21 agosto 2018
Un cielo immenso azzurro e bianco. Se percepissi la temperatura attraverso la vista, probabilmente sentirei freddo. Il sole batte forte sulle braccia nude, la fronte e le ascelle sono già umide, non c’è ombra e il cemento emana calore senza pietà.
Cammino verso il molo di Levante e arrivo in uno spiazzo che si affaccia su un’ansa di mare artificiale. La nafta galleggia sull’acqua e le banchine sono puntellate di barche e di navi. L’ingresso al molo è bloccato da una macchina della polizia. Appena mi avvicino, una poliziotta con le labbra rosa shocking e le sopracciglia aggrottate scende.
«Si fermi. Dove sta andando? Non si può passare.»
«Ho visto, volevo avvicinarmi al molo.»
«Perché vuole avvicinarsi? Chi è lei, cosa ci fa qui?»
«So che su quella nave sono imprigionate delle persone da cinque giorni e volevo vedere con i miei occhi com’è la situazione.»
«Come vede qui è tutto tranquillo.»
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate
nei Regni della Fame.
La nave è bianca e dallo spiazzo si vede solo di sbieco. Ha una striscia rossa con dei numeri: CP 941. È la Diciotti. Mentre mi sporgo dalla banchina per provare a vedere meglio, si avvicina un uomo sulla sessantina.
«Jù mu ricordu bbonu comu è stari a mmari. ‘Un vidia l’ura ‘i turnarimminni ‘a casa», mi dice.
La vita al porto continua come se niente fosse, al chiosco c’è il cambio turno e alcuni ragazzini di fronte mettono in mare delle canoe, si allontanano lasciandosi una lieve scia alle spalle. Una donna mangia una granita sventolandosi con un ventaglio e un’enorme nave da crociera si staglia sulla destra. Penso che ogni giorno la storia avviene sotto i nostri occhi senza che ce ne rendiamo conto. Il barista carica la macchina del caffè e ci serve due bicchieri d’acqua. Anche questa è una storia di potere e sopruso, una storia in cui la dignità dell’uomo viene calpestata, ma non è solo questo…
«E chi ci facìa lei a mmari?»
«Ti dissi ca jù, a mmari, ‘un vidia l’ura ‘i tunnari a casa, e puru l’autri, tutti. Quannu era carusu fici ‘u militari supra a navi e mu ricordu bbonu com’era. Pi chistu sugnu ‘cca.»
Porteranno con sé i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Tutti gli accessi al molo sono presidiati dalle forze dell’ordine. Gli unici autorizzati ad avvicinarsi sono i giornalisti, relegati su una banchina rialzata che costeggia il molo di Levante. Ai primi posti di blocco ne seguono altri. Dall’alto la Diciotti si vede bene, a un soffio dalla banchina: sopra, le sagome di donne, uomini e bambini. Alcuni seduti, altri in piedi, tutti sul ponte della nave, sono circa centosettanta.
Alcuni militari totalmente coperti da tute di protezione bianche, con cappuccio e mascherina. Sembrano corpi alieni. È fuorviante, mi dico, pensarli come tali. Meglio ricordare che sotto quelle tute ci sono degli esseri umani e che l’umanità può essere molte cose, anche se alcune ci piacciono meno.
Anche la banchina di attracco è presidiata da vari mezzi delle forze dell’ordine. Nessuno può scendere. Il loro viaggio è durato mesi, a volte anni; è passato per il deserto e per la violenza delle carceri libiche, peraltro finanziate dall’UE[1]; dopo giorni e giorni di navigazione, sono costretti a guardare la terraferma a meno di mezzo metro da loro, ma non possono toccarla, come in una dantesca pena infernale. Un rigurgito di disgusto misto a fastidio mi attraversa dall’ombelico alla gola.
22 agosto 2018
Il cielo è cupo, nuvole grigie cariche di pioggia si inseguono e si ammassano, dopo sfumano e tornano a compattarsi. Inizia a piovere a gocce grandi e il vento rende inutile l’ombrello. Scende una pioggia sottile e continua. Salgo sul molo di fronte alla Diciotti e assottiglio gli occhi per cercare di vedere la gente sul ponte. La nave sembra vuota. Sono già passate 36 ore dal suo arrivo.
Mentre mi aggiro inquieta per il porto, le persone sul ponte cercano di ripararsi dalla pioggia alla buona, nascondendosi nei pochi angoli coperti.
Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi.
Dopo pranzo smette di piovere, le forze dell’ordine che presidiano aumentano di giorno in giorno, lo stesso fanno i solidali che si avvicinano, si riuniscono. Qualcuno parla al megafono, altri lanciano cori. Il presidio cresce, si parla e ci si organizza.
«Facciamoli scendere!» grida qualcuno.
Il sole tramonta, si fa sera e poi notte. Adesso siamo almeno quattrocento. Qualcuno prova a forzare i cordoni della polizia gridando la propria determinazione. Qualcuno ha portato degli arancini come simbolo di accoglienza. Arriva la notizia: fanno sbarcare i minorenni, sono ventisette. Ma il sentimento di impotenza del presidio ha già raggiunto il suo culmine e si è trasformato in volontà di azione. Vogliamo trasformare la realtà, siamo tanti e ci incoraggiamo a vicenda: non ce ne andremo finché non scenderanno tutti.
23 agosto 2018
Già dalla mattina lo spiazzo è pieno di solidali. Sotto il sole cocente il presidio prova nuovamente a forzare il cordone della polizia ed entrare sul molo. Altri attivisti cercano di raggiungere la nave con un gommone, tutti gridiamo “Freedom, Hurrya, Libertà”.
«Guarda questo!», mi dicono allungandomi uno smartphone.
Un sit-in di Forza Nuova “per dire no all’immigrazione”. Questa sera alle 19:00.
Continuano a spuntare bandiere di partiti e sindacati politici che arrivano, seguiti dai giornalisti. Fanno alcune foto con la Diciotti sullo sfondo e se ne tornano a casa, come avvoltoi accorsi da lontano, richiamati dall’odore della morte.
Qualche europarlamentare sale sulla nave, così come il procuratore di Agrigento, che ha fatto partire una denuncia verso ignoti per sequestro di persona.
Chi vive la piazza e la conosce, però, crede poco nelle passerelle e molto nelle proprie braccia, nelle proprie idee e nei propri cuori. E mentre i politici passeggiano, si organizza per determinare un cambiamento invece di subire passivamente la situazione.
Deponendo l’onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l’onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Alì
dagli occhi azzurri
— usciranno da sotto la terra per uccidere —
usciranno dal fondo del mare per aggredire.
Alle 19:00 i fascisti arrivano scortati dalla polizia. Sono meno di venti. Un gruppo di solidali si stacca dal presidio principale e si posiziona in modo da impedire il sit-in di Forza Nuova. Partono gli scontri, la polizia si frappone tra fascisti e solidali. Improvvisamente i solidali cambiano direzione e provano a raggiungere la banchina sopra il molo di ormeggio della Diciotti. Si corre a perdifiato e si riesce a superare il primo blocco, ma le forze dell’ordine arrivano con macchine e camionette e riescono a bloccare il gruppo a metà strada. Nel frattempo, nello spiazzo del presidio principale, altri attivisti bloccano le camionette della celere sedendosi a terra e frapponendo i loro corpi al passaggio delle forze dell’ordine. Altri provano a raggiungere la Diciotti saltando sulle imbarcazioni davanti alla banchina, altri ancora si buttano in mare provando ad arrivare a nuoto. Le azioni si moltiplicano in maniera incontenibile. Qualcuno informa i presenti che sulla nave hanno iniziato lo sciopero della fame.
25 agosto 2018
Le forze dell’ordine sono quintuplicate. C’è di tutto: guardia costiera, polizia, carabinieri, guardia di finanza, Digos. A protezione della Diciotti cinque piccole imbarcazioni che percorrono lo specchio d’acqua del porto in lungo e in largo.
Nello spiazzo gli accenti e le parlate si moltiplicano, il sud Italia si è dato appuntamento qui oggi. L’aria è frizzante. Nella notte è stata montata una barriera di ferro che impedisce l’ingresso al molo e tre camionette della celere stanno lì a presidiarla.
Dalla banchina di fronte, un gruppo di solidali spara dei fuochi d’artificio e intona cori per farsi sentire. Siamo diverse migliaia di persone. Nello spiazzo principale la folla cerca di oltrepassare i blocchi, la polizia carica violentemente e tre ragazzi vengono feriti dalle manganellate.
Un gruppo di attivisti approfitta della confusione e si butta in mare, le imbarcazioni delle forze dell’ordine iniziano a muoversi confusamente cercando di bloccarli mentre loro approfittano delle barche ormeggiate per nascondersi. Nello spiazzo continuano gli scontri. I natanti arrivano fin sotto la Diciotti e gridano senza risparmiarsi, gli altri due tronconi di presidio gli fanno eco dalle banchine.
In alto un’enorme luna rossa, quasi piena, riempie il cielo buio. Qualche migrante si alza in piedi e cerca di avvicinarsi al lato della nave, ma i militari lo bloccano, a bordo inizia a crearsi il caos. Diverse imbarcazioni circondano gli attivisti che resistono due ore prima di ritornare autonomamente a nuoto verso il presidio.
Si parla al megafono e la folla è agitata. Poi la notizia arriva come una bomba: faranno sbarcare i passeggeri della Diciotti stanotte. Una grande gioia si impadronisce della piazza.