Per cucinare l’aragosta occorre

Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Mohamud Darwish, poeta palestinese

La mia vita è stata votata alla ricerca della perfezione. La simmetria, il rispetto dei colori complementari, l’esatto equilibrio tra i quadri appesi alla parete. Né troppi, né pochi. Non sono un curatore, né un gallerista. Però, in un certo senso, potrei definirmi un artista, sì; un artista dalla fervida immaginazione, anche.
Sapete, il materiale con il quale lavoro alle mie performance – tra i più pregiati al mondo – non è affatto a buon mercato, e per procurarselo occorrono meticolosità e accuratezza assolute. Voglio dire, può capitare che alla cena organizzata da un famoso catering qualcosa vada storto, che il pesce non sia stato scongelato all’esatta temperatura, magari perché il maître ha pensato bene di farsi la sua fumatina poco prima di iniziare, che sarà mai, “dopotutto è soltanto una canna”, voi penserete, e invece no: chili di aragoste vomitate sul pavimento in cotto del pied-à-terre, indigestione generale, panico, ambulanze, ospedale, denunce come se piovesse. È proprio questo il genere di imprevisti che possono capitare nel mio lavoro, anche se non mi occupo di ristorazione e anche se questo non è un manuale per cucinare le aragoste. Se non si sta attenti, se non si esegue il piano alla lettera, tutto può precipitare a velocità iperbolica verso l’inevitabile fallimento. E il fallimento non è contemplato.

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Dal dripping allo zapping

Di recente, il Gruppo d’azione poetica SALINIKA ha redatto un articolo – Da Dante alla performancenel quale si spiega come la delegazione della parola poetica alla sola pagina scritta equivalga a costringerla ad una marginalità rispetto al ruolo specificatamente orale che le sarebbe proprio. A questo punto non rimane che indagare quali siano – o quali potrebbero essere – le implicazioni generali di una poesia moderna e contemporanea sul versante della scrittura. Del resto furono i futuristi russi, per primi, ad accorgersi delle potenzialità della parola poetica sganciata dalla pagina, traendone un’esplosione sonora e immaginifica allo stesso tempo.
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L’Anoressico

Un’ambizione nasceva sempre in quegli istanti. L’orgasmo squarciava il cosmo, trascinava macigni di frustrazione e rabbia e tensione e vergogna, s’infrangeva sulla scogliera come un’onda anomala, polverizzandola, e urlava, lo implorava di esprimere ciò che il suo cuore traduceva in accelerazioni cardiache e la sua mente in deliri d’onnipotenza.
Quegli istanti durante i quali egli fuggiva dolorosamente da se stesso perché si accorgeva di essere un velleitario, istanti intrisi di vano riscatto e della consapevolezza che non c’era modo più bello per dire una realtà tanto tremenda: velleità, un suono che addolciva la rassegnazione (ecco cosa amava: lasciarsi cullare da scialbe considerazioni sulle parole). Ecco a cosa ambiva: a esprimere il suo abisso e la sua grandezza affinché da una simile espressione scaturisse la gloria.

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