Il «weirdo» Valerio Mattioli ha dato alle stampe per Minimum Fax il suo Remoria. La città invertita, un libro a metà tra la saggistica e il fantasy che indaga la possibilità di una città «altra» rispetto alla visione gentrificante e normalizzante del centro. Un «elogio» della periferia con una spiccata sensibilità per la marginalità che ha fatto molto parlare di sé, una psicogeografia nella storia non ufficiale della capitale, scritta dal punto di vista di Remo, e dalla città impossibile che sarebbe nata dalle sue ceneri, fra spazi sociali, creature mitiche e cultura rave, ripercorrendo la storia recente delle borgate romane dagli anni ‘ 70 fino ad oggi. Abbiamo intervistato l’autore per Neutopia.

1. Ciao Valerio, ho letto il tuo libro e l’ho trovato interessante e ricco di spunti.Prima di tutto vorrei chiederti: quali erano gli altri titoli possibili?
Il titolo è sempre stato quello, ma in effetti mi sarebbe piaciuto un sottotitolo diverso. Il mio preferito era “Malleus Borgatarum” ma l’editore l’ha ritenuto poco comprensibile, suppongo.
2. Remoria è la “città di sotto”; la “borgatasfera” tutto ciò di cui si nutre mentre, per usare una tua espressione, “non si concede nessuna legittimità al centro”. Questo luogo magico dalla fine degli anni ‘70 viene popolato da freak, zombie, creature mitiche e punk d’ogni sorta. Ce ne vuoi parlare?
Ma è praticamente il contenuto del libro! Non lo descriverei comunque come “luogo magico”, semmai come una specie di città uguale e contraria a quella ufficiale, una specie di negativo occulto di quello che ci restituisce l’apparenza urbana, coi suoi dogmi, le sue leggi e la sua ideologia. Da questo punto di vista ogni città ha la sua Remoria, perché ogni città può essere letta per quello che avrebbe potuto essere e che ancora preme per realizzarsi.
3. Fai un parallelismo tra il Pasolini di Salò, Lautréamont e i Coil: quanto hanno inciso, secondo te, le droghe e il nichilismo sulla generazione del “No Future”?
Credo molto.

4. Citi Caligari, regista che in Non essere cattivo, il suo ultimo film, affida alle droghe un ruolo importante. A me ha sempre colpito il fatto che si aprisse con la stessa battuta cinica e romanesca di Amore Tossico: “Dovemo svoltà e te magni er gelato?”, nello stesso luogo, sulla spiaggia di Ostia. In quel film però l’eroina è un fantasma – o meglio, sembra sia stata sostituita dalle droghe sintetiche. Secondo te com’è cambiato il rapporto della “generazione Y” con la musica e le sostanze rispetto alla “generazione X”?
Dovresti chiederlo a un appartenente alla generazione Y. Diciamo che negli ultimi anni abbiamo assistito a due fenomeni speculari: da una parte, un’enorme diffusione del consumo di psicofarmaci; dall’altra, un sedicente “rinascimento psichedelico” che ricorre a LSD e simili in chiave sostanzialmente medicalizzante e curativa. Sono entrambi fenomeni che in qualche modo interpretano le sostanze secondo una logica funzionale, così da “sistemare le cose” anziché farle esplodere. Che è un po’ un modo per tenere a freno il potenziale liberatorio delle sostanze stesse.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a due fenomeni speculari: da una parte, un’enorme diffusione del consumo di psicofarmaci; dall’altra, un sedicente “rinascimento psichedelico” che ricorre a LSD e simili in chiave sostanzialmente medicalizzante e curativa.
4. Il Grande Raccordo Anulare – o anale, come lo chiamate a Roma – è un cerchio: tutto rimanda alla sodomia, al sesso-non-finalizzato-alla-procreazione. La “città ideale” per te è questo? Un tentativo di rendere “produttiva” la creatività giocosamente distruttrice delle macchine celibi della working class?
Se per “città ideale” intendi la città ufficiale, legittima, insomma il centro (in senso metaforico e non strettamente geografico) direi di sì. Tutto va messo a prodotto, tutto va quantificato, monetizzato, ricondotto a una funzione. La tanto decantata gentrification che dai 2000 in poi ha investito tante periferie urbane va letta anche così.
5. Stefano Tamburini diceva che la violenza in Ranxerox era un effetto comico. Per te la violenza è comica?
No.
6. Sei cresciuto in mezzo ai coatti, ma non ti sono mai piaciuti. In che modo il coatto ha contribuito al cambiamento del paesaggio suburbano?
Molto semplicemente, erano ovunque. Spadroneggiavano con le loro marmitte modificate, la techno a palla e l’occupazione militare di ogni incrocio da Torre Maura a Centocelle, e quindi era impossibile non farci i conti. Erano creature verso le quali non provavo grande simpatia, nel senso che il loro sistema valoriale era in buona misura l’esatto opposto del mio. Ma a loro modo testimoniavano un nuovo stadio del vissuto di periferia: che di colpo si era fatto elettrico, freddo, artificiale – esattamente come in Ranxerox. In questo senso, possiamo dire che Stefano Tamburini è stato davvero non tanto un profeta, quanto il demiurgo di un’intera nuova specie.
Tutto va messo a prodotto, tutto va quantificato, monetizzato, ricondotto a una funzione. La tanto decantata gentrification che dai 2000 in poi ha investito tante periferie urbane va letta anche così.
7. Se potessi tornare indietro, quale sarebbe un altro fumetto che avresti inserito come esempio della creatività di quegli anni?
A quali anni ti riferisci? Il libro prende le mosse dalla fine degli anni Settanta e arriva fino all’oggi, quindi sai, sono quasi quattro decenni… E in quattro decenni le esperienze sono state tante, anche se parliamo di fumetti.
8. Mi riferisco ai primi anni di Frigidaire…
Ho sempre avuto una particolare passione per il Frigidaire dei primissimi anni Ottanta – quello fondato da Tamburini, appunto. L’altro mio fumettista di riferimento su Frigidaire è sempre stato Massimo Mattioli (del quale NON sono parente), romano anche lui e morto da poco, quindi facciamo che cito lui così è anche l’occasione per ricordarlo.

9. Qual è il prossimo futuro a cui tendere? E quanto può influire la letteratura nella costruzione di altri mondi?
Il futuro è la catastrofe, che lo vogliamo o no. E sull’influenza della letteratura non saprei. Io poi non credo nemmeno di fare “letteratura”, qualsiasi cosa significhi.
Il fantasma di Remo è sempre lì, a infestare gli incubi del suo fratello assassino e ingannatore.
10. Alla fine della storia, ha vinto Remo?
Ma proprio no. A dire il vero, mi sembra proprio che Romolo non abbia mai goduto di tanta salute come ai giorni nostri. Però il fantasma di Remo è sempre lì, a infestare gli incubi del suo fratello assassino e ingannatore. Potrei chiudere con un bel “sta a noi risvegliarlo”, ma per il momento mi viene più da suggerire “sta a noi ricordare che questo fantasma esiste, è concreto, è reale”.
Valerio Mattioli è editor per «Nero», è stato tra i fondatori di «Prismo» e ha scritto per diverse testate. Nel 2016 ha pubblicato Superonda. Storia segreta della musica italiana (Baldini & Castoldi). Il suo nuovo libro, Remoria (Minimum Fax) è uscito a Settembre di quest’anno.
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