Murubutu | Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali

È da poco tempo che è uscito il suo sesto album solista, Storie d’Amore con Pioggia e Altri Racconti di Rovesci e Temporali e, superati mari, venti e notti, la penna di Alessio Mariani aka Murubutu ha deciso di affrontare il leitmotiv della pioggia per legare la sua ultima raccolta di racconti rap, che nonostante il suo preciso stile riesce a toccare alcune specifiche nuove variazioni – alcune già annunciate dallo scorso split-album scritto con Claver Gold. Ne abbiamo parlato con Alessio stesso, in preparazione per il suo prossimo tour. 

Ciao, Alessio! Dunque, l’uscita del tuo ultimo lavoro, Storie d’Amore con Pioggia e Altri Racconti di Rovesci e Temporali, porta ulteriori evoluzioni al tuo percorso di ricerca: entrano in gioco sperimentazioni su metriche che strizzano l’occhio sia al reggae che alla trap e alla drill (quest’ultime già anticipate in INFERNVM, con Claver Gold), prosegue in alcuni brani il tuo ricercare forme più melodiche e musicali, intenzione che ritorna nella scelta, per la prima volta, di proporre un live assieme ad un’intera band e, sorprendentemente, eccettuati i brani con riferimenti storici, nessun personaggio muore a fine pezzo! Scherzi a parte, a fronte di una presenza trentennale nel mondo musicale, è molto bello osservare che c’è ancora volontà di cercare qualcosa di nuovo, nonostante il lavoro sul tuo stile ti abbia già portato ad un linguaggio così specifico e personale, cesellato e riccamente ornato. Come sei arrivato a queste nuove direzioni? Com’è il tuo rapporto col cambiamento, in relazione al tuo linguaggio?

Sì, questo è decisamente il mio album più sudato perché mi sono sforzato di uscire dalla mia comfort zone ed evolvere innanzitutto la mia relazione con la melodia, provando a cantare di più, e in secondo luogo sperimentandomi su sonorità diverse, più attuali, grazie al contributo del talentuoso beatmaker James Logan. Ma soprattutto, con l’aiuto del compositore Gian Flores, ho tentato di costruire delle melodie assieme al produttore, al posto di adattarmi alle basi per come mi venivano proposte. La volontà era per l’appunto quella di mettermi alla prova, cercando nuove formule non solo dal punto di vista musicale ma anche da quello compositivo e quindi provare a uscire dalla narrazione-storytelling stretta per avvicinare di più il flusso di coscienza, la poesia o comunque una forma espressiva che non avesse per forza una trama ma che si muovesse più per immagini.

Una cosa che mi ha sempre colpito è il numero e la capillarità delle tue collaborazioni con altre persone, sia all’interno dei tuoi album che in progetti altrui, passando dall’underground meno conosciuto a grandissimi nomi della scena nazionale, adattando il tuo stile a quello dell’altro artista e tuttavia conservando così bene il tuo gusto personale. In che modo nascono queste collaborazioni, come si sviluppa il dialogo creativo con altri liricisti?

Le mie collaborazioni sono rivolte a persone che stimo, che mi incuriosiscono, artisti con cui penso che possa esserci un dialogo proficuo. Fa parte anche un po’ della mia identità la progressione, il voler provare tante forme espressive e voler visitare i mondi degli altri, è parte della mia concezione di arte come percorso, e quindi sviluppare delle canzoni dove gli ospiti possano sentirsi a proprio agio pur mantenendo la mia identità è un modo per sperimentare e mettermi alla prova, cercando di far scaturire delle forme artistiche anche inaspettate.

La tua scrittura, che è molto immaginifica, crea un legame molto stretto tra ambientazione e personaggio – complici anche i concept dei tuoi album, che sono già loro stessi presupposti a cui fare riferimento e che richiedono contestualizzazione. Questo legame, però, lo vedo accostato molto alla scelta delle strumentali, che facendo anche tesoro della pratica del diggin’ sfornano una serie di rimandi a generi musicali molto particolari per confluire in un beat, che in alcuni casi della tua discografia determinano l’ambientazione almeno al pari del testo: dalla musica classica minimalista a quella orchestrale passando per il blues, fino a sfociare nel metal o nelle mazurke francesi. Lo stesso utilizzo di una sorta di leitmotif, in Storie d’Amore con Pioggia, tra le due parti di Black Rain e Diluvio Universale, crea un’altra lettura dei tre testi. Qual è il modo in cui questi due tipi di ambientazione, quella sonora e quella che sgorga dalla penna, si interlacciano? Quali sono i tuoi metodi di lavoro, in rapporto alle strumentali?

Rispetto alla relazione che c’è tra scrittura e composizione musicale ho già detto sopra che per la prima volta ho lavorato alla stesura della produzione da zero, e quindi c’è stato un approccio diverso rispetto al passato. In questo progetto ci sono produzioni che dialogano molto di più con gli strumenti suonati, questo è un album che porterò in tour con una band e per cui, sì, c’è una relazione diversa, più ricercata, fra la musica e il testo. Il fatto che ci siano tante contaminazioni fa parte, come dicevo prima, della volontà di sperimentare di più e di rendere in modo nuovo dei testi che continuano ad avere una loro complessità. Ecco, diciamo che il mio obiettivo, in questo momento, è di riuscire a rendere con sonorità sempre più melodiche e coinvolgenti testi che non cedano dal punto di vista della complessità concettuale. Come ho detto altre volte, tra il serio ed il faceto, dopo quella politica, didattica e narrativa, ritengo di essere nella mia fase melodica.

Sotterraneamente alla pioggia, tra i brani del tuo ultimo album scorre anche la tematica del tempo e del rapporto che l’umano ha con esso, che si tratti di memorie della vita dei personaggi, viaggi spaziotemporali, epoche storiche poco ricordate, oscuri futuri distopici o eventi fantastici che sottendono un prima/dopo netto, come il diluvio universale. La scrittura stessa è una forma di dialogo col tempo, e così come il tuo insegnare al liceo, in bilico tra il divulgare fatti passati e il comunicare con una generazione nuova, con le sue evoluzioni di linguaggio e di immaginario. Com’è il tuo rapporto col tempo, anche considerato il tuo doppio lavoro e le indubbie questioni logistiche che dovrai affrontare al riguardo?

Sì, effettivamente ho un rapporto col tempo molto particolare, e sicuramente si è riversato in questo disco. Mi intriga tantissimo il fatto che il tempo ci consumi ma nello stesso tempo non esista, le riflessioni di Kant al riguardo, a partire da Sant’Agostino, mi hanno sempre affascinato. Ho una paura incredibile di perdere tempo, forse proprio perchè ho paura che il tempo che abbiamo a disposizione sia sempre troppo poco per fare tutte le cose che la vita ci dà la possibilità di fare. Ho un rapporto col tempo un po’ conflittuale, anche perchè mi porta a confrontarmi con la nostra finitudine e con quella delle persone che ci stanno vicino. Nello stesso tempo sono anche tantissimo affascinato dal tema del viaggio spaziotemporale, che poi ricade sulle cose che ho detto prima, e anzi ne deriva, e così anche dalla letteratura e dal cinema che si fondano su questo tema. Quindi sì, il tempo è una mia grande passione dal punto di vista della riflessione concettuale, ho provato a svilupparne un’espressione di tipo artistico, mi ha fatto paura e quindi ho pensato che la pioggia fosse un buon mediatore ambientale per esprimere il tempo in una forma più lieve, meno approfondita e soprattutto meno angosciante.

A partire dai concerti-performance in teatro assieme a La Kattiveria fino alle date in combo con Roby il Pettirosso alle live visuals, passando per tutti i talk, le interviste e i confronti, il tuo rapporto col palco non si è mai esaurito nella semplice esecuzione dei brani, consentendoti da un lato altre modalità di espressione e dall’altro di poter calcare palchi e toccare contesti che sono preclusi ad altri tuoi colleghi meno istituzionalmente “letterati”, arrivando ad un pubblico che magari non è mai stato toccato dal linguaggi del rap. Come cambia il tuo rapportarti al palco a seconda del contesto? Hai delle storie di esperienze in cui il luogo della performance ha generato risultati inaspettati?

Effettivamente mi capita di performare in contesti che vanno dalla jam hip-hop, quindi un contesto più street, più giovane, fino ai festival culturali dove c’è un pubblico di tutt’altro profilo e che richiede una riflessione e un approccio meno urban, però io sono a mio agio in entrambe le dimensioni e in tutte quelle che ci stanno in mezzo. Questa è una cosa molto stimolante, mi piace cambiare contesto, e anche se il tipo di presentazione che faccio e il tipo di linguaggio che utilizzo sono diversi, fanno tutti parte di me. Reinventarmi ogni volta è una cosa che non temo e che mi tiene decisamente stimolato e vivo. Mi è capitato di vivere delle situazioni particolari in base al contesto, tra queste sicuramente quella che ricordo meglio è stata l’esperienza dell’intervista con Guccini nella quale mi sono ritrovato a confrontarmi con questo grandissimo cantautore in un talk decisamente interessante e quindi a fare un concerto nel quale io cantavo i miei pezzi in questo teatro in cui, nel backstage che riuscivo a vedere mentre cantavo, vedevo Guccini che mi ascoltava. Questa è stata una delle situazioni più memorabili che ho passato. Un altro episodio è legato al Festival Manzoniano che c’è stato quest’estate dove mi sono confrontato con un docente della Cattolica su Dante, anche in questo caso è stato estremamente stimolante unire i due linguaggi e trovare un punto d’incontro tra la cultura accademica ed una più musicale, ma anche la mia personale, più collegata alle scuole superiori, con degli ottimi risultati anche a detta del pubblico, che ha trovato interessante mediare stimoli culturali alti con riferimenti musicali legati alla musica leggera, fondamentalmente.

All’interno dei fatti che racconti, che si tratti di cose avvenute realmente, del tutto fantastiche oppure verosimili, raramente il personaggio Murubutu prende parte personale all’azione e spesso la tua stessa figura, per quanto rimanga ben presente nello stile della narrazione, scompare nel punto di vista del narratore delle storie, talvolta degli stessi protagonisti. Paradossalmente, oltre ovviamente a riconoscerti nella scelta delle storie stesse e dei significati che possono sottendere, la tua presenza si rivela più chiara nei brani senza un racconto preciso dietro, in cui è il tema stesso che rivela, nel tuo descriverlo, lo sguardo con cui lo osservi. In un genere dove il racconto di sè stessi e del proprio personale taglio con cui si descrive ciò che si ha attorno, questa scelta è peculiare. Terminando questa intervista, vorrei chiederti da dove sia arrivata questa decisione, se fosse stata cosciente o se semplicemente sia accaduta e, dopo anni, quali siano le cose a cui ti abbia portato a livello espressivo questa scelta.

Sì, questa cosa che dici è molto interessante, che il mio io emerge di più nella prospettiva con cui approccio testi meno strettamente narrativi. È comunque vera questa volontà di non parlare di me, oltretutto in un genere che va in tutt’altra direzione attraverso l’egotrippin’ e attraverso le narrazioni di vita, che siano credibili o meno. Non è tanto una scelta, credo che la cosa dipenda da due fattori: in primo luogo è la mia curvatura narrativa che mi porta a raccontare storie in terza persona, poi è chiaro che la mia esperienza di vita in qualche modo ritorna, però lo fa in modo molto indiretto, e in secondo luogo penso dipenda anche dal mio carattere, a me non piace tanto parlare di me, oppure mi piace farlo ma in modo più indiretto. Ecco, penso che dipenda soprattutto da questo.

ODE ALLA PIOGGIA (INTRO) 

Ma tu pioggia che cadi e canti, ti alzi nell’aria
Danzi il tuo pentagramma sotto il cielo del secolo
Sento un coro dall’alto e intanto il cuore si incanta
Infiamma il canto dell’acqua sotto un cielo del Tiepolo

Rimbomba-mba-mba nell’etere, l’etere, l’etere la sua sinfonia
La pioggia-gia che scende-nde-nde-nde ha una sua melodia
Quest’onda-nda di gemme-me-me e crea una sua armonia
Ritorna a risplende-nde-nder e poi ti porta via

Tu pioggia che scendi, sciogli un po’ di ricordi
Mentre grondi fra i rombi di tuono giù a terra
E prima stavi fra i nembi, ferma sopra altri mondi
Fra le nubi coi volti di uomo, Mantegna

E quando inizi, fissa e fitta, dritta e obliqua
Picchi i tasti sopra l’erba, lasci l’aria trafitta
Baci l’anima afflitta, in più la permei e la ritmi
Ma quando il rito della terra più eterna che Whitman
Ma il mondo che brilla di mille pupille divise da righe di linee visibili

Ogni goccia che stilla là fra le tue ciglia dipinge le vie delle vite possibili
Questi ricordi caduti fra noi, noi
Insieme alla pioggia di Joy-Joyce

Punteggian con stile il tuo libro di terra che scrive e cancella gli stessi capitoli
E tu pioggia sugli occhi che mi gonfi i ricordi
E il suo era così enorme che colava sui fogli
Sopra il senso dei giorni ed io sospeso fra i mondi

Sai, pioveva così forte, l’acqua entrava nei sogni
Copri d’argento quest’alba sul vicolo
Scuote il silenzio nell’aria, Quasimodo
Forti le gorghe ricolme di foglie, memorie e ricordi in un flusso continuo

Ma sti venti qui ti amano, di-di-dilagano
Nei cieli che richiamano i destrieri di Nabokov
E tu pioggia sorpresa stai nell’aria sospesa
Miri e scruti il riflesso della luce che emerge
Attese dentro a una schiera, mille nubi in attesa
Come il cielo del Correggio mentre assume la Vergine

Rimbomba-mba-mba nell’etere, l’etere, l’etere la sua sinfonia
La pioggia-gia che scende-nde-nde-nde, ha una sua melodia
Quest’onda-nda di gemme-me-me e crea una sua armonia
Ritorna a risplende-nde-nder e poi ti porta via

Mille lampi e bufera, mille dardi in faretra
Vivo sotto a un cielo-mare fra le strade di Fischer
E tu mi guardi sotto sera, tu mi baci, tutto trema
E quando smette il temporale la tua bocca svanisce, sparisce

Ed ogni goccia di pioggia sui vetri
L’ammira mentre appoggia la punta dei piedi

Testo e voce di Murubutu ft. dj caster
Produzione James Logan, Gian Flores, XxX Fila e Red Sinapsy

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