Il ponte di Amelio Gamna | Maddalena Fingerle

Testo [1] e dedicatorie dell’autore [2] con anagrammi scelti [3] di Stefano Bartezzaghi [4], punti e virgole tradotti da Maddalena Fingerle [5], contaminazioni di Antonio Russo De Vivo [6], chiave di lettura secondo i costumi morali bolzanini di fra Gillo Dacon [7] e note di Ronald O’Calgif [8].

Chiave di lettura secondo i costumi morali bolzanini [9]

Nella persona di Amelio Gamna[10] si esemplifica la vana condizione umana della Megalomania[11], la figura del dentista[12], appellato Tiziano Medini, ci dà a conoscere l’Intimidazione[13], Petra Simenon[14], sposa d’ismoderata bellezza, è figura del Ripensamento del di lei marito Amelio Gamna sul comune matrimonio, il quale ripensamento è palesato dalla Fuga[15]. Nel donzello Ugo Venti si dimostra la Gioventù che, sotto il favore della freschezza, corre volentieri agl’amori[16] et ai giochi lascivi.

Nel Ponte, che coniunge cose lontane, quali il di lui rapporto astioso et al contempo ossequioso con la genitrice[17] et agonistico con il genitore[18], non giamai alterarnandone l’essenza, si dà a conoscere quanto vaglia il Matrimonio[19], rifiutato per altro dal Signor Gamna[20].
La molarità dinota il mordace soffrire, i travagli della vita e lo stato dell’uomo.
L’operazione di convincimento[21] di esso Tiziano Medini ci disegna che il Dentista empie il Vuoto con lo legare li denti et eziandio le parti dell’io che tra loro collidono.
La fuga dinota la debolezza e la mollezza – in contrasto con la nobiltà dei costumi bolzanini – e la vaglianza dell’associationi di categoria, esemplificate nelle pratiche dentali.

Dedicatoria Prima

Al gentilissimo, stimatissimo, illustrissimo, intelligentissimo Signore

AscoltoltandoVi
Non
Temo
Odissee,

Illusioni
O
Risposte
Umoristiche.
Sono
Solo
Ottave
Di
Emulazione
Vergognosa.
Io
Vorrei
Onorarvi.

Dedicatoria seconda

Alla Signora illustrissima Trisomala [22], vedova dell’illustrissimo signor dentista, nella di lui sincera e sentita memoria.
Volesse Iddio, illustrissima et eccellentissima mia Signora, che il mio scritto o non fosse stato cagione a indurre quello scelleratissimo individuo a credere alla mia storia del ponte, o non avesse trovato lettore alcuno[23]. Ma poiché la realtà effettuale della cosa ci mostra che la malizia e l’odio de lo popolo superano la ragione, io debbo avanzare le mie scuse, mia grandissima Signora, e Vi prego di credere alle mie seppur insufficienti e brevi istanze di perdono. Non fu giamai mio proposito che in tal ventura occorresse l’amato Vostro consorte, giustissima cosa è che lo scellerato trascorra i giorni suoi tra le infernali fiamme. Consapevole di non poter distrarVi o rendere giustizia a Voi e al Vostro povero coniuge, mi impegno a divulgare codeste mie modeste carte[24], riviste e corrette e provviste e di chiavi di lettura secondo i costumi morali bolzanini e di operationi di contesto, non da ultimo attraverso questa mia pur mal scritta dedicatoria. Prometto dunque a diffondere queste affinché il mondo intiero sappia da che parte son io [25].
Prego dunque Vostra Eccellenza che accoglia questa mia con la medesima dispositione d’animo con la quale io mi accingo a gliela mandare. Ci sarà, in plico separato, il danaro per il compenso de l’ultima visita presso Vostro illustrissimo marito, e qualche aggiunta per il danno che allo spirito Vostro arrecò lo mio testo, sia pur con esonero de lo mio proponimento. Accettate ve ne imploro le scuse di chi, per egoismo e vanità, lasciò che fosse letto un testo che forse sconvolse a quello sciagurato la mente. Le mie parole vi arrechino, se non quel solacium di cui parlan le antiche carte, almeno distratione e catarsi. Con ogni debita riverenza a Vostra Eccellenza io bacio le mani, se non mal ricordo, belle e bianche e di aromi odorate[26]. In Bolzano, addì 24 agosto. Di Vostra Altezza umiliss. e divotiss. Servitore

Il ponte di Amelio Gamna

Andai da quel furfante di dentista
mi disse: “[27]Caro, un ponte qui ci vuole
in bocca – disse – un ponte”, l’alchimista,
mentre Ugo[28] guardava le figliuole[29].


Urlai: “Sei pazzo!” al mio antagonista;
m’alzai con furia e svelto me ne andai
da Petra, lesto, a dirle dei miei guai.

“Tu sei scemo!”, urlò lei, la mia conquista.
“Simenon Petra, sposa mia, mi credi:
non sono, sappi, un autolesionista!”
“Un ponte tu puoi far: le nostre fedi
per questo le daremo al tuo dentista.
Vieni, caro, [30]e un bacio[31] a me concedi”.
Io non son scemo e me ne vado via,
non avrò mai un ponte in vita mia!


[1] Insieme di segni messi, in questo caso, alla rinfusa. Esisterebbe, tuttavia, una casistica di natura opposta. Ad esempio Thomas Mann ha redatto testi in cui i segni non sembrano messi alla rinfusa. Data la molteplicità e l’eterogeneità dei casi passibili di essere presi in esame, al fine di indurre il lettore ad avere le idee meno chiare secondo la retta via di Montaigne ovvero il tao della filosofia e delle scienze affini, invitiamo a consultare il saggio di Bertoldi (2002: 45ss.); il quale Bertoldi, eccellente cattivo allievo di D&G, a partire dalle sventure della virtù insita in un approccio strutturalistico ai fatti letterari di tradizione russo-francese e di traduzione italiana, ha dedicato gli studi contemporanei e successivi agli anni della contestazione e gli anni successivi e non antecedenti la globalizzazione alla schematizzazione e categorizzazione dei testi secondo il modello rizomatico. Attualmente è ricoverato per labirintite degenerativa in un ospedale di massima sicurezza sito in un’isola greca i cui abitanti praticano i culti misterici in esperanto e venerano tori di importazione globale col fine di adattarsi all’era dell’antropocene e di annullarne le peculiarità distruttive legandola a una visione ciclica della storia a partire dalla messa in discussione delle oramai dimenticate teorie di Fukuyama diffuse ai tempi di Lorena Bobbitt.

[2] Non è chiaro chi sia l’autore, al riguardo cfr. la nota 2 di questo scritto.

[3] In base ai carteggi pervenuti non si capisce quali siano gli anagrammi scelti, né è chiaro se tutti gli anagrammi siano del famoso scrittore e semiologo. L’infelice scelta lessicale “anagrammi scelti” ci lascia nel dubbio.

[4] “Enigmista, giornalista e scrittore italiano (Milano 1962). Figlio del famoso enigmista P. Bartezzaghi, ha pubblicato il primo rebus nel 1971, per La Settimana Enigmistica. Ha collaborato con le principali riviste di enigmistica italiane e, dopo la laurea in Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo, ha curato diverse rubriche su giochi, libri e linguaggio per testate giornalistiche, quali La Stampa, e radiofoniche, come Radio Due e Radio Deejay. Dal 2000 cura le rubriche Lessico e nuvole e Lapsus per il quotidiano La Repubblica, e dal 2010 insegna Semiotica dell’enigma all’università IULM di Milano. Tra i suoi lavori più recenti: Lezioni di enigmistica (2001), Incontri con la Sfinge (2004), Non ne ho la più squallida idea (2006), Non se ne può più (2010), Sedia a sdraio (2011), Come dire. Galateo della comunicazione (2011), Una telefonata con Primo Levi (2012), Dando buca a Godot (2012), Il falò delle novità (2013), M. Una metronovela (2015), La ludoteca di Babele (2016), Parole in gioco (2017) e Banalità. Luoghi comuni, semiotica, social network (2019)” (v. la voce Stefano Bartezzaghi, in: http://www.treccani.it/enciclopedia/stefano-bartezzaghi/).

[5] Purtroppo è andata perduta la versione con la traduzione in dialetto sudtirolese di Teseo La Marca. La traduzione di Maddalena Fingerle ha portato alla luce elementi di insignificante importanza e ha dato così il via a una serie di esplorazioni linguistiche e teoriche non solo in Italia, ma anche in Germania e in Polonia. La stretta collaborazione di Fingerle con i traduttori Leonardo Bruchi, Carlo Fruttero e Jozefina Kowalska è un aspetto fondamentale per capire la posizione dei versi all’interno del contesto culturale europeo. Il rapporto tra Maddalena Fingerle e Leonardo Bruchi è strettamente professionale e un po’ freddo; la traduttrice, infatti, avrebbe voluto, in un primo momento – come dichiarato in un’intervista del 2016 tuttavia adombrata dall’estemporaneo intervento canoro di Banksy il cui volto è restato malcelato dal sacchetto di carta di Thomas Pynchon ma la cui tonalità di voce, evidentemente minata dalla pronuncia delle vocali secondo lo schwa di stampo napoletano, ha tradito la reale identità dell’artista da allora accostato all’archetipo α Luigi d’Alessio viceré di Posillipo la cui antica schiatta prospera nell’intera penisola italiana –, chiedere aiuto a un grande, forse al più grande traduttore tedesco vivente in Germania, Burkhart Kroeber, ma poi non ne ebbe il coraggio. La collaborazione con Bruchi nasce dunque per una discutibile congiunzione astrale discussa a posteriori con Brezsny senza addivenire a una visione lineare dei processi che hanno condotto a una collaborazione ritenuta infruttuosa a priori. Il rapporto con Bruchi si incrina nel momento in cui Fingerle gli fa notare una dimenticanza clinicamente sospetta: la mancata traduzione degli spazi bianchi. Bruchi nega e sospetta che Fingerle, alla fine, ne abbia tratto il coraggio di chiedere aiuto al grandissimo Kroeber per la traduzione tedesca. A una lettura non attenta non può dunque sfuggire – è stato Fabrizio Cambi a farlo notare – la disuguaglianza e l’incoerenza tra gli spazi dei primi e degli ultimi versi. Ne è nata dunque la diatriba sulla traduzione degli spazi, che sta prendendo piede soprattutto nella zona settentrionale italiana. Pare che molti documenti, in particolare quelli della città di Bolzano, presentino gravissimi errori in questo senso. L’immissione forzata di elementi metaforici ha poi aggiunto la beffa al danno: lo spazio bianco ha finito per allargare il campo semantico (cfr. Ullman, 1951) alle scienze esatte impedendo così di risolvere la questione entro i confini delle discipline umanistiche. Carlo Fruttero ha risposto alla richiesta della traduttrice immantinente, ma senza credere che quella riuscisse “a concludere qualcosa”, come affermato in una epistola criptata in caratteri cirillici e secondo algoritmi elaborati dagli ospiti dell’isola di Sachalin con le proposte di traduzione in allegato.
Il rapporto tra Fingerle e Kowalska va invece oltre lo scambio di traduzioni e impressioni letterarie e sembra diventare, negli anni della revisione della traduzione, un vero legame di amicizia. Non si capisce, dai documenti e dalle interviste, se il rapporto tra le due vada oltre l’amicizia, ma qualche indizio ci spinge a sospettarlo. Primo fra tutti il pianto disperato al funerale di (e non “della”) Fingerle, di cui ha scritto, con grande sensibilità e intelligenza seppur sin troppo ligio alla tradizione triestina la cui archeologia foucaultiana approntata da Concetta Solanas ne ha dimostrato il persistente legame con l’ingiustamente bistrattato patriarcato, Claudio Magris perdinciduca di Bachofen.
Non è chiaro chi fosse il traduttore russo, o i traduttori russi, che lasciarono incompleta la traduzione, ma ci si augura che in futuro venga tradotta integralmente e pubblicata anche la versione russa.
Non si capisce il valore della struttura paratestuale che si presenta come breve insegnamento morale impregnato però di uno storicismo monumentale indegno dei tempi in corso. Secondo Franceschi e De Sanctis sarebbe Maddalena Fingerle ad averlo scritto. Secondo Pampalone de’ Pampaloni ci avrebbe messo la mano ai limiti della sindattalia il puteolano Antonio Russo De Vivo pur tenendosi lungi da una certa qual propensione alla leggerezza e alla naturalezza mitteleuropea di (e non della) Fingerle col risultato del raggiungimento di una forma di sincretismo stilistico e contenutistico da romana res publica. Non vogliamo prendere posizione in questo senso, ma ci chiediamo: chi è lei per insegnarci qualcosa? Chi è lui? Se fosse oggi applicabile un concetto di posterità non avremmo mai risposta. Certo è che i sopraccitati autori – meglio: l’autrice e il contaminatore – non trattasi di postumi se non in quanto vittime di postumi.
Resta da escludere che l’apparato paratestuale sia stato scritto insieme ai versi: si tratta di un’aggiunta, se si vuole, criticabile. Infatti la lettura morale non sembra credibile – essendo poco conciliabile con la figura storica della scrittrice –, ma la lettura ironica ci pare troppo scontata, seppur avallata da un certo qual sentore di opposizione nord (solarità, tendenza all’ingiustificato sorriso, sconvenienza, ecc.) vs. sud (ombrosità, seriosità, ecc.). Una via di mezzo non riuscita, dunque. Un né carne né pesce con moltiplicazione di carne e pesce che ci spinge a porci nuove domande e nuovi quesiti. Una provocazione, forse, nei confronti di chi nell’apparato paratestuale davvero ci ha creduto e ancora ci crede nonostante l’estinzione degli indici analitici dovrebbe indurre a ridefinire e ridisegnare i limiti contestuali riprendendo le veteroattuali teorie dell’action painting. E se fosse invece l’insegnamento che avrebbe voluto dare prima di tutti a sé stessa, come redenzione dai peccati della sua vita? Una Maddalena penitente, dunque, con lunghissimi capelli biondi, come la conosciamo e l’abbiamo sempre conosciuta. Questa la lettura che vogliamo seguire. I versi si inseriscono così in un contesto storico-culturale di una tradizione non ancora consolidata, che potrebbe però dare il via al ritrovamento di numerosi altri versi. Le date di cui erano provviste la Dedicatoria e la Chiave di lettura secondo i costumi morali bolzanini sono state accuratamente cancellate e omesse per una questione di incoerenza, come una sorta di omaggio a Gianluca del Casto. Probabilmente è l’esortazione del Marino ai “giovani et futuri poeti” (Marino, Lettere 213-2, allo Scoto da Torino nel 1616) ad aver spinto il mediocre autore anonimo, si suppone la Fingerle, a cimentarsi nel progetto cui tanto teneva. Non si fa però menzione a dentisti, ma si legge, tra le righe, che si tratta proprio di una visione, la visione dei ponti, immagine cara ai pittori, per la forte semantica simbolica e cristiana, di unione tra uomo e Dio. Si apre dunque una questione fondamentale per capire il senso di questo scritto: questi versi si possono considerare, almeno nell’idea, un furto? Non mi dilungo nell’analisi, consapevole che il professor Dr. Phil. Manuel Lerta von Ambrach sta scrivendo, proprio mentre stilo (io? noi? chi è io? chi è noi?) questa breve nota, un saggio sull’argomento. Secondo la dubbia testimonianza di Marianna Tuberi, senza “pretese né aspettative” Maddalena Fingerle scrive le ottave e l’apparato paratestuale. Li scrive sui tetti di Trieste, perché lì è “più vicina al cielo”, non un’ottima idea, come abbiamo avuto occasione di constatare. Ed è così che vogliamo ricordarla, con i capelli biondi e lunghissimi, lo sguardo penitente e vicina al – e non in – cielo. Anche perché, per una come lei, nel Cielo non c’è posto. Circa Antonio Russo De Vivo, il contaminatore, poco vi è da aggiungere al poco detto sopra, risultando personaggio poco noto ai pochi destinatari di questo testo da poco.

[6] Cfr. nota 5; Trattato de gli huomini illustri de’ Campi Flegrei diviso in mezza parte di Procolo; Vies imaginaires di Marcel Schwob; internet attivato con modem 56k.

[7] Pittore baconiano di costituzione e personalità fragile.

[8] Vi confermo la parentela con Gillo Dacon.

[9] Nella prima versione, circolata manoscritta ai primi di giugno, la struttura paratestuale non esisteva. Furono probabilmente i tragici e noti eventi del 22 giugno a spingere l’autore del testo a una tale operazione moralizzatrice, falsamente attribuita a fra Gillo Dacon.
Il signor Trisomala, dentista bolzanino, fu assassinato da uno squilibrato dopo che questi aveva letto i versi e si era fatto prendere dal panico. In seguito, l’assassino si buttò dal ponte Talvera. Il senso di colpa l’autore dei versi non lo nasconde mai, cfr. a tal proposito le interviste all’Alto Adige (24 giugno) e al Dolomiten (25 giugno) – interrotte tutte dalla performance canora di Banksy ovvero Luigi d’Alessio viceré di Posillipo –, come la dettagliata analisi di Teseo La Marca (28 giugno) su Salto che distingue egregiamente tra la libertà di parola e le conseguenze dovute all’interpretazione. Nonostante ciò, come si legge tra le righe, nemmeno La Marca se la sente di considerare l’autore estraneo ai fatti. Come ricorda giustamente Tranielli, “[…] ai funerali del Trisomala partecipa, dimostrando grande affetto, l’intera città, mettendo da parte, e si spera per sempre, i conflitti etnico-linguistici che caratterizzano il nostro territorio”. È La Marca, in un dibattito letterario con l’autore inframmezzato da gorgheggi di Banksy ovvero Luigi d’Alessio viceré di Posillipo, a sottolineare non solo il carattere “forzato e debilitante” del paratesto, ma anche la valenza simbolica del ponte all’interno della sciagurata vicenda. E come dargli torto? Si tratta, a nostro parere, di un’operazione politica, di una furbata, come ha sostenuto un curioso presente il giorno dell’accaduto, che ha fatto richiesta di rimanere nell’anonimato. Fingendo di non aver ricevuto tale richiesta, ci prendiamo la responsabilità di svelare il nome e, in caso di denuncia, di censurarlo. Sull’inverosimiglianza del linguaggio e del registro linguistico dell’apparato paratestuale rispetto al testo cfr. l’illuminate relazione del Professor Cesta, tenuta al Centro Trevi di Bolzano, in seguito alla lettura pubblica da parte dell’autore inudibile causa l’inatteso intervento musicale a voce a opera di Banksy ovvero Luigi d’Alessio viceré di Posillipo.

[10]  Amelio Gamna, di origine torinese, si trasferisce a Bolzano in seguito a una lite furiosa con il dietologo che gli aveva consigliato di ascoltare il proprio corpo. Non è chiara la professione del signor Gamna, dai documenti ritrovati si ipotizza possa essere pittore o scultore. Si esclude, alla luce dei recenti ritrovamenti, l’ipotesi dell’architetto: il famoso ponte Gamna in via Milano fa pensare a un brutto scherzo del destino. Non è un caso che l’onomastico di Amelio sia il 5 gennaio (ma anche 24 maggio o 25 settembre o 12 dicembre) e che Amelia sia il nome della madre di Freud e che amelìa indichi l’agenesia di uno o più arti collegabile alla mancanza insita nel nome che si troverà nella bocca del portatore del nome: è il vuoto, ancora una volta, ad avere un ruolo fondamentale nell’esegesi letteraria.

[11]  Tendenza ad atteggiamenti di eccessiva grandiosità, detta anche delirio di grandezza, può essere sintomo di un disturbo mentale (cfr. Lamborghini-Guidi, 1957: 2648458).

[12] “Secondo gli ultimi dati Istat, il 41,9% degli italiani non può affrontare una spesa imprevista di 800 euro.” Le prestazioni odontoiatriche rientrano tra quelle che non tutti possono permettersi. A fronte di un’offerta pubblica inadeguata, i consumatori sono costretti a rivolgersi a strutture private, pagando parcelle costose. Molti rinunciano, così, a curarsi all’estero. La soluzione richiede, quindi, un intervento pubblico. L’Unione Nazionale Consumatori non può fare altro che dare alcuni consigli per aiutarvi a scegliere bene a chi rivolgersi e prevenire possibili problemi:
– Preventivo. Chiedi sempre un preventivo scritto, chiaro e dettagliato. Se l’odontoiatra tergiversa ed è impreciso, meglio cambiare aria. Chiedete poi spiegazioni in caso di dubbi. Ricordatevi che non ci sono più le tariffe minime e massime dell’Ordine. Concordare sempre per iscritto eventuali variazioni ed ulteriori cure. Se la cura si deve protrarre nel tempo, chiedete di pagare parzialmente dopo un certo periodo, onde evitare brutte sorprese. Ovviamente, inutile chiedere un preventivo se poi non lo fate rispettare.
– Informazione e dialogo. Vogliamo un dottore che ci parli e ci spieghi in modo semplice e chiaro come stanno i nostri denti, quello che vuole fare e perché, con i rischi e le possibili conseguenze, nel rispetto dell’autonomia di scelta del paziente. Un medico che ci interroghi e si informi della nostra salute e della nostra igiene orale quotidiana e poi ci dia i giusti consigli, dato che la prevenzione ha la sua importanza. Deve, ad esempio, insegnarci, non solo a parole ma mostrandocele e facendole provare, le corrette tecniche di igiene orale. Nella prima visita, poi, deve raccogliere la nostra anamnesi, sapere, cioè, la nostra storia clinica, quali farmaci stiamo assumendo e così via. La comunicazione, insomma, è importante, anche per instaurare un rapporto di fiducia. Se fa poche domande, quindi, è un cattivo segno. In ogni caso, fatele voi, così da poter giudicare il dentista sia sulla base delle risposte che rispetto alla sua disponibilità al dialogo. Se non capite qualcosa, fatevi rispiegare, senza sentirvi in colpa. Fa parte del lavoro del dentista farsi comprendere.
– Chiedete più preventivi e più pareri. Specie se l’intervento è costoso o la prestazione complicata, è bene chiedere il parere di più dentisti, esattamente come facciamo quando ci dicono che dobbiamo fare un intervento chirurgico. Diffidate, comunque, di prezzi eccessivamente bassi, irrisori e fuori mercato, che possono nascondere materiali scadenti o altre insidie. Attenzione ai dentisti che si fanno pagare anche solo per il preventivo.
– Pagamento. “Vuole la fattura?”. Chi non se l’è sentito chiedere… e se chiedete lumi vi diranno: “se vuole la fattura le devo aggiungere l’Iva”. Peccato che le prestazioni sanitarie siano esenti dall’Iva. Insomma, vi fanno uno sconto se gli consentite di evadere, dato che il dottore, semmai, versa l’Iva solo sui materiali usati. Considerate anche che ci sono le detrazioni fiscali, che sopra una certa soglia non potete pagare in contanti ed, infine, che se non vi rilascia neanche una ricevuta e non potete dimostrare il lavoro che vi ha fatto, in caso di problemi sarà impossibile farsi risarcire i danni per un intervento svolto male. Non versate anticipi prima dell’inizio dei lavori e pagate solo per le prestazioni già eseguite. Se vi propongono di concludere contratti di finanziamento con società finanziarie, non accettate senza prima esservi rivolti alla vostra banca e ad altre finanziarie per confrontare altre opzioni.
Non sarebbe male, infine, che rispettassero gli orari degli appuntamenti. Infine, dato che prevenire è meglio che curare, cercate di non andare dal dentista solo quando avete male ai denti.
(per continuare v. https://www.consumatori.it/salute-benessere/dentista-dieci-consigli-utili/, ultimo accesso: l’ultima volta).

[13]  Cfr. il saggio su intimidazione e minaccia del prof. Giaschi (1990: 43s.) scritto in seguito a un duello svoltosi, in presenza dei rispettivi testimoni, nell’immaginazione dei due contendenti che pallidi e assorti hanno ottenuto reciproca soddisfazione reciprocamente uccidendosi con un preciso colpo di schioppo cadauno mentre i rispettivi testimoni discettavano sul non sense di una mela inaspettatamente caduta dall’albero presente sul luogo del duello nel cesto sottostante prontamente rovesciatosi per le troppe mele contenute. Da qui il titolo del saggio: La mela che fece traboccare il cesto (sic).

[14] Su Petra Simenon sappiamo poco, ma quello che sappiamo basta a farci innamorare di lei. Musa dei più importanti scrittori italiani, si è sempre impegnata per i diritti degli uomini, di cui puntualmente si innamorava. Con grande dispiacere dell’élite degli Scrittori Bolzanini, Petra Simenon sposa Amelio Gamna. Il suicidio del poeta e musicista Giorgio Rasch è probabilmente da ricercare nella relazione tra i due, più ambigua che tragica. Sull’aspetto fisico di Petra abbiamo soltanto informazioni indirette, ricavate dai carteggi su di lei. Pelle ambrata, capelli voluminosi e morbidi, occhi blu.

[15]  È evidente il parallelismo con il canto dodicesimo dell’Adone di Marino. Nel caso di Amelio Gamna la fuga è la via della salvezza, per non morire uguale a sé stesso, nel matrimonio e nelle pratiche dentali; è la libertà e il raggiungimento della vera felicità che, come è risaputo, risiede nei piccoli piaceri della vita.

[16]  Ritorna il richiamo, ormai ridondante, all’Adone di Marino.

[17]  Diventa sempre più evidente che il nome Amelio e il nome Amelia non siano una coincidenza: l’importanza di Freud nel rapporto tra Amelio Gamna e sua madre è ancora tutto da scoprire, si invitano dunque giovani studiosi a rimboccarsi le maniche, abbandonare inutili progetti intrapresi e ricercare in questo senso. Onde evitare lacanismi accademici, si esige una certa qual propensione all’irregolarità, al lapsus.

[18]  A tal proposito viene spontaneo ricordare l’illuminante opinione, nota a tutti, della signora Amalia sul rapporto tra figli e genitori, in cui i figli vengono sintatticamente prima dei genitori.

[19]   Coraggioso chi si sposa!

[20]  Codardo chi fugge!

[21]  Non è chiaro a che cosa si riferisca, dato che nel testo il dentista non sembra voler convincere Amelio, è piuttosto Petra, la moglie, a spingerlo. Si potrebbe dunque pensare che ci sia un’analogia tra dentista e moglie? Che la moglie proponga di fondere le fedi per costruire il ponte dentale fa credere che ci sia un vero e proprio complotto tra dentista e moglie, forse una relazione, forse una relazione amorosa, forse una relazione amorosa segreta, forse una relazione amorosa segreta di cui Amelio non sospetta nulla, forse una relazione amorosa segreta di cui Amelio non sospetta nulla ma che inconsciamente sospetta perché altrimenti non fuggirebbe. Oppure la fuga è dovuta semplicemente alla paura del ponte? Domande, queste, che resteranno volutamente aperte.

[22]  Per motivi di sicurezza lo pseudonimo non viene esplicitato nel testo e per altrettanti motivi di sicurezza non lo faremo di certo noi in questa sede.

[23]  Evidente, goffo e ridondante già in partenza il richiamo alla dedicatoria tassiana.

[24]  Evidente, goffo e ridondante il richiamo alla dedicatoria tassiana.

[25] Ibid.

[26] Molto probabile il riferimento alla Kowalska, famosa per avere belle mani chiare e profumate.

[27]   Tradotto in tedesco con: “, in polacco invece con: “.

[28]   Si tratta, molto probabilmente, dell’assistente del dentista.

[29]  Illuminante e geniale la traduzione in francese: .

[30]  La traduzione di “ ” in dialetto sudtirolese si suppone sia simile a questa nostra ricostruzione: “ ”.

[31] La lascivia domina l’intero testo, fin dalle prime parole, e non può più essere taciuta. Non c’è paratesto che tenga, non c’è scusa che regga, non c’è confessione che ripulisca da tali peccati.

 

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