Cinque mesi di tempo e una base d’asta di undici milioni e duecentottantamila euro. Questo l’attuale epilogo di uno dei gioielli barocchi, nonché polo culturale indipendente della città di Torino. Stiamo parlando della Cavallerizza Reale, Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO dal 1997. Sicuramente a molti sarà capitato di entrarvi come semplici fruitori di una mostra, un concerto, un laboratorio, uno spettacolo teatrale oppure come artisti o artivisti.

La storia dietro questa affascinante realtà culturale e sociale è complessa, poiché le vicende storiche, politiche e culturali ad essa legate iniziano nel 2014 e durano tutt’oggi. Abbiamo cercato di ricostruire i passaggi più importanti, belli e brutti, con l’aiuto di chi quei muri e quelle arcate li ha vissuti come attivista, artista occupante, creativo e studioso. A parlare della Cavallerizza e a raccontarla in un intreccio di storie saranno quattro personaggi, che rappresentano una minima parte di quella comunità attiva che ha dato vita alla Cavallerizza negli anni ‘10 del Duemila, ma rappresentativi di differenti prospettive. Cittadini, artisti, attivisti e istituzioni sono i principali attori della narrazione storica della Cavallerizza, bene immobile di 40 mila metri quadrati.

Giulia Druetta, attivista e oggi avvocata in materia di diritto del lavoro e gig economics, è stata una delle prime occupanti della Cavallerizza. Vi è entrata nel maggio del 2014 e ci è rimasta fino al 2019. Giulia ci racconta che l’idea di occupare è nata da parte della società civile, per protestare contro l’abbandono del bene da parte delle istituzioni e per renderlo di nuovo fruibile a tutti.
Nel 2014 è arrivato in Cavallerizza anche l’artista Marco Rezoagli, con l’obiettivo di portare cultura e arte all’interno dell’occupazione. Marco, insieme al collettivo di cui faceva parte, ha realizzato diversi progetti e performance artistiche per dare alla neonata Assemblea 14:45, che prendeva il nome dall’orario in cui veniva svolta, un imprinting culturale. Le parole chiave erano coinvolgimento e interattività tramite laboratori, spettacoli con la presenza di ospiti del mondo della cultura e del teatro. L’obiettivo era mostrare ai torinesi che si poteva trasformare un luogo abbandonato in un centro culturale in pieno centro.
Comune ed istituzioni tacciono fino al 2015, quando l’Amministrazione comunale propone il cambiamento della destinazione d’uso della Cavallerizza a favore della costruzione di un ostello e di diversi negozi.
Al tavolo per le trattative per realizzare il progetto siedono il Comune, Regione, Sovrintendenza, Archivio di Stato, Edisu, Compagnia di San Paolo, Stabile, Regio, Accademia di Belle Arti e pure Politecnico. In questa riunione si afferma la volontà di coinvolgere gli occupanti nel suggerimento di progetti e idee per la Cavallerizza. Gli occupanti e la comunità artistica a quel tavolo non si siederanno.

Ѐ importante precisare che il clima politico torinese a metà 2015 era già investito dal vento elettorale che avrebbe poi portato nel giugno 2016 al cambio di giunta a favore del Movimento 5 Stelle. Il 2016 è un anno importante per la Cavallerizza, in cui debutta la prima edizione di HERE, mostra collettiva che segna una nuova fase. Se da una parte c’è chi era già lì da due anni, come l’artista Rezoagli, dall’altra parte si avvicinano anche nuove personalità, come Giovanna Preve. Quest’ultima ci racconta di essere approdata proprio durante l’organizzazione della collettiva e di non essere andata via fino ad oggi.
HERE aveva un obiettivo preciso: mostrare a tutti non solo l’arte, ma anche la volontà della comunità artistica di costruire un polo artistico e culturale indipendente.
L’entusiasmo nelle parole di Marco, circa la collettiva, ne dimostra il raggiungimento. Rezoagli ci ha raccontato che ogni artista ha collaborato nella pulizia e all’allestimento dei quattro piani. Il risultato è stato un successo di riconoscimento nazionale, a dimostrazione che anche senza fondi e senza l’appoggio delle istituzioni, è possibile generare grazie alla cultura un luogo virtuoso e un servizio pubblico.
Terminata la prima esperienza di HERE, l’Assemblea ha continuato a sviluppare un discorso circa il modo di auto-gestione e i rapporti con le istituzioni.

A riflettere sul tema del bene comune è anche la politica e la nuova giunta, che vuole iniziare un percorso di dialogo con la comunità della Cavallerizza. L’antropologo Antonio Vesco, che ha svolto una ricerca sul rapporto tra Beni Comuni e politica studiando il caso dell’ex Asilo Filangeri di Napoli e quello della Cavallerizza di Torino, ha rilasciato alcune dichiarazioni. In seno alla comunità della Cavallerizza si mette in atto questa riflessione su come fare a rendere attraversabile lo spazio e in che senso. L’antropologo spiega che Cavallerizza ha provato per lungo tempo a seguire il modello napoletano, fondato sull’applicazione dell’antico uso civico di bene comune applicato alla realtà urbana. Vesco riporta alcune polarizzazioni all’interno della comunità. In un determinato momento la spaccatura che si è prodotta ha portato ad uno sdoppiamento delle assemblee. La storica assemblea del lunedì propensa al dialogo con la giunta ha proseguito il percorso di scrittura del regolamento dell’uso civico. Mentre una seconda assemblea, composta da artiste e artisti, si è concentrata sull’autoproduzione artistica dello spazio.
In seno alla comunità della Cavallerizza si mette in atto questa riflessione su come fare a rendere attraversabile lo spazio e in che senso. Vesco riporta la presenza di due posizioni: una più politica, propensa al dialogo con la giunta, e una seconda contraria. Anche Marzo Rezoagli parla di fratture all’interno dell’assemblea tra una visione più istituzionalizzante e una più radicale. Da quel momento, dice l’artista, l’aspetto gestionale ha cominciato ad avere dei problemi con conseguenti rallentamenti sul mettere in atto il progetto iniziale.
E gli attori politici? Secondo Giulia Druetta, operavano con la volontà di sussumere il collettivo politico degli occupanti attraverso il discorso sull’uso civico facendo buon viso a cattivo gioco, inserendosi all’interno dell’occupazione in maniera preponderante per poterne manovrare l’esito.

Nel frattempo gli anni sono passati e siamo arrivati al 2019, anno delicato per le sorti della Cavallerizza. Una parte della comunità artistica iniziale non c’è più e nemmeno parte di quella attivista. Dopo l’incendio e il conseguente sgombero o auto-sgombero, come lo definisce la Druetta, le cose sono cambiate. Secondo l’attivista per ingenuità o per opportunismo il collettivo presente si è auto-sgomberato abbandonando di fatto la Cavallerizza ad un destino di privatizzazione. Questo in cambio dell’ottenimento della gestione di una piccola parte residuale. Druetta non crede che la gestione da parte di un collettivo sia una gestione pubblica, l’affidamento ad un gruppo snatura il senso originario dell’occupazione, cioè presidiare il luogo in funzione del mantenimento pubblico del bene a favore della cittadinanza. Lei stessa si è allontana nello stesso anno per due motivi, il primo quello appena citato mentre il secondo differente. Cioè la non presa di posizione dell’Assemblea su un atto di violenza e sessismo avvenuto in Cavallerizza.

Antitetica l’esperienza di Giovanna Preve, che si è attivata come non prima a seguito dei fatti accaduti nel 2019. L’architetta, prima di candidarsi a Presidentessa dell’Assemblea 14.45, insieme ad una delegazione si è recata in prefettura per rendere pubblici gli intenti dell’Assemblea e avviare un percorso di comunicazione con la pubblica amministrazione. In qualità di architetta la Preve ha realizzato un’alternativa al PUR presentato dal comune che si chiama PURA – Piano Unitario di Riqualificazione Alternativo, il quale traduce i valori e le istanze dell’Assemblea proponendo una cittadella dell’arte realizzabile. La forza dell’Assemblea per la Preve sta nella forza stessa della comunità artistica e nel loro fare artivismo. La Preve riferisce che l’accordo dovrebbe permettere all’Assemblea di occuparsi del Salone delle Guardie, ma questo deve essere prima restaurato, e anche dei Giardini con l’apertura entro giugno. Un altro comitato, La tua Cavallerizza, si sta muovendo contro la privatizzazione dello spazio con una raccolta di firme per indire un referendum abrogativo.
Una parte della Cavallerizza verrà quindi venduta e l’altra resterà alla comunità artistica? Forse il futuro sarà così. Secondo Druetta questa è una sconfitta, perché era proprio l’occupazione a tenere lontana la vendita della Cavallerizza e un’alternativa poteva essere possibile. Come ad esempio la possibilità che altri Enti Pubblici, e non i soliti privati, potessero usufruire degli spazi dando da una parte un servizio ai cittadini e dall’altra contribuire alla messa a norma dell’area. Secondo la Druetta la presenza degli occupanti era fondamentale per presidiare e monitorare la conversione come spazio pubblico, ma questo non è accaduto per un gioco politico di do ut des.
Una domanda rimbomba nella testa: poteva esserci un futuro diverso per la Cavallerizza? La risposta ce la dà Marco Rezoagli:
Questa è una domanda metafisica, in una dimensione parallela ci sarebbero state delle cose che sarebbero andate in modo diverso. Però col senno di poi dopo una pandemia ci si rende conto della bellezza di quel posto. Sicuramente poteva diventare un centro europeo culturale molto riconosciuto in uno dei più belli spazi occupati d’europa. sarebbe potuto diventare un grande centro dell’arte e della cultura. Da una parte è stato vissuto bene e tanto dai torinesi ma nel momento difficile è stato abbandonato.
Con la campagna #LaTuaCavallerizza, si propone l’uso di uno strumento democratico quale è il referendum, per fare in modo che la Cavallerizza possa rinascere ed essere restaurata. Perché tutti, indistintamente, ne possano godere ed avere cura.