Si è svolto lo scorso 26 novembre, presso L’Alterego Digital LAB di Siena, il primo esperimento di quello che potrebbe rivoluzionarie per sempre il modo di concepire la poesia contemporanea. Perlomeno, di esperirla. Si tratta di OASI, il “Metaverso” della poesia: l’idea nasce dalla collaborazione tra il collettivo MITILANTI della Spezia, Martina Generali, sviluppatrice digitale e artista visiva, Elisa Fantini e Leopoldo Ferrari, sound designer, entrambi attivi a Bologna. “Si tratta di un primo passo di un percorso più ampio”, come sottolineato da Filippo Lubrano, poeta e autore del libro Antropologia per intelligenze artificiali, nonché promotore del progetto, che vede nelle arti digitali e nella realtà virtuale un nuovo campo di espressione artistica.

Indossando il visore per la VR, infatti, è possibile accedere a una vera e propria realtà parallela, dove la vista, il tatto e l’udito vengono coinvolti in un’esperienza multisensoriale. Che si tratti di una spiaggia al tramonto, come nella poesia di Andrea Fabiani, di un’isola deserta, come nel testo di Alfonso Pierro o di un volto umano, come nel caso di Filippo Lubrano, al centro dell’esperienza c’è sempre la parola poetica, che in questo modo entra totalmente in una nuova epoca: quella del Metaverso, iterazione di Internet come un unico mondo virtuale universale e immersivo. Un sistema talmente innovativo da affascinare persino Mark Zuckerberg.

In Italia furono in origine i futuristi a intuire che la parola, con l’avvento della modernità, avrebbe assunto sembianze nuove. Poi la letteratura di fantascienza, a cominciare da Philip K. Dick negli anni ’80 e per finire con il cyberpunk, immaginò le conseguenze – a volte apocalittiche – che il virtuale avrebbe avuto sull’essere umano, creando un innesto, il postumano appunto, come nuova categoria dell’umano. Da quest’ibridazione nascevano i cibernauti, viaggiatori del cyberspazio pronti a sondare le nuove estensioni della coscienza fornite dalla tecnologia, spesso per fuggire a una realtà sempre più asfissiante, controllata e repressiva[1].

Questo ruolo di avanscoperta, se vogliamo, viene svolto oggi dai poeti. La poesia, anche se ancora ancorata alla sua trasposizione orale, appare oggi come uno dei campi di sperimentazione d’avanguardia per sviluppare le nuove tecnologie. Come scriveva William Burroughs, c’è qualcosa di dannatamente cristiano nel verbo fatto carne. La nuova frontiera sarà disincarnare la parola. Il linguaggio è un “virus”, che oggi ha trovato la sua “oasi” per riprodursi e proliferare.
Immagini per gentile consessione dei mitilanti e alterego digital lab
[1] Non a caso, la nuova raccolta di Francesco Terzago, membro del collettivo spezzino, s’intitola Ciberneti (Pordenone Legge/Samuele Editore, 2022) e rientra a pieno titolo in un’idea di poesia accelerazionista.