La questione | Antonella D’Amico

Tra gli invitati al congresso sull’arte africana, c’è un santone che si muove lentamente tra sculture di capelli e crini di cavallo. Quell’incedere è in grado di attirare la mia attenzione. Vorrei trascorrere il resto del tempo a scrutarlo ma vengo continuamente interrotto da un bambino che attraversa la sala a bordo di un triciclo, libero di scorrazzare tra i convenuti come se non sentisse rimprovero.
Questo contesto è una finzione in cui è piacevole, persino doveroso, essere belli. Non mi occupo di cultura, faccio tutt’altro, eppure ho l’impressione di conoscere fin troppa gente. Se sono stato invitato, mi dico, qualcuno crederà che io abbia gusto. Per questa ragione, a volte, penso che potrei dedicarmi al commercio di mobili di antiquariato. Purché, si intende, io lo faccia in una città come Parigi. Significherebbe dedicarmi ad un’attività interessante con un elevato, naturale, accettabile margine di fallimento. Ormai da molto tempo, non me ne curo. Non me ne curo a causa della questione.
Lavoro alla “Perrotti&associati”, la catena di montaggio del più rinomato studio di commercialisti della città. Il mio ruolo è quello di compilare moduli che costituiranno parte di altri moduli, che andranno firmati, impilati e destinati ad un fine che mi è assolutamente estraneo. I miei colleghi sono sempre pronti quando si tratta di propinarmi la storia di quanto io sia indispensabile, prima che possa avere un cedimento che si ripercuota sul lavoro. Dalla mia scrivania e da quella stanza, però, io non andrò via. Non andrò via a causa della questione.
Qualche mese fa, invece, Carla mi ha detto che se ne sarebbe andata venerdì. Me lo ha detto guardando a terra, mentre le stavo a fianco con le braccia sui fianchi a reggere la schiena. Ancora mi chiedo se questa scelta fosse ponderata o se, invece, dipendesse dalla questione. Eppure non gliene avevo mai parlato, perché il suo corpo così intatto e risolto non avrebbe potuto comprenderla. Quanto avrei voluto prendere l’argomento, tirarlo fuori da me e appoggiarlo sul tavolo della nostra cucina. Ma la questione non ha spazio e non ha tempo per tener conto dell’esigenza. Carla se ne sarebbe andata venerdì. Era ancora domenica e la serranda si chiudeva appena. L’indomani sarebbe stato lunedì. Straordinario, pensavo, come un giorno possa continuare a seguire l’altro.Continua a leggere…

Flash-foward! | Charlie Nan

Oltre i docks dai muri zozzi di gasolio e il sudore e le bestemmie dei marinai, il mare disperdeva le sue acque. La Queen’s Mary era appollaiata all’orizzonte, una Venere d’acciaio devota a San Giorgio, che puntava verso il cielo tutta la batteria di cannoni e antenne varie, un’imperfezione che interrompeva la linea del tramonto di quel martedì di maggio alle 18.32.
Appresso lo scafo a picco della corazziera, un J/70 Speedster guadagnava alla bolina, lega dopo lega, un nuovo orizzonte; al timone Tom Hoak disse a Jess di slacciare il fiocco anche se Jess lo stava già facendo; Jess studiava medicina al King’s College ma se essere un veggente fosse stato un lavoro avrebbe fatto il veggente; sapeva ancora prima di sapere e udiva ancora prima di udire e se avesse potuto avrebbe agito ancora prima di agire.
Essere un veggente in pieno 2017 è una vera menata: brandelli di immagini del futuro scorrono come la pellicola di un film ma senza opzioni nelle scelte e nelle interpretazioni, senza che le conseguenze abbiano alcuna causa.Continua a leggere…