Il traduttore è quella figura che si occupa di tradurre testi da una lingua ad un’altra, assicurandosi che venga mantenuto il corretto significato del testo originario e che siano rispettati tutti gli aspetti linguistici e culturali della lingua d’origine. Generalmente, il traduttore si specializza in un particolare ambito disciplinare o area tematica: è possibile distinguere il traduttore editoriale, che esegue traduzioni in campo letterario (narrativa/saggistica letteraria) e il traduttore tecnico-scientifico, che traduce testi di argomenti tecnico-scientifici (per esempio giuridico, medico, economico). Io mi occupo da anni di quest’area e, come professionista, assicuro al cliente che il significato di testi legali, scientifici e tecnici sia correttamente reso e che la fraseologia e la terminologia di ciò che mi viene sottoposto siano trasmesse nel modo più adeguato.
Il traduttore, sia editoriale che tecnico-scientifico, è una figura che per definizione deve farsi trasparente, come un’eterna comparsa, sempre in secondo piano rispetto all’autore del testo originale. In effetti, negli anni in cui ho esercitato questa professione, quando dico qual è il mio lavoro la reazione è sempre fra l’incuriosito e lo scettico, come se non si trattasse di un vero lavoro, ma di una specie di passatempo per quando uno ha finito di fare le cose che contano davvero. Ma tale cliché può essere infranto facilmente, basti pensare alla quantità di siti web e-commerce esistenti. Per rendere accessibili tali siti ai consumatori di paesi diversi rispetto a quello di origine, non si tratta solo di curare la terminologia e quindi l’accessibilità, ma anche di rendere le espressioni o i modi di dire in modo non letterale: ad esempio, l’espressione italiana “rimanere a bocca aperta”, nella lingua olandese diventa “rimanere con una bocca piena di denti”.
Tutto il materiale promozionale creato non può attrarre i clienti se non è tradotto nel modo adeguato.
Lo stesso discorso va applicato anche ad altri canali online diversi dal sito, come ad esempio i blog aziendali e i canali social, anche in questi casi sono più che mai necessarie delle traduzioni professionali. Pochissimi, forse solo i diretti interessati, ci fanno caso, ma il lavoro del traduttore interviene su e per prodotti, attività, ecc… con cui noi ci interfacciamo quotidianamente e ci permette di decodificare e quindi usufruire.

“Beata te che puoi lavorare quando vuoi!”
Generalmente si pensa al traduttore come a una specie di poeta, che vaga con la mente in cerca del termine perfetto per ottenere la miglior resa del testo. Si pensa che il traduttore abbia di fronte a sé un tempo infinito, in cui poter sfogliare dizionari e meditare sulle diverse possibilità per traghettare fedelmente il senso del testo originale. Niente di più falso. Mediamente un traduttore (tecnico/legale) lavora a una velocità di circa 500 parole all’ora e un traduttore esperto può fare anche il doppio, se il testo è scorrevole. I clienti – per lo più agenzie di traduzione – lo sanno benissimo, e tarano le scadenze in modo da ridurre i tempi di consegna al minimo. In pratica, funziona così: il traduttore riceve un messaggio o una e-mail, personale o collettivo, se è personale, deve rispondere prima possibile (idealmente entro un quarto d’ora), se è collettivo, deve rispondere prima che lo faccia un collega. Nel messaggio sono indicati il numero di parole, l’argomento, la scadenza e la tariffa, altre volte soltanto il numero di parole e la scadenza. Ottiene il lavoro il traduttore che offre la tariffa più bassa. Dal momento in cui il lavoro viene assegnato, parte la corsa contro il tempo. A volte il lavoro va consegnato il giorno stesso, a volte arriva nel pomeriggio e scade il mattino dopo, spesso arriva il venerdì verso fine giornata per essere consegnato il lunedì mattina successivo, e così via. Dato però che un traduttore professionista ha vari clienti, le cose si complicano quando le scadenze iniziano a sovrapporsi. Personalmente, tengo da sempre sul tavolo un quaderno a righe, e su ogni riga segno il nome del cliente, il riferimento del lavoro e la scadenza. Mano a mano che consegno, cancello la riga. Alla fine di ogni mese sul mio quaderno ci sono circa 4 pagine di righe cancellate, ciascuna corrispondente a una diversa traduzione, di un diverso argomento, con una diversa terminologia e diverse richieste specifiche del cliente. E anche da diverse lingue, visto che spesso un traduttore traduce da più lingue. In altre parole, il traduttore tecnico deve essere velocissimo, non deve perdere troppo tempo a cercare i termini deve usare una sintassi il più possibile standardizzata e soprattutto non può permettersi di divagare.
La cosa più penalizzante è consegnare in ritardo. Sui possibili errori si discute, ma con una scadenza mancata si rischia di perdere irreparabilmente il cliente!

“Ma non ci sono i traduttori automatici?”
Fortunatamente, per noi traduttori, i programmi di traduzione automatica non sono ancora così efficaci. Vanno benissimo per le frasi standard, per chiedere informazioni quando si visita una città o per ordinare al ristorante, ma quando si tratta di tradurre un testo legale, la traduzione che ne risulta è confusa, lacunosa o addirittura errata. Capita a volte che un cliente astuto passi un testo in un programma di traduzione automatica e poi chieda la revisione, pensando così di risparmiare. È quasi impossibile che il professionista non se ne accorga dopo circa 2 righe e, potendo, rimanda indietro il lavoro. La revisione di un testo tradotto con un traduttore automatico, infatti, è un lavoro che nessun traduttore vorrebbe fare: la sintassi ricalca quella dell’originale e le frasi sono da rivoltare, i termini sono spesso fuori contesto e difficilmente il soggetto concorda con il predicato. Risultato: si perde più tempo a correggere che a rifare la traduzione da capo, e per giunta a una tariffa da revisione, che è circa un terzo di quella della traduzione. Diverso è il caso dei CAT.

“Cosa sono i CAT?”
CAT sta per Computer Assisted Translation. Si tratta di programmi che segmentano il testo della lingua di partenza e creano una specie di tabella con le frasi della lingua originale a sinistra e lo spazio per inserire la traduzione a destra (ce ne sono diversi, ma i più diffusi sono Studio, memoQ e DéjàVu). Mano a mano che il traduttore inserisce la traduzione e passa al segmento successivo, il programma crea una memoria (la TM, translation memory) che mette in corrispondenza le frasi sorgente con le frasi di arrivo. In questo modo, mentre si procede nella traduzione, quando si trova una frase simile a un segmento già tradotto, al traduttore viene proposta la traduzione precedente e il programma evidenzia le differenze. Inoltre, con la funzione concordance il traduttore può cercare i termini tradotti in precedenza. In questo modo, la traduzione risulta coerente dal punto di vista sintattico e terminologico. Tutto fantastico, apparentemente, ma c’è il rovescio della medaglia: il programma ‘sa’ quante sono le ripetizioni, e anche le quasi ripetizioni (tecnicamente i fuzzy matches), e la tariffa riconosciuta al traduttore viene decurtata in misura corrispondente. Un’altra soluzione è la machine translation, vale a dire un testo passato nella memoria e che il traduttore deve rileggere cercando le mille piccole imperfezioni. Un lavoro noiosissimo, specialmente per noi traduttori della vecchia guardia che abbiamo iniziato a lavorare con il testo di partenza su carta, quando la traduzione era una nuova avventura da intraprendere ogni volta a partire da zero. Ma questa è un’altra storia.

“Basta conoscere bene la lingua d’origine.”
Certamente conoscere la lingua di partenza aiuta. Ma ci sono altri requisiti che non sono così scontati.
Il primo, che sembra ovvio ma non lo è poi tanto, è che occorre un’ottima padronanza della lingua di arrivo. Questo significa che non soltanto si traduce solo verso la lingua madre (e non, come molti pensano, in un crocevia di tutte le lingue che si conoscono più o meno bene), ma significa anche che chi legge non deve avere l’impressione che si tratti di un testo tradotto. In più, spesso nelle istruzioni c’è scritto che la traduzione deve essere scorrevole, accattivante e soprattutto non letterale. E allora via alla creatività, senza però mai rischiare di scrivere qualcosa che non c’era nell’originale. E naturalmente senza perdere tempo a pensarci troppo su, perché la scadenza è sempre in agguato.
Il secondo requisito è l’esperienza specifica in uno o più settori. In altre parole, quando si presenta un CV le lingue sono soltanto il punto di partenza. Quello che fa la differenza è poter dire di conoscere, ad esempio, il settore automobilistico, o dei trasporti, o delle costruzioni, o medico, finanziario, bancario. I settori naturalmente sono infiniti e, a meno di avere una laurea in ogni settore, il traduttore deve farsi le ossa prima di potersi dichiarare ‘esperto’ in una data materia. Più settori di esperienza si possono dichiarare, maggiori sono le probabilità di aggiudicarsi incarichi.
Il terzo requisito, che non è indispensabile ma di sicuro aiuta, è poter offrire più combinazioni linguistiche, ovvero sapere tradurre da più lingue. Meglio ancora se fra le lingue ce n’è qualcuna ‘rara’ (come il cinese, per esempio), perché questo aumenta le probabilità di essere contattati da un’agenzia disperata perché a ferragosto non trova nessuno che traduca ad esempio un bilancio dal polacco. E poi, ovviamente, bisogna essere sempre reperibili. Scordiamoci pure le ferie, le vacanze natalizie o il weekend lungo senza cellulare, per evitare che il cliente faticosamente acquisito si trovi un altro traduttore mentre noi abbiamo staccato il telefono. Occorre, inoltre, qualche capacità relazionale di base, perché si sa che il cliente ha sempre ragione e bisogna saperci relazionare, anche quando è uno svedese che ha imparato l’italiano in vacanza e cerca di convincerci che in italiano si dice ‘prenome e cognome’.

“Fai traduzioni orali o scritte?”
Mi hanno fatto spesso questa domanda, ma eliminiamo subito ogni dubbio: le traduzioni per definizione sono scritte. Le traduzioni orali si definiscono “servizi di interpretariato”. Ora, esiste anche il caso in cui un traduttore lavori anche come interprete, personalmente l’ho fatto per diversi anni. Anche qui regna una certa confusione: ai clienti piace chiedere un servizio di simultanea, ma spesso non sanno bene che cosa significhi. I servizi di interpretariato hanno vari livelli, con retribuzioni diverse e anche regole specifiche sul numero di ore e le condizioni di lavoro, a seconda della difficoltà.
Il livello base è la trattativa: ci sono due o più persone sedute intorno a un tavolo (o in piedi intorno a una macchina se siamo in un’officina, ad esempio) e quando uno degli interlocutori smette di parlare, l’interprete traduce. Ovviamente in questo caso bisogna andare in due direzioni (ad esempio inglese-italiano e italiano-inglese), ma si lavora con una certa calma perché quando parla l’interprete in teoria gli altri tacciono.
Poi c’è lo chuchotage, che consiste nel bisbigliare all’orecchio di una o poche persone quello che viene detto, ad esempio, durante una conferenza. Questo accade quando occorre tradurre soltanto per pochi partecipanti e non per tutta la sala. È un po’ più complesso della trattativa, perché il relatore non si commette pause, ma c’è il vantaggio che si va in una sola direzione e si è a contatto diretto con chi ascolta. Ad esempio, possiamo vedere dallo sguardo vuoto del nostro ascoltatore se non ci sta più seguendo e decidere di rallentare un po’ sacrificando qualche dettaglio della conferenza.
C’è poi la consecutiva; in questo caso, un relatore (o un docente) parla davanti a un pubblico, sperabilmente facendo frasi brevi, poi si ferma e aspetta che l’interprete traduca ciò che è stato detto, e riprende quando l’interprete ha finito. La consecutiva diventa tanto più complessa, quanto più il relatore tiene lungo il discorso prima di fare la pausa successiva. Alle scuole di interpretariato di un tempo si insegnava una specie di stenografia che permetteva all’interprete di prendere appunti in tempo reale quando il relatore teneva sermoni di qualche minuto prima di zittirsi.
E infine, la tanto abusata simultanea. La simultanea, quella vera, si fa in cabina, con le cuffie e un microfono, perché mentre il relatore parla, l’interprete ascolta la sua voce in cuffia e parla nel microfono, che è collegato alle cuffie del pubblico. Ovviamente il relatore non si ferma mai, anzi a volte i relatori sono più di uno e in certi momenti parlano contemporaneamente. Una vera sudata, anche in senso letterale, perché nella cabina si muore di caldo. Sono essenziali la bottiglietta d’acqua, il portatile per cercare velocissimamente i termini tecnici, carta e penna per quando il relatore spara cifre e nomi uno dietro l’altro e soprattutto un collega in cabina, perché si resiste circa 20 minuti per volta e bisogna darsi i turni con altri traduttori.

“Non solo romanzi.”
Chi non vorrebbe essere il traduttore di un romanzo di successo, oppure di una nuova edizione di un classico, o di una raccolta di poesie? Tutto questo, però, è riservato al traduttore letterario, che fa parte di un mondo totalmente diverso. Potremmo dire che il traduttore tecnico sta al traduttore letterario come un buon artigiano sta a un artista. Personalmente, a me non dispiace essere una buona artigiana: occorrono forse meno colpi di genio, ma d’altra parte c’è più continuità. E poi le traduzioni tecniche sono tutt’altro che noiose, sia per la varietà degli argomenti, sia per il fatto stesso di dover trovare, riga dopo riga, una soluzione veloce, elegante, fedele all’originale e con il registro giusto per quel contesto. Tradurre mi ha sempre dato una grande soddisfazione, persino quando si tratta di comandi software per macchine fresatrici. E ogni tanto capita qualche leccornia, come l’audioguida di un museo, o un libro per bambini, o il copione di una serie televisiva.
“Si vive di traduzioni?”
Chi ha sempre pensato che per fare il traduttore occorra essere ricchi di famiglia, può essere rassicurato: esistono traduttori che vivono del loro lavoro, che ci mantengono una famiglia e riescono anche a mandarla in vacanza. Anche loro ci vanno, ma sempre con il PC al seguito, perché per vivere di traduzioni bisogna lavorare molto e in modo costante. Le tariffe sono molto variabili a seconda della combinazione linguistica, del tipo di traduzione e anche dei clienti. Alcuni apprezzano la qualità e sono disposti a riconoscere tariffe più alte, mentre altri vanno sulla quantità e pagano un tanto al chilo. L’obiettivo è crearsi un buon portafoglio di clienti, ma richiede tempo e all’inizio può essere conveniente diversificare.
“Consiglieresti ad altri di intraprendere questo mestiere?”
Questa è la domanda più difficile e, ovviamente, la risposta è soggettiva. Una volta descritti gli strumenti del mestiere, rimane una condizione indispensabile: è il piacere di trovare a ogni frase la soluzione più efficace e diretta per i nostri destinatari.