Hai paura di Collini?

Max Collini (Offlaga Disco Pax, Spartiti) si racconta e ci racconta come sta cambiando la scena indie italiana negli ultimi anni. Lo troveremo nella veste di giudice al Premio Roberto Sanesi di Poesia in Musica e l’11 settembre 2021 presenterà a Torino, a Presente ! Festival del Reale, il suo spettacolo, Hai paura dell’Indie?

Max, l’arrivo sulla scena italiana degli Offlaga Disco Pax è stato, ai tempi, seminale per quel che è stato lo svilupparsi della spoken word e di quel sottobosco di suoni indipendenti con un approccio recitativo alla voce. Arrivato ad ora, da questa prospettiva temporale, come vedi le evoluzioni che ci sono state sia in te che nella scena?


Quando pubblicammo Socialismo Tascabile nel 2005 in Italia la scena underground/indipendente/alternativa si muoveva da tempo esprimendosi principalmente in inglese. L’italiano caratterizzava il rock degli anni novanta e ci fu questa naturale evoluzione per una nuova generazione di musicisti e di gruppi. Yuppie Flu, Giardini di Mirò, Julie’s Haircut e simili avevano già agganci per suonare all’estero e di fatto si inserirono in un discorso europeo più che italiano. Gli Offlaga Disco Pax riportarono la questione del linguaggio in casa nostra e in questo eravamo certamente figli di un approccio più domestico, ma concettualmente e nei suoni credo si sia trattato di una esperienza assai contemporanea e pienamente dentro a quel discorso europeo appunto, discorso in cui ci sentivamo comunque immersi. Nel decennio successivo l’uso dell’italiano ha preso definitivamente il sopravvento e contestualmente si è affermato anche un ritorno, a volte conservatore, al cantautorato e a stilemi già vissuti. Oggi dalle nostre parti viene chiamato indie quello che in ogni altro luogo del mondo chiamano pop: traete voi le conseguenze che più vi aggradano.


Il tuo stile di scrittura, molto narrativo, non si è mai incastrato nei tuoi progetti nella forma-canzone, che però hai approcciato negli ultimi anni col tuo reading, in cui reciti testi dal cosiddetto indie italiano. Come sei arrivato a pensare un progetto così, e come è stato attraversarlo? In senso più ampio, dopo averlo esplorato, pensi che esistano in questi pezzi delle peculiarità strettamente testuali che li rendano tali ed ascrivibili ad un genere?


Max Collini legge l’indie e il successivo Hai paura dell’indie? sono spettacoli sostanzialmente teatrali, nati come inevitabile conseguenza a quanto dicevo rispondendo alla domanda precedente e che ripercorrono gli ultimi cinque anni di nuova musica pop italiana, piena di “Canzoni d’amore scritte da autori che non amano e fatte con un solo parametro: sperando di fare il disco di platino. E allo stesso tempo artisti indipendenti si autocensurano i sentimenti perché l’amore, tra i vari argomenti, non è abbastanza underground per i loro clienti”. Uso le parole di Dutch Nazari in Proemio perché sono i miei stessi interrogativi, a cui in questa esperienza solista senza musica e di sole parole ho cercato di dare risposta. Non credo di esserci riuscito, ma almeno mi diverto un sacco. Ho ritrovato un po’ di leggerezza, ne avevo bisogno.


Racconti in altre interviste che i tuoi testi nascono scritti, e poi nel lavorarli in sala prove coi musicisti comincia il processo di adattamento e sfrondatura per raggiungere la forma finale. Quali sono le modifiche che il rapporto con la musica ti genera? In che modo entrano in dialogo, sia in Spartiti che negli Offlaga, la componente musicale e la parola?

“È un naturale processo di eliminazione” dicevano gli Afterhours in Dentro Marilyn: la musica guida il successivo lavoro sui testi, perché solo con la musica so come tagliare, aggiustare, cucire le cose che scrivo. È un lavoro bellissimo e un po’ mi manca, mi sa che devo fare un altro disco con Spartiti. Prima o poi arriverà.

Ciò che emerge dai tuoi testi è una fusione molto netta tra uno sguardo personale definito e una ideologia condivisa e altrettanto chiara. Il ritratto che appare riesce a raggiungere un grado di dettaglio altissimo, proprio per questi elementi. Ragionando per estremi, pensi sia possibile una spoken word scevra da prospettive singole? E da ideologie? E da entrambe le cose? Se sì, che forma pensi che possa avere?

Suppongo che sia possibile fare tutto, ogni artista ha la sua indole e tutte le cose che ipotizzi sono plausibili in entrambi gli estremi proposti. Ancora adesso però non saprei spiegare perché le mie cose abbiano funzionato, non era una cosa che pensavo sarebbe successa. È semplicemente andata così. Credo sia difficile rendere fruibile e minimamente popolare una formula come quella di Offlaga e Spartiti, ma suppongo che la sincerità e la mancanza di filtri abbiano permesso una certa identificazione tra le mie storie e i loro ascoltatori. Se è vero ne sono felice, il mio non è un pubblico vastissimo, ma è sufficientemente grande da permettermi di fare tour sia da solo che con altri musicisti e sono infinitamente grato a chi lo ha reso possibile.

Spartiti, il tuo progetto con Jukka Reverberi, è iniziato prendendo in considerazione testi anche altrui. Sia la tua scrittura che il tuo approccio al microfono sono molto personali: demandando la penna ad altre mani, è successo qualcosa anche alla voce? In senso più ampio, quali sono stati i lavori che hai fatto sulla tua vocalità, da quando hai deciso di portare i tuoi testi in scena?

Se ascoltate la mia voce nel primo disco degli ODP e quella nel disco di Spartiti Austerità, uscito undici anni dopo, si capisce che il mio uso della vocalità narrativa è diventato un po’ più sicuro: i toni sono più profondi, la recitazione più convinta. Forse sono meno spontaneo, ma ho più strumenti per interpretare il testo e più sicurezza nei miei mezzi, peraltro abbastanza scarsi anche adesso. Vorrei avere una voce come quella di Alberto Lupo, ma temo invece di dovermi accontentare di quella di Lupo Alberto. Ehilà Beppe!!! +++

Nonostante il tuo rapporto con la scrittura sia ormai ben più che duraturo e costante, non hai mai pubblicato qualcosa in forma solo scritta. C’è qualcosa legato alla performatività che ti porta a preferire di consegnare i tuoi testi così, o ci sono altri motivi? 


Sono anni che ho in testa l’idea per scrivere un romanzo, non l’ho ancora fatto perché sono affetto da una grave forma di pigrizia che mi impedisce di superare la terza pagina di testo. Cercherò di curare questa deriva ingiustificabilmente dilatoria con un vaccino. Adesso chiedo al generale Figliuolo se me lo passa.


Grafica di Dave Sanmarzano

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