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La cornice reggeva per intero il gran mosaico. «Tutto era bello, e nulla stonava.» Nicola non ricordava con certezza dove avesse letto quella frase – forse Conrad, chi può dirlo – ma sapeva a memoria quando tutto era iniziato: avevano chiuso le scuole, le università, i teatri. Prima per un mese, poi due, tre, quattro. In breve, la situazione si era resa permanente e la popolazione ci aveva fatto il callo finendo per abituarcisi, come si finisce ad abituarsi a qualunque cosa.
Nicola teneva tra le dita l’ultima tessera; dopo, il lavoro sarebbe stato ultimato. Il corriere sarebbe passato a prenderlo nel pomeriggio. Non sapeva nemmeno dove sarebbe stato collocato: un gabinetto, forse; o il salotto di qualche eccentrico. Spediva al committente la bozza preparatoria con il disegno, e se fosse stato di suo gusto si sarebbe messo all’opera. I clienti richiedevano delle modifiche di rado. Nessun contatto con i clienti. Era la regola. Ma a questo, Nicola era abituato. Riceveva il bonifico, lavorava per due settimane, consegnava. Mai un commento, un giudizio superfluo, sia pure questo negativo.
A volte, pensava, mi farebbe piacere ricevere una critica. Essere stroncato.
Anche solo per interrompere il suo solitario automatismo. Ordine – bozza – lavoro – bonifico – consegna.
Ma tanto a che serve? È una perdita di tempo, si diceva. Come le persone.
Le persone non sono come le opere d’arte. Le persone non durano, invecchiano. Molto di frequente, si ammalano. E l’idea secondo cui il male si trasmetterebbe più velocemente attraverso la cultura è, ovviamente, idiota. Il male si propaga per via aerea o per contatto. Lo sanno tutti. Può bastare la condivisione di un’esperienza o anche solo un abbraccio, e il gioco è fatto.
Anche sua zia Michela se n’era andata così. Un giorno come tanti – era aprile – era uscita per andare a correre, lontano dai rumori e dallo stress del centro cittadino. Aveva incontrato un’amica nei paraggi, che si trovava in campagna per il suo stesso motivo.
Nessuno ti salva mai dagli amici.
La crisi era sopraggiunta appena prima di rientrare a casa, nel bagno di un bar dove si era fermata a prendere il caffè. Quando è arrivata l’ambulanza, non c’era stato più niente da fare.
A volte, pensava, mi farebbe piacere ricevere una critica. Essere stroncato. Anche solo per interrompere il suo solitario automatismo. Ordine – bozza – lavoro – bonifico – consegna.
Dopo la tragedia, Nicola si era chiuso nel suo studio. Da allora era passato un anno. Niente televisione, niente giornali; non lo facevano dormire la notte. C’era una cava, lì vicino, che poteva scorgere fra i monti che si affacciavano alla sua finestra, dove acquistava le tessere per i mosaici. Gliele consegnavano in piccoli sacchetti monouso. Di tutti i colori. Poi le travasava in grandi anfore di vetro, che disponeva in fila lungo la parete. Nicola era il padrone indiscusso del suo regno: lì nessuno poteva disturbarlo.
Ogni tanto suonavano alla porta, ma Nicola non apriva mai, se non al corriere o al ragazzo che gli portava la spesa a domicilio. Certe imprudenze avrebbero potuto costargli caro e costringerlo a chiamare l’ufficio di igiene per far disinfettare lo studio.
Il male si propaga per via aerea o per contatto. Lo sanno tutti. Può bastare la condivisione di un’esperienza o anche solo un abbraccio, e il gioco è fatto.
La mattina, Nicola controllava la mail. Quattro nuovi ordini non erano pochi da gestire. Ogni tanto avrebbe voluto partire; ma dove? Viaggiare era troppo pericoloso.
Tanto ho tempo, si diceva. Posso usare l’immaginazione, e la sua voglia di fuggire sfumava.
Leggeva montagne di libri, che aveva in arretrato dalla sua vita precedente, quando la frenesia del lavoro e degli incontri gli rendeva impossibile ogni pausa; ora, invece, che tutto era sospeso, poteva dedicarvisi senza remore, in poltrona, bevendo un po’ di whisky ghiacciato. Romanzi d’avventura, soprattutto. E cataloghi, tanti. Mai fantascienza: quella la odiava. E gli sembrava fosse di cattivo auspicio, come il libro di quello scrittore americano di cui non rammentava il nome.
Ogni tanto, alla radio, giungeva qualche notizia di miglioramento, ma lui non ci credeva.
Vogliono fregarmi, pensava Nicola. Farmi secco e buttarmi in un fosso. Ma io non glielo permetterò. Rimarrò qui più a lungo di tutti gli altri, e vivrò della mia arte.
Come in un sarcofago. Per sempre.
Vogliono fregarmi, pensava Nicola. Farmi secco e buttarmi in un fosso. Ma io non glielo permetterò. Rimarrò qui più a lungo di tutti gli altri, e vivrò della mia arte.
A volte, leggeva sui social gli interventi di autorità che invitavano alla sicurezza nazionale e che si dicevano paladini dei soggetti più deboli. Ma Nicola sapeva perfettamente che non era vero, che erano esattamente come lui: a tutti importava solo di loro stessi, e non volevano soccombere. Maledetti. Sempre a mettere in scena il teatro dei buoni sentimenti, quando non capivano che c’era un altro spettacolo, più importante, da mandare avanti. E questo esigeva la massima attenzione.
Il resto era superfluo.
Alla sera, Nicola sfogliava i siti di incontri in VR. Accendeva il visore per la realtà aumentata, lo posizionava di fronte agli occhi e scopava la sua modella orientale. Sceglieva spesso l’Asia, perché gli dava quella sensazione di piacere proibito in grado di eccitarlo. In un deserto surreale, sotto una Luna d’argento, lui e la sua Lolita potevano abbandonarsi alle posizioni più impensabili, che gli sarebbero riuscite decisamente impossibili nella realtà.
Quella sera, come sempre, Nicola era seduto sul divano carponi, mimando un amplesso con il cuscino. Dopo pochi minuti, venne. Chiuse il sito, tolse il visore e appallottolò il tutto in un fazzoletto, che poi gettò via nella pattumiera vicina all’ingresso, piuttosto insoddisfatto.
Nicola rimase per qualche minuto a guardare, catatonico, il mosaico. Niente poteva scalfirlo. Le urla dei bambini in strada erano attutite dai doppi vetri alle finestre. La grande signora ammantata di rosso brandiva una falce lucente. E lui lì, piccolo e inerme, a contare i minuti che lo separavano dall’ultimo lavoro ben svolto. Poi aggiunse l’ultima tessera al quadro. Ora era completo.
Finalmente riuscì a ricordare il nome del libro: Kurt Vonnegut, Mattatoio n. V.
«Tutto era bello, e nulla stonava.»