Dai salotti della borghesia al mondo delle associazioni, si assiste all’emergere di una nuova forma di attenzione nei confronti della disabilità. Dibattiti e iniziative promosse a riguardo respingono ormai con convinzione il proposito di associare l’idea di handicap al concetto di accettazione; sempre meno una retorica filantropa dell’accoglienza suona esaustiva: sono le potenzialità, invece, ciò di cui si discute e di cui occorre discorrere.
Per osservare la realizzazione pratica di tali discorsi, abbiamo avuto la possibilità di passare qualche pomeriggio con l’associazione rivolese “Vivere insieme”, fondata nel 1991 da Anna Briatore e Raffaella Oneglia, alle quali si sono presto uniti altri genitori e giovani volontari provenienti dalle scuole della zona o dal Servizio Civile.
Sempre meno una retorica filantropa dell’accoglienza suona esaustiva: sono le potenzialità, invece, ciò di cui si discute e di cui occorre discorrere.
Rispetto a una morale dell’assistenza al malato, al debole, al diverso, si vuole oggi porre l’accento su un’interazione fra individui, più che una mera assistenza, scevra dall’idea di una scala di perfezione platonica dell’essere umano. Ci si propone di fondare un’etica dell’uguale, o meglio, del pari. La nuova assistenza al disabile e alla sua famiglia non si accontenta più dunque di “aiutare”, “gestire”, “prendersi cura di”, bensì mira a rendere il disabile stesso persona in grado di fornire aiuto, capace di gestire e aver cura di cose, animali e persone; soggetto di valore esistenziale ed etico. Un utilizzo consapevole della dizione diversamente abile, in quest’ottica, potrebbe concentrarsi non sull’ignorare le difficoltà, ma sulla necessità di non prescrivere un’incapacità assoluta e di rivalutare le opportunità di ogni individuo.

Considerare “umano” qualcosa è infatti riconoscerne non solo una serie di diritti fondamentali: è soprattutto intravederne le potenzialità, la ricchezza per l’umanità intera. E non si parla solo della “resa” emotiva che l’attività di volontariato tipicamente restituisce; si parla di cose sorprendenti anche a livello intellettuale, morale e artistico. Per esempio, da anni è popolare la rappresentazione artistica e cinematografica del disturbo dello spettro autistico, nella quale una certa “rigidità mentale” è mostrata come risorsa. Questa caratteristica del pensiero è invero comune a molti individui ai quali la medicina assegna un QI sotto la norma. La definizione di intelligenza come “elasticità mentale” tende infatti a svalutare abilità come la capacità di concentrazione o l’inflessibilità morale, che invece una definizione più ampia del termine riterrebbe degne di considerazione e tutela.
Considerare “umano” qualcosa è infatti riconoscerne non solo una serie di diritti fondamentali: è soprattutto intravederne le potenzialità, la ricchezza per l’umanità intera.
Disabile e persona sana devono operare un oblio cosciente della distinzione fra handicap e essere umano. L’interazione che la persona disabile costruisce spesso in ambito famigliare, e che ci si augura possa venire estesa alla società intera, è un far parte del mondo né nonostante la disabilità, né esclusivamente per la disabilità. Né peso, né risorsa: persone abili, come tutti, nel dare e nel ricevere o, più ampiamente, capaci di dare attraverso il ricevere e ricevere attraverso il dare.
Ma tutto ciò spesso si costituisce, come accennato, solo in ambito famigliare, giacché sono i caregiver che sentono in primis la necessità di attuare personalmente questo lavoro di una difficoltà straordinaria, perché legato a personalità fuori dall’ordinario. Per questo motivo gli stessi caregiver non possono non essere compresi anch’essi nell’opera di assistenza: necessitano e meritano dei cosiddetti “respiri”, ossia momenti nei quali si solleva dalle loro spalle, almeno in parte, il peso della responsabilità intrinseca al loro ruolo di tutori.
Né peso, né risorsa: persone abili, come tutti, nel dare e nel ricevere o, più ampiamente, capaci di dare attraverso il ricevere e ricevere attraverso il dare.
Riuscire a compiere una degna
integrazione tra i bisogni degli assistiti e quelli delle famiglie è oggi
tuttavia ancora un obiettivo arduo per le associazioni.
In quasi vent’anni di attività sul territorio il nucleo degli associati di
“Vivere Insieme” è cresciuto notevolmente e moltissime sono state le battaglie condotte
dall’associazione per garantire la giusta assistenza agli aventi diritto, oltre
alle innumerevoli attività svolte a sostegno delle famiglie e dei ragazzi, ma questo
impegno è stato portato avanti sempre con enormi e spiacevoli difficoltà, sia
di stampo economico che logistico.
Di conseguenza il
rischio è quello di aprire una finestra e di chiuderne un’altra; sacrificando,
cioè, ora l’attenzione alla persona disabile per dare spazio alle esigenze
delle famiglie, ora di donare loro un momento di sollievo, ma coinvolgendo i
primi in attività ricreative di gruppo, per forza di cose non regolate sulle
esigenze e gli interessi incredibilmente speciali di queste persone.
La nuova etica impone la creazione di momenti a discapito di nessuno: spazi e
tempi nei quali la società, nei suoi variabilissimi raggruppamenti, realizza il
benessere e le potenzialità di ciascuno dei suoi membri contemporaneamente.
Perché il cerchio sociale, questo interminabile aiuto all’aiuto, è il più grande successo dell’umanità.
Fotografie di Davide Zanotto