La poesia di Donatella è la poesia di una moderna druida, un canto silvano, fungino, agreste. In lei e nei suoi versi prende forma lo scontro tra spirito e individuo. Il primo porta avanti a denti stretti l’idea, necessaria oggi più che mai, che non vi sia reale differenza tra uomo e natura, ma che anzi l’uomo non sia differente da alberi e piante, che anch’esso sia diramato dalla terra come una radice. Il secondo, invece, non consapevole della sua strutturale unità con l’ecosistema e l’universo di cui è manifestazione, tenta con l’altro una fusione inevitabilmente frustrata. Una natura naturante nello spirito ma innaturale nella persona e nell’unione, che è sperata, provata eppure impossibile e si accorda a quell’impossibile sincronia di particella e onda che configura la realtà stessa ed il meraviglioso scatto fulmineo, rapace dell’amore.
È forse questo il tratto più pregnante de Un allegro tic all’occhio, contenuta nella raccolta Tenere Casa in Ordine, edita da Secop nel 2017. La presenza dell’altro, irrinunciabile attività di traduzione mai fedele, è simbioticamente invischiata ad un complesso simbolico alberoso, muschioso, georgico, verde. L’incontro con l’altro collima nell’incontro con una natura di fertilità invincibile, talmente lussuriosa da essere decadente, soffocante l’io e le sue ragioni nell’abbraccio ramoso e legnoso della foresta, nel silenzio carico di energia del seme. La natura non conosce, difatti, né il bene né il male, solo la sua legge di costante progressione e trasformazione, a tratti benevola, a tratti cieca agli occhi di chi vuole irretirla con una morale.
L’amore non corrisposto, che è al centro della composizione, è in un primo strato il senso di rifiuto di una donna nei confronti di un uomo, ma in un secondo è il senso di esclusione dalla Natura, e di conseguente frustrazione, che caratterizza gli esseri umani moderni e contemporanei. Se ne evince un tic all’occhio, uno spasmo muscolare come il segnale di una paura o un dolore non completamente compresi e disvelati.
Vi è dunque un equilibrio osmotico e labile: la consapevolezza di essere tutti un tutt’uno, un miscuglio eterogeneo di piante, animali, ricordi, semi, facce, umani, stradine di campagna e palazzi si contrappone ferocemente all’idea di persona, che è parziale, menomata, scattante nel suo tentativo di recuperare al livello fisico (nel rapporto con l’altro) quell’unità che sa di avere con esso al livello spirituale, ma che vede ogni giorno frustrata nel mondo della causalità che è il mondo degli occhi e delle orecchie, e dei sensi.
La musica che accompagna questa irrequieta voce è tuttavia tranquillizzante, avvolgente e sinuosa. L’hangdrum, strumento musicale sin dalla sua recente nascita associato a frequenze di natura meditativa, tenta qui di lenire il dolore con vibrazione ampie come abbracci e luminose come giornate di sole, trasformando lo sforzo dell’unione panica con il tutto e con gli altri in una percezione liquida, invitante, pacificatoria.
(Lorenzo Lombardo)
un allegro tic all’occhio mi fa compagnia
un’allegria disperata che dai tuoi occhi liquidi trabocca
mi affoga
ho le ali tutte bagnate
mi porto addosso una poltiglia di piume
informe e incolore
non distinguo il mio corpo dal tuo umore acqueo
che mi riveste come membrana plasmatica
come corazza fluida come cuticola tenera
che all’aria solidifica e mi plastifica e mi
limita i movimenti il respiro
non posso gonfiare appieno i polmoni
sto stretta qui dentro sto stretta
gratto gratto graffio
lacero il mio filtro e mi lacero
mi disidrato nella libertà della pelle
che non sa più essere pelle
e si sgretola e mi sgretolo mi disperdo
compattami tu bagnami affogami
immergimi nei tuoi occhi liquidi
inondami
voglio solidificare sulla tua corteccia come
fungo simbionte come
lichene come resina
sedimentare dentro le tue stanze buie
strato per strato
sabbia su calcare su argilla
roccia sarò sulle tue unghie corte
terra nelle tasche nei risvolti storti dei
pantaloni
e camminerò sotto i tuoi piedi navigherò
tra le linee perfette che corrono tra
l’alluce e il ginocchio delle tue gambe
di rami e foglie
e dai buchi nella terra nasceranno
le nostre storie intrecciate
alla pasta dell’aria calda condensata sulle bocche
secche sulle mani lontane che stringono
cuori secchi
ho la gola secca e non ho mai voluto nient’altro
da te
se non fondermi con te
arrampicarmi nelle tue braccia
entrare nella tua pelle attorcigliarmi comprenderti
comprendermi incastrarmi sciogliermi in quello
che non capirò mai di te
e lasciarti intravedere quello che
non capirai mai di me
mi farò verde e in fiore e porterò frutti nutrienti
e dolci e abbondanti
trapiantami ti prego innaffiami
di notte cantami ad aprile coglimi
ti chiedo solo
una volta ancora
guardami
Donatella Gasparro · Un allegro tic all’occhio mi fa compagnia