#How to make yourself appealing to employers | Alice Castegnaro

A colazione aveva consumato pane, marmellata, caffè, acqua, pillola del giorno dopo, aria, sigarette, energia, argomenti di conversazione, idee, autostima, voglia di vivere, voglia di piangere, voglia di uscire, ispirazione, cinismo, ottimismo, risolutezza, intraprendenza, grande voglia di lavorare, voglia di farsi il culo, ottimo standing, inclinazione al problem solving, skills, disponibilità a lavorare su turni, patente B.

Il sole le cuoceva la coscia nuda a ciondoloni sullo sgabello, la pelle, simile a squame, bramava idratazione, bramava nutrizione anti-aging e, perché no, anche un effetto tonico, rigenerato e luminoso. Erano tre giorni che non si lavava i denti e non si struccava, le ciglia cristallizzate in briciole nere e i pori sul naso dilatati come universi. La sveglia suonava, lei la rimandava, anche se era già sveglia. La giornata iniziava quando lo decideva lei. Colloquio di lavoro alle 10, piazza Gae Aulenti, mezz’ora in bici prendendo solo rossi o andando sul marciapiedi. Standing curato. Laura si mosse verso l’armadio aperto, prese una maglietta rossa con un buco sotto l’ascella, la provò, la stirò con la mano, provò a fermare il buco con una spilla, la tolse, la girò al contrario, allargò il buco, provò a infilare la testa in una manica ma non funzionò, cambiò idea. Ne prese un’altra, questa volta cropped; le copriva solo metà seno, e quando alzò il braccio le si scoprirono i capezzoli. Provò a tirarla più su, fin sotto il mento, poi la arrotolò sul viso, intorno agli occhi, legò le maniche in cima alla testa, a raccogliere i capelli sporchi di sperma della sera prima.

Con i pantaloni invece era facile, Laura aveva imparato che aveva un corpo a pera, quindi più snello sulla parte superiore del corpo e allargato dalla vita in giù. Laura aveva imparato che i mom jeans le facevano un bel culo, a differenza dei boyfriend che la fanno sembrare un merlo, ma con le cosce grosse. I pantaloni le arrivavano solo fino a metà polpaccio e fuori faceva freddo, un freddo cane, quindi Laura decise di indossare un paio di calze lunghe, spesse, che coprissero il pezzo di carne nuda. Il freddo ormai però ce l’aveva già nelle ossa, le calze non bastavano. Ne prese altre due paia, uno di nylon, tipo collant della Golden Lady, confezione di cartone bianco con gamba spilungona di qualche modella a formare una forbice vezzosa. L’altro, invece, di quelle belle pesanti, caldissime, che ti fanno sudare i piedi solo a guardarle. Poi però le scarpe non le entravano più e Laura dovette prendere una decisione.

Decise di rinunciare all’ottimo standing e puntare tutto sulla good knowledge of the office package, così da comunque hopefully garantirsi una great opportunity to join a young and multicultural team che sputaci sopra.

Laura trovò un vecchio paio di scarpe di pelle di suo zio, da cui aveva ereditato la casa e si mise quelle, le uniche in cui poter fittare lo strato di dieci centimetri di calze che indossava. Sistemato l’outfit, poteva ora prendersi cura delle risposte da dare durante il colloquio.

Pochi giorni prima aveva preso un caffè con il suo amico O., che in quell’occasione voleva presentarle il suo nuovo ragazzo D., un personal trainer che avrebbe presto aperto un centro sportivo tutto suo, pareti color avocado, workshop di Keto e barrette di datteri e morte in regalo all’ingresso. D. aveva un ottimo standing. Laura si era mostrata preoccupata per il suo futuro lavorativo e per le sue skills, lo standing poi apriti cielo. D., che ne aveva appunto da vendere, le aveva consigliato di presentarsi ai colloqui conoscitivi molto informata sulla philosophy dell’azienda, con tante domande, contatto visivo, accetta acqua o caffè che se non accetti stai già creando un muro intorno a te e invece fatti vedere APERTA, SOLARE, ESPANSIVA, BRILLANTE, SICURA DI TE, OTTIMO STANDING! E soprattutto rispondere a bruciapelo alle domande, ah e i tre punti deboli, che come i dissennatori di Harry Potter ti chiederanno, perché sei un investment e nulla di te deve rimanere celato, quelli devi riuscire a farli suonare come pregi, questo naturalmente grazie alle tue spiccate doti di problem solving. Così Laura, forte della saggezza di D., mentre si passava il filo interdentale, ripetè le risposte che avrebbe dato al colloquio.

– Dimmi tre cose di te che reputi dei punti deboli, o comunque lati del tuo carattere che potrebbero essere un ostacolo nel raggiungimento dei goals aziendali.

Tendo alla pigrizia, una pigrizia pastosa, letargica, a volte totalizzante. Come catrame, come sabbie mobili.

Spesso sono così pigra, così profondamente stanca, che non so più dire se sono viva o morta, se sono carne o cenere o liquame, se è giorno o notte, se sogno o son desta.
Quando è così ogni semplice gesto costituisce una difficoltà incommensurabile per me, dal versarmi un bicchiere d’acqua fino ai limiti dello scendere a buttare la spazzatura. Ma è quando arrivo al fondo di questo baratro, quando ormai sono ai limiti dell’animalità, che, grazie ad una spiccata tendenza al problem solving maturata in anni di pigrizia disumanizzante, decido di riprendere in mano le redini del gioco e di dare un’altra occasione a questa vita marcia. Quello è generalmente il momento in cui mando un curriculum. La seconda delle mie debolezze che potrebbero risultare impedienti in un contesto di team-working e soprattutto di costumer satisfaction, best practice e in ultima analisi probabilmente anche non in linea con qualsivoglia standard aziendale – strettamente legata alla prima citata – è la paura di ricevere un compito da portare a termine. In seguito, sfumatisi i confini tra quest’ultima e la pigrizia, ha preso più la forma di una paura di essere impegnata in attività da cui fosse difficile districarsi in tempi brevi. Quindi paura di dover essere attiva per molto tempo e paura che da questa mia prolungata attività dipendesse un successo aziendale, o anche solo il funzionamento basico, quotidiano dell’azienda.  Questo mi ha portata a tendere alla fuga, a cercare luoghi di ritiro, nascondigli, a mentire, delegare ordini ad altri o a fingere di avere già qualcosa da fare, raramente vero. In ultimo, ma non per questo meno pernicioso, mi sento in dovere di menzionare, per onestà nei confronti dell’azienda reclutante, i miei continui sbalzi d’umore. Questo tarlo mi tormenta da quando ero bambina e ha preso forme mostruose dapprima con l’arrivo dell’adolescenza e in seguito, più subdolamente e con note maniaco-depressive, in età adulta. Gli sbalzi d’umore, moodiness, possono verificarsi nella candidata, me, a ritmi alterni. Spesso, a causa dell’ambito lavorativo per sua natura opprimente e annullante, mi trovo a cambiare umore decine di volte nell’arco di un giorno, i picchi più amari spesso nel tardo pomeriggio.

Ho potuto notare – grazie alle mie numerose esperienze che trovate elencate nel mio curriculum – che questa tendenza al malumore è proprio il trigger di tutti gli altri lati negativi del mio carattere, quindi anche della pigrizia e della poca voglia di fare.

Quando sono triste o arrabbiata l’unica activity che mi va di intraprendere è rintanarmi in un bozzolo di autocommiserazione e sonnolenza e schivare ogni tipo di performance fisica o mentale. Quindi affossamento. Quindi scarse prestazioni sul lavoro. Quindi raggiungimento di obiettivi aziendali lontano anni luce. Luce proprio.
Purtroppo non c’è un silver lining per questo aspetto della mia personalità, forse solo il terrore che incute un mio momento no sui colleghi, che mi garantisce alla fin fine un certo quantitativo di rispetto da parte loro. Nei casi più fortunati mi hanno nominata team leader.

Laura contemplò il suo outfit anti-convenzionale. Boccheggiava, aveva ancora una decina di minuti per collezionare i pensieri, fare esercizi di training autogeno e performare rituali auto-motivazionali davanti allo specchio. Si sentiva, grazie alla sua preparazione impeccabile, una risorsa preziosa per l’azienda reclutante; si sentiva la numero uno, empowered, empowering, perfetta nella sua imperfezione, perfetta, mostruosa, decrepita, abominevole nella sua non-perfezione, profilo in linea con il candidato ideale.

Dopo numerosi esercizi di respirazione, dopo aver percorso prati fioriti, ed essersi sentita attraversare da palle di energia che prima scaldano la fronte, poi la gola, poi il petto, poi la pancia, gli arti, il ventre, le estremità, ed essersi prefissata un obiettivo per la giornata, namasté, Laura si passò sul viso uno strato di fondotinta così vecchio che per farlo uscire dal tubetto di plastica doveva prima scaldarlo sui fornelli a induzione, poi terra solare e blush, seguendo le regole di contouring di una influencer di diciotto anni che raccomandava di mordersi le guance dall’interno mentre ci si trucca. Poi raccolse qualche foglio di appunti, si tolse un ciglio che le si era seccato col mascara dei tre giorni nell’angolo esterno dell’occhio, conferendole uno sguardo particolarmente triste e assente, e lentamente, come a morire, si avvolse nel resto dei vestiti che aveva sparpagliato sul pavimento, attirandoli a sé a suon di forza centripeta, strisciò sotto al letto e, come aveva tante volte provato nei picchi della sua pigrizia, in effetti, morì.

Collage di Anthony Gerace

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