del nostro depliant: al punto 1 si specifica come affrontare il lutto; in realtà però si tratta nell’insieme di una sorta di manifesto corporate spirituale. In buona sostanza, rigettiamo l’idea che il mondo sia riducibile a un insieme di oggetti percepiti come reali, bensì lo immaginiamo come una rete di relazioni interpersonali o se vogliamo, più genericamente parlando, di accadimenti, che danno vita a una spirale virtuosa in grado di rinnovare costantemente l’energia del creato; una sorta di giostra celestiale di anime che vanno e vengono, e si immagini che siamo noi, la Solo Andata & Soci, a gestirle…”
Risi con naturalezza, come non mi capitava più da molto tempo. “Siete dei monopolisti dell’eternità, chissà che tariffe…“ La voce sospirò, “in realtà, pur essendo leader nel mercato dei trapassi, tutto sommato siamo a buon mercato e in questo momento abbiamo delle offerte speciali per lei, Cappa…”
Mi feci serio. “Suona bene, se mi manda un paio di preventivi, magari potrei pure farla finita… Non sono uno che rinuncia a un buon affare per dei dettagli.” S’inserì di nuovo quella musichetta dell’Eterno riposo, quindi la voce riprese da dove aveva terminato: “Non è il momento di essere faceto, non qui, non ora, rimanga lucido e si lasci andare, dagli addobbi floreali alle decorazioni sulla tomba, fino alle preghiere per i defunti. Deve capire che noi scriviamo liriche ad hoc: ci dia solo qualche spunto, ci descriva per sommi capi la sua Lisa… E non sottovaluti il potere lenitivo delle parole, potrà così accompagnarla nel suo viaggio.”
Provai a riagganciare, quando mi ritrovai con la cornetta nuovamente posata sul padiglione auricolare. Quindi partirono di nuovo con la musichetta gioiosamente psichedelica e i versi dell’Eterno riposo: “Salve Cappa, siamo Emma…”
La sveglia segnava che era da poco trascorsa l’una di notte. Per risparmiare sull’affitto avevo dato l’assenso all’inserimento di inserzioni pubblicitarie nel sonno, solo che era diventato complicato riposare. Mi alzai, mentre Lisa era tornata nei miei pensieri, o meglio aveva ripreso ad assediarli senza tregua, quando invece credevo di essere riuscito a buttarla sul non disturbare.
Se ne era andata, ma non era una novità; spesso usciva per andare in discoteca o con amici per poi tornare all’alba o magari al pomeriggio del giorno dopo, come nulla fosse, con un trucco impeccabile e persino risentita del fatto che non l’avessi cercata abbastanza. Lisa prendeva delle pastiglie che le alteravano l’umore, la rendevano instabile, ma si trattava di un espediente medico per non farle perdere del tutto il controllo. Però io non la cercavo proprio, a dire il vero – o forse non quanto avrei dovuto; ma era davvero colpa delle medicine se non rispondeva mai alle mie telefonate o se fuggiva da me quando tentavo di riportarla a casa? Stavolta mi domandavo se fosse il caso di denunciarne la scomparsa; erano trascorsi più di due giorni da quando aveva detto di dover andare a un party con certe amiche.
Tirando su la cornetta, notai una spia accesa che segnalava messaggi non letti in segreteria. Immaginai fosse Lisa, anzi ne ero certo, già sentivo la sua voce che mi chiedeva di andarla a prendere a un posh party protrattosi troppo a lungo. Invece si materializzò nuovamente la marcetta gioiosa e psichedelica, seguita dal “Riposa in pace”, questa volta recitato da una voce cavernicola, ma dannatamente melodiosa. Passai al successivo e a quello dopo ancora e decisi che la cosa più ragionevole da fare sarebbe stata non ascoltare più il messaggio e lanciare con violenza gratuita l’apparecchio SIP sul pavimento. Tornai a letto.
Tutto cominciò con un suono sinistro, come se delle vertebre si staccassero fragorosamente dal corpo. Sulle prime notai che alcune piastrelle si stavano gonfiando come se fosse in corso un terremoto. Protetto dal tepore della luce, osservai il reticolato ribollire, alcune piastrelle iniziarono a rompersi, altre saltarono per aria. Il fenomeno si estendeva a ogni stanza della casa.
Quando suonarono alla porta, faticai a raggiungerla, ferendomi e inciampando nel tragitto.
Dagli spazi rarefatti del pianerottolo apparve la mamma di Lisa. “Non mi fai accomodare?”, mi chiese e io mi scusai della situazione di disagio. Lei non sembrò impressionata, tanto da schivare con una certa grazia indifferente le piastrelle. Una volta accomodatasi sul divano, parve però agitarsi: “Non è tornata vero? E al cellulare risulta sempre raggiungibile…”
Non ricambiai il suo sguardo, risposi con un cenno di assenso e mi strinsi nelle spalle. “Starà sniffando al posh party di quelle sue amiche snobbissime e astiose, mentre alternano tartine al tofu a blocchi di sushi, il tutto annaffiato da cocktail grondanti al retrogusto di betulla, fino a quando l’effetto predatorio della polverina non sale…”
La mamma di Lisa si mosse con la stessa velocità di un ninja strafatto e contemporaneamente, mantenendo quel minimo di educazione dal quale proprio non poteva esimersi sibilò: “Devo andare in bagno.”
Non feci in tempo a fermarla, però le gridai comunque che il bagno era irrimediabilmente compromesso e inaccessibile, quando una piastrella mi colpì in viso, poi un’altra, o con tutta probabilità si trattava sempre della stessa. In ogni caso mi ritrovai a terra, temporaneamente tramortito.
La raggiunsi trascinandomi al suolo. Ero livido in viso, escoriato sui palmi delle mani, in modo profondo, tanto che una scia del mio sangue seguitava la mia ombra lungo geometrie sconnesse. Ritrovai la mamma di Lisa seduta per terra davanti alla porta a vetri del bagno. Non si muoveva. Guardava per terra. Le poggiai le mani sulle spalle: “Vedrà, i posh party non durano più di due giorni, sono le regole antiche dell’intrattenimento e nel caso avrei un paio di indirizzi dove trovare Lisa, mi creda si tratta solo di portare pazienza… prima o poi quei cangianti buffet si esaur…”, si alzò tremolante senza dire nulla, lo sguardo basso che si affossava ben oltre la superficie del suolo.
Quando quella sinfonia cacofonica di mattonelle si acquietò come se si fosse trattato del glitch di un abisso marginale; un accadimento che per sua stessa natura non poteva durare.
Così il pavimento ormai aveva ritrovato il suo ordine originale e allo stesso modo anche le mie ferite si erano rimarginate.
Ci lasciammo alle spalle la porta a vetri, sulla quale si disegnava un’ombra dalle fattezze simili a quelle di una ragazza sospesa nel vuoto, ma con ogni probabilità si trattava di un’illusione ottica, dovuta probabilmente ad una luce difettosa, che non ne voleva sapere di spegnersi e nemmeno di funzionare correttamente, generando feticci, come riflessi di un accappatoio vuoto appeso in un vuoto abusivo.
La mamma di Lisa fece per accomiatarsi, pur sembrandomi ormai lontana, come se fosse smarrita nei recessi di sé, così mi sembrò appropriato darle il numero della Solo Andata & Soci, consigliarle di parlare con Emma, suggerendole di darle del noi e specificandole che “si tratta di pubblicità infestante, ma ne trarrà comunque conforto, hanno una buona colonna sonora e delle preghiere ad hoc.” Fece segno di sì in modo sommesso, per poi rianimarsi in un sussulto di vita, soggiungendo: “In realtà vorrei prendere parte a quel posh party con quelle amiche snobissime.”
Feci un altrettanto sommesso cenno di assenso. “Tofu e cocktail grondanti? Andiamo”.