Affinità e divergenze tra la Poesia di strada e me

Da alcuni anni mi interesso di Poesia di Strada; è un argomento, come la Street Art, al quale ho dedicato alcuni articoli e brevi saggi. Alcuni hanno definito questo mio lavoro pioneristico, di certo ha incontrato, e incontra, non poche difficoltà, soprattutto di ordine metodologico. Per prima cosa, individuare con certezza che cosa sia la Poesia di Strada non è molto semplice e dunque mi limiterò, in questa sede, a dire qualcosa di lapalissiano: una poesia collocata nello spazio urbano è una Poesia di Strada – è il contesto nel quale interviene che le conferisce questo attributo oltreché, si presuppone, altre caratteristiche. Street Art e Poesia di Strada si compenetrano e sono fenomeni che rientrano entrambi nell’ampio contenitore della Creatività Urbana. Proprio su quest’ultimo aggettivo, urbana, vorrei concentrare la prima parte di questa breve riflessione: è inevitabile che dei versi siano disposti nello spazio pubblico e, solo in tempi recenti, si è pensato che questa potesse essere una forma espressiva che godesse di una relativa indipendenza, nata dalla sovrapposizione di due esperienze divenute nel tempo contigue. Numerosi sono i graffiti a Pompei ed Ercolano, alcuni dei quali esprimono un certo grado di poeticità. Ovunque sia esistita una metropoli a qualcuno è passato per la testa di incidere un segno del suo passaggio su un muro e, in molti casi, queste impronte ci sono pervenute, ma niente sappiamo di chi sia stato il loro autore. Cambiano i mezzi, i luoghi, le lingue, lo stesso non accade per i campi semantici di riferimento e per alcune caratteristiche di formulazione, il fuoco del racconto non si spegne. Una volta c’era il carbone o un punteruolo, ora ci sono i marker e le bombolette, una volta c’erano i piombi veneziani o un’abside, oggi il retro di un supermercato o il seggiolino di un autobus.
Continua a leggere…

L’iconoclastia di Giordano | Charlie Nan

La tramontana può essere calda verso fine estate, un vento meglio noto come «Foehn». Il termine sta a indicare un vento caldo e secco, con spiccate caratteristiche «catabatiche» – ossia discendenti – che si attiva ogni volta che un flusso d’aria, esteso alle varie quote, è costretto a scavalcare una catena montuosa che si trova nella sua traiettoria. Il «Foehn» è un vento frequente in Italia, sia lungo la catena alpina che sulla dorsale appenninica, dove le correnti che rispondono a queste caratteristiche vengono definite «Garbino» – il Foehn degli Appennini.

Giordano divenne iconoclasta all’1.39 del mattino del 13 settembre 2016: il vento cuoceva a 45 milioni di gradi il sonno e le labbra dei ragazzini – i vuoti di bottiglia e due zingare con le gonne larghe rattoppate che parlavano ad alta voce ad un vecchio cellulare modello sunnypeople nerazzurro – un ubriaco dall’addome gonfio, che pareva un bonzo addormentato su di uno scalino tra le spire delle tramontana calda, che aveva ancora addosso la felpa dell’azienda per cui aveva smesso di lavorare da almeno 10 anni.
Genova a metà settembre, con il ritorno degli studenti, tende a riabilitarsi all’ordine pubblico, con qualche ronda della polizia ad ammanettare lo spaccino di zona. Nel mentre, sulle guance di Giordano soffiavano gli ultimi giorni dell’estate cittadina, e attraversava Piazza delle Vigne con l’intenzione di scendere verso il porto. Passando di lì ancora una volta, non poteva sopportare la vista delle sei figure alte almeno tre metri, avvolte nelle loro toghe da dotti, che campeggiavano accostate due a due a partire dall’insegna del tipografo, e a salire proseguendo fino a che lo sguardo di Giordano giungeva alla cima dei palazzi che intingono i tetti nella notte buia. Forse si trattava di notabili genovesi del ‘600 – essendo il palazzo del ‘600, così come riportato dalla targhetta per i turisti.
Le sei figure erano state dipinte in prospettiva e pertanto continuavano da centinaia di anni ad osservare qualsiasi passante, e se ce ne fossero stati di più, sarebbero stati fissati tutti nello stesso tempo. Dunque non fu difficile per Giordano trovare un motivo per diventare iconoclasta. Infatti, i servigi forniti alla città dalle sei figure di notabili genovesi non potevano essere sufficienti ad acquisire un tale diritto centenario – ma visto che a Giordano tale pensiero pareva un po’ troppo “socialista”, s’era messo a riflettere ancora, e alla fine aveva concluso che i sei notabili si erano arrogati scientemente il diritto di campeggiare dai muri sulle teste delle persone. Questo pensiero gli risultava intollerabile.
Continua a leggere…