Ultima Generazione contro i monumenti

“Era di colore grigio, denso, con un’espressione molto seria
 e qualcosa di marziale nell’andatura. Udivamo il rumore pesante dei suoi passi,
come delle zoccolate di cavallo, ed erano passi vigorosi, ben decisi.”

– Giorgio De Maria, Le venti giornate di Torino

Siamo per strada e vediamo una serie di monumenti colorati: agli occhi di molti possono sembrare atti vandalici e che gli stessi monumenti di queste città abbiano subito degli attacchi e degli abusi.
Da sempre, le città italiane si sono rapportate alla storia con una urgenza conservativa: trasformando le città in musei, i monumenti svolgono la funzione di commemorare la storia. Non ci siamo mai interrogati se queste statue che adornano i nostri giardini, le nostre piazze possano costruire o costituire un problema ai fini del concetto di storia.

Gli attivisti di Ultima Generazione hanno iniziato a imbrattare statue e palazzi con vernici lavabili per problematizzare e protestare contro la nostra imminente estinzione, dovuta alla crisi climatica.
La cassetta degli attrezzi da cui attinge la memoria collettiva resta aperta, pronta all’uso. E apre la via alla storia degli ultimi anni, dove il retaggio coloniale, mai risolto, riemerge e alimenta la propaganda leghista e fascista contro gli invasori che arrivano dai tanti luoghi dove le mappe sono ancora quelle di una spoliazione che continua in altre forme.

La pratica di abbattere, coprire o colorare statue, di modificare la toponomastica diviene oggi lo strumento di ricostruzione di una memoria collettiva colonizzata dalla rassicurante favola degli italiani brava gente, poco inclini alla violenza, caritatevoli. Azioni che disinnescano i simboli concreti di una storia, di cui sono le sentinelle di marmo, bronzo, pietra.
I simboli della storia vengono così scongelati da quel meccanismo che li rendeva pari all’ambra di Jurassic park, ovvero un filamento sottile che contenga il nostro dna culturale per fossilizzare e glorificare il passato dimenticando la necessità di un tempo ucronico, di un futuro necessario con un destino imminente.

Lo slogan di Ultima Generazione è siamo l’ultima generazione che può fare qualcosa per determinare il futuro dell’umanità.

Potremmo fare un elenco dei monumenti colorati, dei gesti agiti nell’ombra, delle feste alla fine del mondo celebrate oggi, ma nessuno di questi valorizzerebbe abbastanza la mano di chi si agita e reagisce ad una catastrofe che appare inevitabile. L’unica soluzione, oggi, è la disobbedienza civile. Azioni quotidiane di disobbedienza civile, ma cosa e come si può comunicare e protestare oggi?

Per esempio, che differenza corre fra la protesta, la lamentela, il dissenso, la disapprovazione, il  malcontento,  l’opposizione,  il  reclamo,  la  rimostranza,  la  recriminazione,  la  rivendicazione,  la sommossa e la rivolta, la ribellione, l’insurrezione, l’agitazione, il tumulto, la sedizione, il sollevamento, la sovversione, la manifestazione, la contestazione, solo per citare alcuni termini affini a ‘protesta’?

Il Dito di Cattelan imbrattato dagli attivisti di Ultima Generazione, Piazza della Borsa, Milano

In questo caso specifico, si tratta di una protesta attuata con i corpi, a colpi di colore su degli oggetti inanimati, perciò  priva di violenza.  La protesta avviene con gesti specifici e privi di concetti astratti, puntando il dito contro chi non è capace di agire o di incidere sulla storia. Si attua una inversione, si produce un’azione che porta ad un’intera conseguenza di una costante protesta silenziosa e diffusa a macchia di inchiostro. I monumenti imbrattati, da cui scaturisce l’indignazione, è il fulcro di un dibattito che infiamma i social, deflagrando nelle prime pagine dei giornali. Le anime belle della sinistra parlamentare italiana non hanno mai fatto realmente i conti con la propria storia, con l’urgenza di un futuro che non sia distopico e che si fonda sulla resistenza, mentre oggi l’abbraccio del nazionalismo tricolore e l’intero suo retaggio sembrano essere l’orribile normalità.

Come si può far soffiare un vento di tempesta in un mondo anestetizzato? Ne abbiamo parlato con Gabriella, attivista e portavoce di Ultima Generazione.

Come definireste la vostra protesta? E qual è il valore intrinseco e specifico di questo gesto? 

Sicuramente l’aggettivo <nonviolenta> fortemente legato al termine <protesta> non solo ci definisce ma ci fa anche sentire ben definiti all’interno di un significato molto più grande: il rispetto per quello che siamo e per tutto ciò che esiste. La protesta, così modulata, dà valore all’essere vivente e perciò all’impossibilità di rimanere immobili. Soprattutto, se la minaccia è imminente e sotto il naso.

Come scegliete i colori? Da dove è nata l’idea?

Al di là del mero legame fra il nero petrolio e l’emergente arancione, la scelta dei colori nasce dall’esigenza di mettere in risalto il connubio che sussiste fra cose molto diverse fra loro che, però, insieme si distinguono e allo stesso tempo si abbracciano e si esigono. Un po’ come gli abbracci caldi che uniscono animi ghiacciati.

Come il mutare e colorare le statue e i monumenti, secondo voi, contribuisce alla metamorfosi,  cambiando l’immaginario stesso dei cittadini?

È proprio la forza e la bellezza dell’arte, un’arte fintamente deturpata, che può secondo noi richiamare l’attenzione di chi dell’arte può godere. Chi potrà gioire ed emozionarsi di fronte a delle pennellate definite o del marmo perfettamente scolpito, se saremo troppo impegnati a fare la lotta fra noi per l’ultima fetta di mondo vivibile?

Cosa vuol dire fossilizzare la storia per voi? Le azioni che fate si rivelano “nell’ambra del momento”?

Per noi non-fossilizzare la storia equivale proprio a non lasciarla incancrenire nel suo status quo. Proprio come i combustibili fossili, figli di milioni di anni di quiete, che nella quiete dovrebbero rimanere invece di alimentare l’ego e l’avidità di pochi.

Come per voi questi “atti artistici” – preferiamo questo termine perché ogni operazione è gesto – sono una presa di posizione nel mondo e come dovrebbero risuonare, in accordo o controtempo? Fateci degli esempi concreti.

Ogni tempo è definito da una dialettica fra armonia e disarmonia. Ad oggi, la disobbedienza nonviolenta vuole riequilibrare l’ingiusta brama di potere che ha piegato il nostro tempo quasi fino alla rottura, al collasso. Esempi vincenti e noti sono la lotta avanzata dalle Suffragette a favore dei diritti femminili, la non cooperazione di Gandhi contro il dominio coloniale e la voce coraggiosa del movimento Act Up! contro lo stigma dell’HIV.

Quando avete avuto paura?

Quando l’imminenza del collasso climatico si è palesato.

Vi definereste dei mutaforma? O siete veramente l’ultima generazione di un futuro estinto?

Non siamo l’ultima generazione in senso letterale, quanto più l’ultima con la possibilità di mitigare il collasso climatico. Non ci appartiene la definizione ‘mutaforme’ nonostante riteniamo necessario un netto mutamento del sistema affinché tutto rimanga vivibile per come lo conosciamo.

Gli attivisti di Ultima Generazione durante una dimostrazione agli Uffizi di Firenze

Nel resto del mondo, come spiega bene Lisa Parola, storica dell’arte e curatrice, autrice del saggio Giù i monumenti? (Einaudi, 2022), i monumenti cadono per attuare un cambiamento nel tessuto urbano e – conseguentemente – nella storia. “I monumenti cambiano”, scrive. “come gli spazi e le persone. I monumenti vivono e muoiono. Si trasformano, il loro aspetto si modifica e il loro contenuto simbolico si rovescia.”[1]

Le sculture pubbliche, spesso, hanno una grande importanza storica ma una modesta importanza artistica. Vengono rivalutate per via di un investimento ideologico e – una volta disinstallate – assumono un significato diverso grazie a una riformulazione di un’estetica basata su un’urgenza, diventando teatro di piccoli happening improvvisati, forme di artivismo che hanno nella performance il loro mezzo più potente. “Il monumento è spesso il primo bersaglio simbolico di un conflitto” e – proprio per questo –  “attraverso la sua rimozione la statua passa da uno stato di invisibilità a un eccesso di visibilità.[2]” L’incertezza e il disorientamento culturale rispetto all’arte vengono risarciti da punti di vista più accessibili, posizionati in ciò che un tempo, per intenderci, veniva definito “immaginario collettivo” e che oggi è condiviso in rete. Il paradosso dell’abbattimento è che ciò che era oramai relegato allo sfondo, debilitato nella passività della percezione quotidiana ad anonimo elemento di arredo, viene riabilitato da un rinnovato interesse pubblico. L’abbattimento contemporaneo oltrepassa la deriva situazionista per ricongiungersi al gergo corrente, grazie alla fragranza della notizia. La statua diventa, perciò, nuovamente un caso estetico, ma non come oggetto scultoreo, bensì come bersaglio della protesta, che lo riabilita nella storia tramite l’infamia memoriale.

Dimostrazione di Ultima Generazione alla sede della Regione Toscana

Oggi i ragazzi di Ultima Generazione colpiscono il nostro immobilismo e colpiranno ancora, nonostante i processi e le azioni repressive[3]. E forse ciò che non gli viene perdonato è proprio questo: sognano ancora un futuro, per noi e per i nostri figli, in un esercizio della memoria che non sia solo demiurgica, ma plastica.

in copertina, ragazzo su monumento al duca d’aosta in piazza castello, torino
riproduzione riservata

[1] L. Parola, Giù i monumenti?, Einaudi, 2022, cit. p. 37

[2] Ibidem

[3] Recentemente, gli attivisti di Ultima Generazione sono stati accusati di far parte di una “organizzazione oltranzista” (https://ilmanifesto.it/per-ultima-generazione-un-clima-sempre-piu-caldo)

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