CANCELLATURE

I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo, scriveva Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus Logicus Filosoficus. Ed è così che ci rendiamo conto di quanto oggi sia fondamentale saper dosare le parole, riuscire a comprendere i mutamenti in corso nella realtà e portarci al di là delle mere questioni letterarie, per imparare a mettere al mondo il mondo

Spesso il linguaggio rende estraneo il quotidiano vivere: lo distorce e lo annulla. Allora, per non farci a nostra volta deformare da un linguaggio che non ci appartiene, possiamo disimparare un pensiero coloniale, razzista, violento, antisociale? Quella che i giornali reazionari chiamano erroneamente «cancel culture» potrebbe essere intesa e agita – in questo senso – non solo come qualcosa che non ha nulla a che vedere con la censura, ma come una protesta grandemente auspicabile. Ciò che l’egemonia culturale occidentale non sembra voler accettare è che un nuovo mondo sta venendo allo scoperto, un Mediterraneo che non vuole più essere rappresentato ma che reclama il diritto di auto-rappresentarsi: cambiando le narrazioni, cambia anche il modo di concepire il terreno di questo scontro, prima di tutto culturale e – in secondo luogo – corpo vivo di una rivoluzione di là da venire.

bassaagamennone
Opera di Emilio Isgrò

«Immaginiamo per un momento cosa sarebbe la letteratura, se scomparissero gli antagonisti, i malvagi, gli abietti, i vigliacchi», dicono le narrazioni privilegiate. «Forse, senza questo antagonismo, la letteratura come la conosciamo smetterebbe di esistere.» Questa storia, che è la storia del conflitto infinito tra la parte progressista e quella conservatrice della società, sta prendendo le forme di un romanzo di Dostoevskij, dove lo Stato è il padre e noi artistə i/le suə figliə illeggittimə. Questo ritorno preponderante del padre, sempre più attento, sempre più presente – con un linguaggio più che mai intollerante, autoritario, maschilista – sta preparando il terreno per uno scontro sociale che non sembra conoscere soluzione.

CTRL + ALT + CANC, verrebbe da pensare, se l’impasse del mondo potesse essere risolta da una tastiera sul computer. Ma il mondo è più complesso di quanto il nostro dizionario – da solo – sia in grado di spiegare e proprio per questo occorrono nuove parole, una poesia non territoriale, una poesia senza cittadinanza, orgogliosamente incivile.

Le nostre cancellature, allora, saranno un omaggio all’importanza della negazione nella storia dell’arte, dalle avanguardie storiche fino al decolonialismo. È utile notare a questo proposito l’assenza di coerenza nell’indignazione di una certa parte della società, a seconda che ci si trovi in Europa o negli USA. Quando Moussa Balde si è tolto la vita in un CPR di corso Brunelleschi o quando Adil Belakhdim è stato ucciso, mentre difendeva i diritti dei lavoratori della logistica a Novara, non abbiamo letto gli stessi toni altisonanti di quando George Floyd è stato soffocato dal ginocchio di Derek Chauvin. Eppure, questi episodi sono tutti riconducibili a persone razzializzate e quando i movimenti scatenati da queste tragedie provano a rivendicare uno spazio d’azione nel tessuto urbano, le colonne della destra insorgono contro la fantomatica «dittatura» del politicamente corretto. 

Solo chi è capace di svalutare i valori presenti può fondare dei valori nuovi, scriveva Asper Jorn negli anni ’50, in quella branca di arte radicale che si riconosceva sotto il nome di situazionismo e che si poneva come obiettivo di cambiare il mondo. Al contrario, l’Europa di oggi non sembra voler fare i conti con il suo passato ingombrante. 

Allora è la cultura a dover fare una scelta: essere  veicolo delle  voci che vogliono problematizzare e superare il problema o essere parte del problema. Decolonizzare l’immaginario, costruire insieme altri mondi possibili e creare un’alternativa alla cultura dominante occidentale è solo una parte del percorso.

COPERTINA DI EMILIO ISGRò

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