But the very next day you gave it away
This year, to save me from tears
I’ll give it to someone special
— Fermo, Carlo Marx del cazzo, fermo o sparo! — gridò lo sbirro puntando la pistola verso l’obiettivo.
Intorno a loro, lungo i binari, l’urlo rimbombò in ogni direzione. La mano dello sbirro tremava.
Babbo Natale alzò lentamente le braccia. Poi, con precisione, caricò lo sputo e scatarrò in direzione dello sbirro.
— Lei non sa chi sono io, — disse, arrogantissimo, Babbo Natale, portando lentamente la mano alla grossa cinta in pelle.
— Lei ha bisogno di un po’ di spirito natalizio, sporca guardia. —
La guardia rimise la pistola nella fondina, prese il cellulare e fotografò lo strano babbo natale, poi indietreggiando e senza smettere di sorvegliare tutta la scena iniziò una telefonata.
L’odore gileppo di zucchero filato invadeva il cordone ammassato contro la metro. Nessuno di loro sapeva veramente dove stava andando, ma doveva andare.
Se solo Babbo Natale non fosse stato così sporco e sudato e non avesse brandito in mano una cintura di tritolo da 70 kg, tutti si sarebbero sentiti al sicuro e avrebbero proseguito l’attesa incoscienti del disastro.
La guardia sbraitò nuovamente: – Faccia a terra!
“Treno per Assago.”
La carovana umana discese la scalinata come una cascata e travolse lo sbirro.
Quando il treno arrivò, un paio di giovani approfittarono del momento di caos per riempirsi le tasche dei portafogli dei malcapitati.
Uno zingaro intonava canzoni a tema natalizio.
Costipato contro la massa deforme, l’attentatore vestito da Santa Claus entrò nel primo vagone che gli capitò a tiro.
– Signora, ha mica due spicci?, domandò il bello del popolo accanto alla vecchia aggrappata al passamano.
– Non sono per drogarti, vero?
– Ma no signora, non mi permetterei mai!
Mentre le mani rugose dell’anziana frugavano nel borsello, il finto Babbo Natale sbraitò a pieni polmoni:
– D’accordo, nessuno si muova! E tu, ragazzo!
– Dici a me?, fece lo zingaro, abbassando un attimo il violino dalla spalla.
– Dico proprio a te, sì.
Va tutto bene, ma alza quella dannata musica!
Una ragazza che fino a quel momento era stata seduta in disparte, silenziosamente terrorizzata, fu attraversata da un’intuizione folgorante: “Babbo Natale è il Messia che il popolo eletto attende da sempre. E nessuno lo ha ancora capito.”
Lo scrisse subito su Twitter.
Solo dalle parti di Moscova un punkabbestia sembrò interrompere il diverbio piuttosto acceso che stava avendo con la sua ragazza riguardo al di lei Bull Terrier, un po’ giù di corda, reo a sentire lui di avergli ingoiato un paio di storie; e l’avrebbe preso a calci finché non la cagava la roba e la prossima volta quel cazzo di cane era meglio se lo lasciava a Como altrimenti lo affogava nel Naviglio porcodio. Probabilmente il fatto che il casino che c’era in quel vagone sovrastasse e di così tanto il volume della sua voce impastata irritò il punkabbestia, che di problemi ne aveva già abbastanza e stava cercando di risolverli, di comunicare cazzo con la stronza della sua ragazza di Como e il suo stronzissimo Bull Terrier di nome Boosta che se ne stava mogio mogio con il musetto poco euclideo sotterrato tra i piedi della padrona. Così il PB infilò una mano sospetta sotto la giacca verde fluo da snowboarder e si alzò dal seggiolino al rallentatore, un po’ ingessato. Avanzava in slow motion, sbavando un po’ da un lato della bocca ischemica verso la schiena di Babbo Natale che non si era accorto di lui.
La metro, che solo pochi minuti prima sfrecciava tranquilla per la sua strada quotidiana, ora era ferma nel buio di un tunnel, il freno d’emergenza tirato da una manona paffuta.
Lo zingaro suonava “Fairytale of New York”.
Babbo Natale, cintura di tritolo e un grosso sacco di iuta in mano, cominciò a gridare:
– OH OH OH! BUON NATALE! Se non si fosse capito questa metro è stata sequestrata e voi con essa. Ora, se non volete esplodere, dovete semplicemente seguire le mie regole.
Dal sacco rovesciò in terra una gran quantità di maschere di Goblin, ovvero il nemico principale di Peter Parker.
– Il mio primo regalo è questo! Siete tutti assunti da me medesimo: stasera sarete i miei piccoli aiutanti nel distribuire fantastici doni a bordo di questa splendida carrozza.
Un signore sulla quarantina con un completo di ottima fattura si alzò di scatto: – Questo è inammissibile, protesto!
Una giovane in tuta acetata si mise a imprecare contro il sequestratore – Coglione del cazzo, stronzo! Ma chiccazzo sei..?
La gente, prima ammutolita per la sorpresa, cominciò a gridare di rabbia e terrore.
Lo zingaro suonava “Do they know this is Christmas?”
Babbo Natale sorrise, scoprendo una dentatura placcata d’oro: – Signori, signori, vi chiedo di calmarvi. Ricordo che sono imbottito fino al culo di tritolo.
A voi la scelta: o vi faccio saltare e l’ultima cosa che vedrete sarà la faccia del vecchio Rudolph – si tirò su la casacca rossa e scoprì una faccia orribilmente incisa sul ventre prominente – oppure vi vestite da elfi e fate tutto quello che vi dico.
Ve lo prometto, sarà un natale indimenticabile!
Lo zingaro attaccò “Last Christmas”.
Nel mentre, una tra i passeggeri, studentella svogliata di ritorno dall’ateneo, pareva invero prestare più attenzione al brano che il violinista suonava. Con aria disinvolta, come se la follia in atto non le fosse di interesse alcuno, dimandava allo zigano: Oh è forse il brano dei Pogues?Responso non otteneva, sicché amareggiata da sola ribatteva: Me mi garba il primo disco, “Red roses for me”, se ci sai fare un paio di pezzi, ti si da anco du spicci”. Il violinista retta a quella non prestava e con terrore il babbo natale osservava. Nel mentre alcuni dei passeggeri, per aver salva la pelle, si facevan volentieri complici del vecchio bastardo. Indossato lo strano abito attendevano istruzioni. Fu a quel punto che il babbo descrisse loro il da farsi. La meta era l’Auditorium “Demetrio Stratos” di Radio Popolare, in via MacMahon. Il folle babbo era stanco marcio della patetica campagna d’abbonamento. “Quei vecchi sessantottini del cazzo, debbono smetterla di cagare la ciolla” – gridava. Quand’ecco che il calcio della pistola cozzò sulla sua crapa.
Vi risparmiamo i ceffoni copiosi. Vi risparmiamo i dialoghi da western di bassa lega, vi risparmiamo la folla allibita con gli smartphone in mano, incredula di poter mostrare due rarità nella stessa inquadratura: un Babbo Natale che mena, una guardia che mena da sola. Vi risparmiamo le pose tamarre e le gengive sui corrimano, gli ostaggi che magicamente si trasformano in pubblico, poi in tifosi, i loro occhi illuminati dalla magia del Natale.
— Ok belli, se volete che il nostro eroe qui sperimenti un’altra volta la bellezza del taser che gli abbiamo regalato coi nostri soldi dovete urlare VAI, forte, con me, al mio tre: avanti! Uno, due, tre!
“VAI!”
La ragazza, Lucia, ancora seduta in disparte osservava, cellulare in mano, la mattanza, Babbo Marx, epistassi, il violino. Lucia scrollava la pagina di Twitter, compulsivamente, alla ricerca di un minimo di concentrazione, musiche gitane e you better watch out, sondava uno schermo alla ricerca di un minimo di parvenza natalizia in qualche post di qualche augurio di un qualche vip in qualche aperitivo seguito da quel remoto smartphone ammaliante, il treno straripava di gioia e nevrosi, Lucia guardava, impotente, ascoltava la musica e ciò a cui proprio non riusciva a pensare era come lei, mai e poi mai, avesse imparato a ballare.
Gli scatti. La bava. Lampi d’estasi, poi il corpo fermo. Babbo Natale si leva con un sorriso, si sporge dai sedili reggendosi sull’asta come una poledancer, chiama gli applausi sempre più forti e le persone si scoprono felici ad applaudire, a venire a turno a dare un calcio in faccia al cadavere, a scattarcisi su i selfie da inviare solo agli amici più intimi. Usciti da quel treno con le maschere su, erano tutti con lui, con Babbo.
Nel frattempo il vento soffiava tra le gallerie deserte che tagliavano la metropoli. I writer più cazzuti le imboccano nottetempo da Cimiano e percorrono queste vene scrivendo spesso il loro nome. Il vento, dicevamo, correva per i fatti suoi verso le uscite, incrociando gli sguardi delle modelle in bikini sui muri, le macchinette automatiche, gli indiani venditori di cappelli da babbo natale, fuori fino alla città forsennata e mefitica. Lì moriva il vento, tra lo smog. Nessuno, lassù, sapeva ancora cosa fosse successo sul vagone.
– … Tu non ci crederai, ma sai chi c’è in fondo alle scale, sulla banchina in attesa…?
– … No chi c’è?
– C’è babbo natale, cristo…
– Ma dai, non esiste e neanche cristo… Di loro ci sono solo le parole… Non c’è riferimento…
– Vuoi vedere che invece… Senti, io mi fermo qui, nel dubbio prendo il metro dopo… Mi tengo la realtà…
– Sì buona idea, tanto per quello che dobbiamo fare oggi possiamo prendere anche un altro treno… in fondo che differenza fa?
Sceso alla fermata di Abbiategrasso, smagrito e disperso, Santa non aveva più barba né cintura. Il cuscino che camuffava la pancia era rimasto incastrato sotto un sedile durante la colluttazione. I presunti candelotti di dinamite erano ora scartati e svelavano la loro vera natura di pile del supermercato. Il pesante trucco di cerone bianco adesso lasciava trasparire la sua pelle color dell’ebano. Salì le scale lentamente, a perdifiato, quando si sentì placcare alla sua destra senza poter battere ciglio. Cinque digossini in divisa gli erano sopra e lo stavano ammanettando. Prima di portarlo via, i passanti che ripresero la scena furono subito schedati e fu impedito loro di diffondere il video. Il più tenace di quelli fu preso da parte e gli fu mostrata la foto riservata del replicante nero: i lembi di pelle cadenti che gli scorrevano lungo il viso, come quelli delle maschere di lattice dei Goblin di poco prima, nascondevano appena gli ingranaggi del mecca, che luccicavano sotto la luce bianca del neon.
𝕭𝖚𝖔𝖓𝖊 𝕱𝖊𝖘𝖙𝖊
HO HO HO 🙂
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